Fort Apache e il calcio: ottavo atto


Aldo Bianchini
Forse molti non la sanno ma John Martin (il mitico trombettiere di Custer) era nativo di Sala Consilina, sì proprio il cosiddetto capoluogo del Vallo di Diano, da dove il giovanissimo Giovanni Martino (questi era il vero nome di Martin) pieno di speranze per un futuro fatto di conquiste più economiche che storiche. Come invece fortunatamente per lui finì la sua avventura americana. Partì, quindi, da Sala Consilina alla volta degli States con un peso sullo stomaco: la sua città si era sempre distinta in tutti gli sport, soprattutto nell’atletica; straordinarie le batoste che il gruppo sportivo del locale Liceo riusciva a rifilare ai più accorsati gruppi delle scuole di Salerno ed anche al CSI; mancava il calcio, benedetto calcio, sul quale il capoluogo provinciale aveva da tempo disteso un velo impenetrabile ritenendo la squadra granata (la Salernitana, ndr!!) una specie di “cosa nostra” dei vari sindaci che nel tempo si succedevano a Salerno, tutti di estrazione yankee. Il buon John Martin portò, però, con sè i colori della Salernitana (almeno un fiocco granata se non una maglietta, a quei tempi c’era carenza di mezzi !!) che erano ben visibili sulla sua tromba quando veniva illuminata dal sole cocente dell’Arizona. Lui, Martin avrebbe voluto fare della Salernitana una squadra di tutti, ovvero la squadra che potesse rappresentare tutta la provincia di Salerno. Pensava, comunque, di non dover mai più affrontare un simile problema, soprattutto in America, così apparentemente lontana dai campanilismi.  Dovette subito ricredersi quando in visita a Fort Apache, prima che iniziasse l’attacco finale, si ritrovò a far da paciere nel bel mezzo di una rissa furibonda tra il colonnello Thursday e il maggiore Wilkins che consigliava (grazie anche ai buoni uffici di Custer) di essere più prudente nel dichiararsi padre-padrone anche della squadretta di calcio del forte.  Stufo, il buon Martin, chiamò a sè l’irruente Cavallo Pazzo (capo dei Sioux) e lo indusse a contattare il capo dei feroci Cheyennes “Due Lune” noto per essere un ottimo imprenditore di Vallo Creek (vicino Sala C.) che stava unendosi a Cochise per l’attacco finale al forte e quindi a Thursday. Due Lune non si fece pregare più di tanto, forte dei suoi bilanci economici, acquistò subito la squadretta del Forte che stava per essere sciolta e la ricostruì in poche settimane riuscendo a tenerla a galla. Si rifece vivo Thursday per reclamare i suoi diritti, quasi da “ius primae noctis”, e il suo potere sulla squadretta. Apriti cielo, si scatenò una battaglia politico/strategica. Due Lune accusò subito Thursday di non aver favorito la squadretta nelle concessioni comunali relative alla costruzione di un piccolo campetto; i tifosi subito si inalberarono, i cronisti/velinisti assunsero posizioni diversificate a seconda gli interessi da tutelare, e Thursday minacciò tuoni e fulmini. Intervenne allora Cavallo Pazzo che promosse, nella mega/tenda di Cochise, un incontro con il furente Due Lune con la promessa dell’appoggio incondizionato alla squadretta in cambio della poltrona di Thursday una volta che il “grande nemico” fosse stato sonoramente sconfitto. Drastica la reazione del colonnello che, invece di preoccuparsi, incontrò tale “Dorfles” (rappresentante di uno sparuto gruppetto di critici d’arte) per capire se il rinforzo della parte ovest del forte (suggeritagli da York) era in linea con le ledggi ambientali dell’epoca. E solo di sfuggita fece finta di dare un’occhiata a Grimaldi (allievo di Custer) che era andato da lui per parlare della rivolta dei giovani capeggiata da qualche facinoroso soldato. E così, mentre l’assedio si faceva ogni giorno più asfissiante, Thursday inanellava altre due mosse che la storia, poi, giudicherà inutili se non  controproducenti.