In pensione “d’ufficio”

 

Salvatore Ganci

Sulle lettere a “Il Secolo XIX” di oggi ne spicca una molto breve dal titolo “E’ giusto pensionare i baroni universitari”. L’Autore (immagino un giovane) osserva che mettere in pensione d’ufficio un docente universitario a 72 anni sarà “incostituzionale ma sacrosanta”. E prosegue con “La pervicacia con la quale i docenti anziani restano aggrappati agli incarichi è solo cannibalismo generazionale”. Conclude il nostro giovane Autore: “quei posti vadano ai ricercatori precari”.Ma caro amico, quando vado in Dipartimento di Fisica a Genova, una semplice occhiata ai “livelli 7 e 8” mostra a colpo d’occhio gli studi che, “per tradizione” restano vuoti e non assegnati a nessuno fintanto che il Docente è in vita. “Finché morte non vi separi” sia adatta meglio al rapporto “barone”-“studio” che al rapporto “coniugale”. Chiamala “tradizione” o chiamala “privilegio” l’università è una casta e guai turbare le tradizioni. Un Docente di Scuola, lo metti a riposo e basta: neppure la e-mail del Ministero dell’Istruzione gli danno. E poi … questo succede solo nelle Facoltà “dove non si fanno “grossi danni” (tranne abusare del denaro del contribuente). Come mai gli studi di “Neurochirurgia” sono sempre tutti occupati ed operativi? Qui non si aspettano i 72 anni sicuramente. Avete mai pensato a come si deve sentire quell’ottimo neurochirurgo al suo ultimo intervento pensando alla mattina dopo quando “non eserciterà più” perché oltre alla mente, agli occhi e forse una buona dose di “amore per il prossimo”, quello vero, ci sono anche le dita e queste non possono avere incertezze nel manipolare il contenuto di un cranio aperto. Siamo sempre di fronte a due pesi e due misure: da un lato chi resta attaccato al suo “privilegio” baronale per pilotare concorsi e persino l’assunzione del custode alla guardiola e dall’altro chi viene “forzosamente” messo a riposo perché il raggiungimento dell’età pone limiti operativi convenzionali, anche se quelle dita sono ancora efficienti. Mi dispiace per i giovani ricercatori “precari” (ma c’è qualcosa di non precario oggi?), il tempo sa selezionare anche le motivazioni.  L’unica realtà non precaria è quella di una università, che almeno per le mie aree di competenze, è  non credibile per didattica e povertà  di produzione scientifica.

 

 

6 pensieri su “In pensione “d’ufficio”

  1. … “c’è qualcosa di non precario oggi?”…
    Vero, prof. Ganci. Abbiamo reso precario (e molto relativo) anche il nostro modo di intendere la cultura, forse. Pertanto, quando Ella lamenta “povertà di produzione scientifica”, qualcuno Le potrà rispondere che adesso si può diventare ricercatori senza nemmeno una pubblicazione. Una sorta di velinismo accademico? Così come in politica, a volte, basta un bel viso e un corpo attraente per una candidatura vincente, una sorta di “nomination” con esito scontato, in alcuni atenei basta una solida appartenenza ad un “clan scientifico” o un legame parentale con un barone per iniziare la carriera. Al diavolo la produzione scientifica, prof. Ganci! Ma a chi interessa più se un ricercatore ha pubblicato uno, dieci, cento, mille lavori su riviste internazionali? Un’immensa perdita di tempo, converrà con me!
    Adesso contano le relazioni giuste. E vedrà, fra qualche tempo si metteranno alla berlina i ricercatori con una buona produzione scientifica, proprio per non far sfigurare quelli che producono poco o nulla. E saranno presi ad esempio e lodati soprattutto quei docenti con una buona frequentazione delle Procure italiane (e non già per consulenze tecniche). A loro verrà affidata la guida di qualche facoltà e nel futuro (si spera) di qualche ateneo. E se non è precaria, in questo modo, anche l’esistenza di queste istituzioni, mi dica Lei… e mi dica anche chi dovremo ringraziare per questa “positiva” evoluzione, perché io non saprei davvero dove indirizzare la mia gratitudine.
    Infine, Le chiedo di tenerci compagnia più spesso, se può. Noi (e questo non è un plurale regale) leggiamo con piacere ed interesse i suoi interventi.

  2. Gentile Commentatrice, non sono uscito dai confini italiani per potere riferire con cognizione diretta, ma ho conosciuto tanti giovani che fuori Italia sono andati per sopravvivenza (alcuni miei ex studenti), proprio perché i casi come quello a cui accenna (e che mi è ben noto) sono la nostra normalità. Ricordo anche la relazione dei Commissari in cui si parlava di “attività scientifica” del candidato (ma documentata da cosa?). Da noi vige la filosofia del “do ut des”, delle nove telefonate “giuste” per passare da “tecnico laureato” a Professore di prima fascia, del “io, speriamo che me la cavo” cercando la manica a cui attaccarsi. Il sistema regge bene in Italia perché in quanto a Lobby o Caste non siamo meno dell’India dei tempi Vittoriani. E’ così anche negli U.S.A.? E’ così anche in Inghilterra? Non sembrerebbe: tempo fa vedevo in un depliant il semplice “Mister” associato ai due nomi che rappresentano i pionieri della fotografia di speckle negli anni ’70 (Archbold e Ennos). In Italia conta innanzitutto il “titolo” (non importa come conquistato). In Italia le Riviste di “Didattica e Storia” dopo la morte del compianto Professore che le dirigeva dal 1960, sono a rischio di estinzione. Meglio neppure tentare l’invio di un lavoro. Un mio collega fu trattato molto male e con rozza maleducazione: tradotto lo stesso lavoro in Inglese lo piazzò senza fatica su Americ Journal of Physics con l’onore della recensione su “Science”. Ora, cambiare una testa può essere un’impresa facile, specie se la ragione non sonnecchia, ma cambiare le teste di una nazione richiede l’esempio di un certo numero di teste cadute (in senso figurato, s’intende). Se questa giovane Ministro (al di là della parte politica che non mi interessa) ha a cuore l’Università e la Scuola deve avere il coraggio di fare cadere delle teste , tenere stretti i cordoni della borsa e accorpare tutte le facoltà e i corsi di laurea inutili. In un Paese in cui è normale spendere milioni per calciatori d’importazione e lasciare andare all’estero i giovani migliori, sarà difficile far credere ai giovani che l’onesto lavoro è sempre premiato. E i professori? Semplice: o ricerca produttiva e documentata o licenziati. Possibile che il licenziamento di 9 operatrici è caduto nell’indifferenza generale e il licenziamento di un professore universitario scuoterebbe i due rami del parlamento? A proposito … quel figliolo diventato ricercatore a Salerno (e noto in tutta Italia) ha almeno pubblicato un lavoretto (anche in collaborazione)?

  3. Per rispondere velocemente alla Sua cortese domanda finale, prof. Ganci, il concorso in questione si tenne nell’agosto del 2004; quindi ben cinque anni fa.
    Dopo tre anni dalla nomina a ricercatore (sarebbe interessante capire il soggetto che ha nominato in questo caso!) bisogna sottoporre la propria produzione scientifica ad un’apposita commissione nazionale per la conferma nel ruolo, se non sbaglio. Se il figliolo è stato confermato nel ruolo, pertanto, immagino che qualche cosina avrà prodotto.
    Tuttavia, come Ella ha ben messo in evidenza, quando scrive “Ricordo anche la relazione dei Commissari in cui si parlava di “attività scientifica” del candidato (ma documentata da cosa?)”, se si riesce a passare il guado in quel frangente, forse è possibile proseguire nella carriera in seguito, anche abbastanza rapidamente.
    E proprio relativamente a questo caso, Ella non si augura che una nomina a professore ordinario possa avvenire, nel più breve tempo possibile, per il bene del nostro Paese?

  4. Forse mi ripeterò: fintanto che saranno le Commissioni a nominare direttamente in concorsi favoriti dall’autonomia nella Sede che ha bandito il concorso stesso temo che simili casi non finiranno. La ricetta? Concorsi centralizzati, commissioni numerose e la presenza ispettiva diretta del Ministero. La competenza della nomina al ministro e non più sulla Sede ma su una rosa di possibili sedi. Sarebbe saggio salvare le pagine web con le relazioni dei singoli commissari e mandarle a futura memoria per indicare che anche il Commissario è colpevole di avere truffato lo Stato. Ha svolto palesemente e documentatamente male il suo ufficio effettuando di fatto una perizia infedele. E sempre a proposito di “perizie infedeli” quel Preside di Facoltà che ne firmò una immagino che sia già “libero e felice” e, ovviamente reintegrato a furor di popolo. Se è così non mi sbaglio molto quando ritengo che l’effetto latitudine in qualche modo condizioni la vita degli atenei del sud.
    Questa giovane Ministro avrà forse il coraggio di mozzare quella mezza dozzina di teste? Se ci riuscirà passerà alla Storia. Me lo auguro.
    Cordiali saluti
    Salvatore Ganci

  5. … “quel Preside di Facoltà … immagino che sia già “libero e felice” e, ovviamente reintegrato a furor di popolo. Se è così non mi sbaglio molto quando ritengo che l’effetto latitudine in qualche modo condizioni la vita degli atenei del sud”.
    Mi risulta, caro prof. Ganci, che il preside a cui Ella forse fa riferimento è tuttora interdetto dall’esercizio delle sue funzioni. Credo che sia lo stesso che ha curato quel concorso agostano. Tuttavia, la vicenda nella quale è stato coinvolto non ha creato alcuna crepa in quel senso di appartenenza alle “istituzioni” di vari docenti. Presto, credo, lo vedremo ancora all’opera, fosse solo per continuare a rimbrottare qualche docente che non fa il proprio “dovere” o per promuovere qualche carriera di persone “meritevoli”.
    L’effetto latitudine influenza soprattutto le Procure, a mio avviso, troppo attente ai ladri di biscotti e molto distratte quando qualcuno chiede giustizia per concorsi chiaramente pilotati. Vedrà, prof. Ganci, che presto questi preziosi personaggi saranno di nuovo in sella per il nostro bene. Non disperi…

  6. Già, con i ladri di biscotti il gioco è facile. Nulla disgusta di più di un reato commesso per fame: infatti un ladro di biscotti extracomunitario è stato ammazzato a sprangate. Il reato di “falso in atto pubblico” è invece tipico di chi, ha così tanti impegni ed è richiesto da così tante parti” che ha messo la firma per “distrazione” al lavoro fraudolento di un suo leccapiedi troppo giovane ed inesperto. E’ questa la testa che cadrà…non quella di questo stimato “Preside”. Che questo “individuo” arrivi a vessare le persone esterne al suo sottoinsieme di leccapiedi non mi meraviglia: l’intelligenza spaventa sempre chi è mediocre (ma è al comando) come non mi sorprende che costui avesse le mani in pasta in quel famoso concorso di quel caldo agosto. E’ la filosofia del “siamo una casta e nulla ci toccherà”. Io spero sempre che a ognuno sia dato il dovuto. Al “cadere delle prime teste”, da buoni italiani, tutti gireranno la gabbana per l’altro verso.
    Salvatore Ganci

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