Quando il sistema sociale non regge

 Giovanna Rezzoagli

Tutte le società che hanno conosciuto il momento del benessere raggiungono uno zenit, e non è affatto scontato che mantengano stabile la loro condizione. La decadenza però avviene con modalità differenti, ma tutte le grandi civiltà hanno iniziato il loro declino quando si sono adagiate sulle conquiste ottenute, senza adeguatamente prospettare il futuro. Anche i paesi occidentali più sviluppati, tra cui l’Italia,  che hanno goduto i frutti di importanti sviluppi nel campo delle scienze e della tecnologia, debbono oggi fare i conti con gli squilibri che tanti progressi concentrati in un arco temporale breve hanno generato, sia a livello ecologico che a livello sociale ed economico nell’assetto mondiale. Se confrontiamo la situazione attuale  del nostro Paese con quella di soli venti anni fa, possiamo notare variazioni notevoli in diversi ambiti di osservazione. Rispetto agli anni ottanta, nel 2009 in Italia la popolazione vive mediamente più a lungo, ed invecchia meglio. Se dal punto di vista della qualità della vita si tratta di un indiscutibile progresso, analizzato dal punto di vista economico e sociale l’allungamento della vita rappresenta un problema da non sottovalutare. Vivere più a lungo significa andare incontro ad una serie di condizioni fisiologiche tipiche dell’invecchiamento, che possono richiedere particolari attenzioni da parte della società. Attenzioni medico-sociali, ma anche economiche ed infrastrutturali che la società deve, o dovrebbe garantire, a tutti i suoi cittadini. Per il mantenimento della condizione di benessere una società deve preservare equilibrio al suo interno. In parole povere, ciò che si spende per garantire servizi, deve essere coperto da un indotto adeguato. Una società che si fa carico adeguatamente della sua componente più “anziana” necessariamente dovrà contare sulla ricchezza prodotta dalla componente più “giovane” di se stessa. Altro spunto per confrontare l’Italia anni ottanta con quella di oggi. Negli anni ottanta tanti ragazzi e tanti giovani studiavano, come è giusto che sia. Alcuni che non raggiungevano determinati livelli (già allora piuttosto bassi) di preparazione venivano fermati alle scuole medie o, al massimo, al primo anno di superiori. Ricordo perfettamente i miei tre anni alle scuole medie, ove ogni anno minimo due studenti su una decina che componevamo la classe venivano bocciati. Ricordo che il merito veniva premiato, se si conseguiva la massima valutazione all’esame di terza media si era esentati dal pagamento della tassa di iscrizione al primo anno di scuola superiore. Non tutti i miei compagni di scuola media hanno proseguito gli studi ed oggi fra loro ci sono ottimi falegnami, piccoli imprenditori edili, una parrucchiera con un negozio ben avviato. Al liceo stessa situazione, si passava solo se si era preparati. Nel lontano 1987 nella prima classe del liceo scientifico cui ero iscritta eravamo in 23, alla fine dell’anno scolastico vi furono tre ritirati, cinque bocciati e tre rimandati, tra i quali la sottoscritta. Finito il liceo tutti all’Università? Per forza, perché all’epoca eravamo consapevoli che il diploma di maturità era propedeutico agli studi universitari e allora…idee chiare già a quattordici anni. Ma già negli anni 50 le idee chiare occorreva averle alla fine delle elementari unitamente ad un background culturale familiare: c’era da sostenere l’esame di ammissione alla Scuola Media o andare all’Avviamento Professionale. Allora la vita dimensionava già a 10 anni, negli anni ottanta dimensionava a 14. Oggi bocciare alle scuole medie è un evento rarissimo, e allora avanti tutta verso le superiori e l’Università. Ad ingrossare le fila di chi si illude di avere un futuro “X” e si ritrovèrà deluso a vivere un futuro “Y”. Le borse di studio, almeno nella scuola media di cui ho esperienza, oggi vengono elargite in base al merito (basso) ed al reddito. E’ giusto? Non so, credo che un riconoscimento anche puramente simbolico andrebbe riservato a chi è bravo davvero e gli aiuti economici a chi è bravo davvero ed appartiene ad un nucleo familiare a basso reddito. Ma lo stop a chi non frequenta con un minimo di profitto deve essere ripristinato. Così come le scuole superiori non possono elargire diplomi a chiunque. Un conto è il diritto allo studio, altro il diritto al diploma. Altrimenti a trenta anni si studia ancora, non si produce reddito, si  è parassiti della propria famiglia e della  società che è già in affanno per garantire assistenza a chi, nel frattempo, è invecchiato dopo una vita di lavoro. Una vita di lavoro, non di pseudo giovinezza che produce danni su danni. Anche io non mi sono laureata, orfana di entrambi i genitori a 17 anni, dopo un anno di medicina ho dovuto abbandonato gli studi e… al lavoro. Un lavoro umile che oggi non vuole fare più nessuno, in un settore che assume sempre. Tant’è che oggi all’assistenza delle persone anziane o lungodegenti sono impiegati moltissimi stranieri, spesso senza preparazione. Al contrario di molte mie coetanee io ho scelto la maternità e la famiglia prima e la realizzazione professionale poi, ho ripreso gli studi dopo i trenta anni e ho preparato molti esami facendomi interrogare da mio figlio che frequenta le medie. Oggi combino con molte corse il lavoro di assistente socio sanitario con quello di counselor e, in primis, la famiglia. Volendo si può, occorre essere  “adattabili”. Adesso che inizia un nuovo anno scolastico, la tematica della meritocrazia è da affrontare seriamente, altrimenti tra altri venti anni ci saranno tanti medici che avranno rincorso lo status e non la soddisfazione di curare, non si troverà un falegname a patto di pagare il legno come se fosse oro non si parlerà più di integrazione con altre culture perché noi saremo integrati giocoforza in altre culture, a suon di soddisfare i nostri bisogni primari con lavoratori stranieri. A patto, naturalmente, che tra venti anni madre natura ampliamente violentata in nome del dio denaro e degli interessi di casta non abbia provveduto autonomamente a ristabilire l’equilibrio come la falce di Manzoniana memoria.