A Vicenza niente presidi che arrivino dal Sud

 Giovanna Rezzoagli

Sono trascorsi sei giorni da quando il consiglio provinciale di Vicenza ha approvato, con una maggioranza di 26 voti su 27, una mozione in base alla quale non potranno essere assegnati i posti vacanti di Dirigente Scolastico a persone provenienti dal meridione. I media nazionali non hanno riportato la notizia se non con un fugace trafiletto comparso su Mediavideo il 22 luglio, subito scomparso. Anche su Internet la notizia viene riportata in modo diverso da agenzia ad agenzia. Un punto comune però si trova in tutti gli articoli: i consiglieri della città veneta prevengono le accuse di razzismo mettendo le mani avanti e puntando il dito contro i cosiddetti (ed ormai famosi anche all’estero) “concorsi all’italiana”. Secondo i consiglieri provinciali vicentini, la mozione è una provocazione ideata per sollevare la questione degli squilibri regionali nelle nomine dei dirigenti scolastici. Le regioni del sud (Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna) a partire dal 2004 (anno del concorso per presidi) hanno raccolto un numero di domande per i posti di dirigenti superiori a quelli da ricoprire. Una situazione spinosa e difficile da disaminare, che  non è difficile prevedere arrivi presto alle carte bollate. Qualche decennio fa, al nord non si affittava volentieri un appartamento a “gente meridionale”, oggi accade molto meno, ma accade ancora. Adesso tocca ai posti di lavoro e si arriva ad avallare in contesto istituzionale la discriminazione. Si possono addurre tutte le spiegazioni del mondo, ma sempre di discriminazione si tratta. Da un punto di vista prettamente sociologico nulla di nuovo, specialmente in momento di crisi economica. Il malcontento sociale spesso converge in politiche etnocentriste a volte subdole, a volte manifeste, come nel caso di Vicenza. E’ un meccanismo pericoloso, perché si autoalimenta nel plauso pubblico, come è quello di un consiglio regionale, e si sviluppa nel silenzio e, peggio ancora, nell’indifferenza. E’ innegabile che ancora oggi le differenze socio culturali tra nord e sud Italia esistano, altrettanto innegabile che vi sia una recrudescenza di pregiudizi e conflittualità. Non a caso episodi con radice di odio sociale sono assai frequenti proprio all’interno delle istituzioni scolastiche, primo banco di prova sociale dopo quello della famiglia. I bambini ed i ragazzi portano nelle classi ciò che apprendono a casa, la scuola può “incrinare” e mettere in discussione i modelli appresi in famiglia, ma può anche confermarli, in alcuni casi legittimarli. Gli insegnanti sono preparati adeguatamente a far fronte a queste nuove emergenze educative? A guardare i dati relativi alla sola preparazione culturale degli studenti italiani, i dubbi sulla capacità di trasmettere contenuti educativi  da parte dei docenti credo siano perlomeno legittimi. Credo valga la pena ricordare anche i numerosi episodi di razzismo di cui è stato vittima un ragazzo napoletano in una scuola di Treviso, denunciati ed, in questo caso, ripresi sia dalla stampa che dalla televisione. Sono tutti segnali di allarme che, si spera non restino inascoltati.