Minima immoralia

Fulvio Sguerso

Ogni essere vivente tende a un fine; se non altro a quello di perpetuare la propria vita. E non solo gli esseri viventi: per il filosofo Ernst Bloch anche la materia inanimata tende, sia pur inconsciamente, a un fine. Sarebbe infatti assurdo che il cosmo, l’universo in cui nuotano “i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo le loro specie” (Gn 1, 21), fosse dato una volta per sempre, identico a se stesso, immobile e statico, senza mutamento né svolgimento, come una massa opaca, cieca e del tutto passiva.  D’altronde la fisica contemporanea ci ha dimostrato che la materia è tutt’altro che inerte. E se la materia così detta inanimata è costituita da particelle in continuo movimento, quanto più lo saranno gli animali che nascono, si nutrono, si attraggono (o si respingono), si riproducono, inseguono il loro piacere e fuggono, finché possono, dal dolore e infine muoiono tornando alla polvere da cui erano venuti! Tra questi animali una specie pare distinguersi per doti e facoltà, per così dire, sovraordinate, come l’intelletto, la parola, la ragione, il senso del bello, la creatività, il sentimento, il libero arbitrio, la volontà e, secondo alcuni, la coscienza, e, secondo altri, l’anima o lo spirito, per natura o per grazia orientato verso il Bene; tanto che, venendo meno anche una sola di queste facoltà, difficilmente potremmo riconoscere quella specie come umana. Prendiamo il libero arbitrio: chi ne fosse privo agirebbe non per scelta ma per istinto, cioè per una specie di necessità imposta da un meccanismo cieco e sordo, sarebbe una macchina, un robot manovrato da altri per altri fini ignoti al soggetto passivo dell’azione, un grave che cade per forza di gravità; insomma, invece di agire, sarebbe agito, e quindi verrebbe meno ogni sua responsabilità, e nessuno potrebbe imputargli una qualsiasi colpa. Senza libero arbitrio, dunque, nessuno è responsabile di alcunché, e se nessuno è responsabile viene a cadere il principio stesso della moralità. Come potremmo infatti giudicare immorale un’azione che non poteva essere diversa da quella compiuta? Già, ma fino a che punto possiamo stabilire ciò che si poteva o non si poteva fare in determinate circostanze? E come risulterebbe imputabile una persona priva di intelletto e di coscienza? Non per niente, in certi casi, ci si avvale dell’incapacità di intendere e di volere: un povero folle non è responsabile dei propri atti, né di quelli buoni né di quelli malvagi, non essendo in grado di distinguere gli uni dagli altri. Il giudizio morale vale dunque solo riguardo a chi sa quello che fa e quello che vuole, e riguardo a chi, pur conoscendo il bene, sceglie per il male. Questo caso non sarebbe possibile per un’etica intellettualistica come quella socratica e platonica, secondo la quale chi conosce il bene non può non compierlo e, se non lo compie, è perché non lo conosce veramente, e il male è dovuto a ignoranza. Bene, fatta questa lunga ma, a nostro parere, indispensabile premessa, che cosa si può dire che non sia già stato detto circa l’eterna  “questione morale” che ritorna come una maledizione a turbare le coscienze dei quei concittadini ancora in possesso di una coscienza civile, politica e, appunto, morale? I politici corrotti e corruttori sanno quello che fanno o solo quello che vogliono? E, se lo sanno, perché lo fanno? Per il potere e per il vil denaro? Bella soddisfazione! Ormai lo stesso termine “morale” ha quasi perso il suo senso originario di “dovere iscritto nella coscienza”, di “legge non scritta che sta al di sopra di tutti i codici civili e penali” o, secondo la celebre massima kantiana, dell’imperativo che ci impone di considerare i nostri simili sempre e soltanto come fini e mai come mezzi; oggi sembra che sia un comportamento morale agire in modo da evitare gli avvisi di garanzia, o, una volta ricevutone uno, delegittimare il magistrato che l’ha emesso. La classe politica, si dice da tempo, è in un conflitto permanente con la magistratura; oh, non con tutta, sia chiaro (esiste per fortuna anche una magistratura “seria”, cioè rispettosa dei poteri costituiti) , ma solo con quella “politicizzata” che non si perita di ipotizzare reati minori come la corruzione in atti giudiziari, associazione per delinquere di stampo mafioso, concussione, frode e truffa ai danni dello Stato da parte di amministratori pubblici, Presidenti di Regione, deputati, senatori, ministri e Presidenti del Consiglio emeriti o in carica. Di qui la necessità di rivedere e di emendare la Costituzione, in senso ancor più garantista, soprattutto per le più alte cariche dello Stato: non è più tollerabile che un qualunque procuratore della Repubblica possa intralciare gli affari e le alte strategie della classe politica al potere. Tuttavia non è giusto fare di tutta l’erba un fascio: ha fatto bene il sindaco di Firenze a incatenarsi davanti alla sede di un giornale che aveva messo in piazza gli affari sporchi della sua giunta! Ribellarsi è giusto! Ma perché non ha fermato prima la speculazione del costruttore Ligresti? Era proprio necessario un nuovo stadio al posto di un parco nell’area di Castello? Chi ci avrebbe guadagnato, il Comune o Ligresti? Tutti e due? Davvero? E chi ci avrebbe perso? Nessuno? Suvvia (anzi, hovvia)! Ma il caso di Firenze non è che uno dei tanti. Per carità di patria non voglio infierire sulla giunta della mia città, Savona,  già duramente colpita dalle stilettate dei “rivoluzionari in pantofole” (felice metafora con la quale un componente della giunta medesima ha bollato gli avversari del “partito del cemento” che amministra il Comune) che  si ostinano a non capire le magnifiche sorti e progressive rappresentate dalla rivoluzione urbanistica i cui primi benefici effetti sono  già sotto gli occhi di tutti: vedi i grattacieli Bofill, il palazzaccio del Crescent (mezzaluna) a far da bastione sul porto, e l’allarme crescente che il progettato porticciolo per vip della Margonara, corredato dalla famigerata torre tortile marina di Massimiliano Fuksas, sta diffondendo tra i vecchi e i giovani savonesi, così  provincialmente attaccati allo scoglio della Madonnetta. Agli amministratori “riformisti” e “progressisti” della giunta comunale vorrei solo chiedere, per favore, se non possono rispettare, per esigenze di bilancio, l’ambiente costiero, di rispettare almeno il vocabolario, evitando di chiamare “riforme” le colate di cemento, e “progresso” la speculazione edilizia. Sempre che non sia troppo chiedere.