Giffoni Film Festival: tabù giovanili, parlare di sè

 Il tabu’ più invalicabile dei ragazzi? Riuscire ad essere se stessi. E’ quanto emerge dal sondaggio realizzato tra i 1.000 giovani giurati provenienti da tutto il mondo del 39esimo Giffoni Film Festival. Il tema scelto per l’edizione che si conclude oggi  è proprio il tabu’. E alla domanda “qual è il tuo tabu’” i ragazzi di Giffoni, di un’età compresa tra i 13 e i 18 anni, hanno manifestato proprio la difficoltà di esprimersi come il limite principale. Da alcuni ragazzi il tabù viene percepito come un divieto, una proibizione applicata con forza a vari aspetti del comportamento umano e sociale: “drogarsi”, “ubriacarsi” e “fare sesso”, “essere emo” ed “essere punk” sono le risposte più presenti di questa categoria. Ma la sorpresa è che la risposta più frequente alla domanda su qual è il tuo tabù, espressa da circa il 30% dei giurati di Giffoni, è  “riuscire ad essere me stesso”: i  ragazzi del 2009 considerano un muro invalicabile il potersi esprimere liberamente, senza timori di venire giudicati sbagliati in una società a cui si è costretti ad adeguarsi. “qualcosa di cui non si vuole parlare” “poter essere se stessi”, “esprimere agli adulti i propri sentimenti nascosti”, “parlare di cose di cui è difficile parlare”, “manifestare liberamente i miei sentimenti”, “farmi capire dai miei genitori”, “avere un dialogo con i genitori” , “le catene che non ci permettono di esprimerci”, “aver paura di parlare” sono le varianti delle risposte fornite dai ragazzi e che indicano una gravissima difficoltà ad essere se stessi.

2 pensieri su “Giffoni Film Festival: tabù giovanili, parlare di sè

  1. Nietzsche ha affermato :”Diventa ciò che sei”, è il difficilissimo ed allo stesso tempo affascinante obiettivo che si pongono i giovani ed i meno giovani. La società coarta i comportamenti incasellando i diritti ed i doveri di ciascuno. Il bisogno di autoriconoscimento costituisce la spinta adolescenziale più forte proprio per portare il giovane a “divenire”. L’equilibrio è il punto d’arrivo. La società attuale si porta addosso il malessere del non ascolto e di un costante giudizio e condizionamento dell’individualità. Il Counseling, fondato sull’accettazione incondizionata e sul non giudizio, può offrire un concreto supporto nell’aiutare l’individuo a superare il disagio esistenziale. Il giovane d’oggi rappresenta spesso un “caso umano” e non un “caso patologico”.
    Giovanna Rezzoagli

  2. Come è noto, i tabù erano originariamente interdizioni riguardo al contatto con oggetti sacri o impuri. In senso profano i tabù riguardano discorsi su argomenti scabrosi o azioni considerate riprovevoli dalla morale corrente in una determinata cultura. Per esempio,
    il parlare troppo di sé era (ed è) indizio di mala educazione in certi contesti (poniamo in un salotto). I giovani hanno difficoltà a parlare dei loro sentimenti e a esprimersi di fronte a estranei? Non v’è dubbio, anche perché il loro sé e ancora in formazione, e non sanno bene ancora chi sono veramente.In questo però si trovano in buona compagnia: non sempre e non tutti, anzi, possiamo tranquillamente affermare che pochi adulti sanno veramente chi essi sono: i più preferiscono accontentarsi di apparire piuttosto che di essere, anche perché per “diventare ciò che si è” bisogna, come scrive Nietzsche in “Del grande anelito” nello Zarathustra, innaffiare la propria anima “con ogni sole e notte e silenzio e anelito: – e così tu crescesti come una vite, anima mia, e ora sei traboccante di ricchezza e greve, una vite dalle gonfie mammelle e dai grappoli densi e bruni come l’oro….”. Crescere significa tendere alla vita piena, ma per raggiungerla è necessario liberarsi dei cordoni ombelicali che ci tengono in soggezione dei giudizi altrui, e non è un’operazione indolore.Tant’è vero che i più si accontentano di vivacchiare. Non è presunzione? Come faccio a sapere come vivono i più? Beh, se i più tendessero alla vita piena non sarebbero tanto facilmente sedotti dal ciarlatano o dal mago di turno. E in ogni caso sarei lieto di essere smentito.
    Fulvio Sguerso

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