Spiritualità: gli angeli dell’isola di Capri

 don Marcello Stanzione

 Tempo d’estate è tempo di escursioni e di gite. Uno dei luoghi da visitare almeno una volta nella vita è Capri. Ci si può imbarcare da Napoli, Sorrento, Salerno e raggiungere Capri, l’isola che è famosa in tutto il mondo perché unisce storia, natura, clima, eventi, mondanità. Pur essendo piccola, un turista può frequentare rive affollatissime oppure trascorrere del tempo libero in baie isolate, tra il canto dei gabbiani ed il rumore del vento. A Capri vi è un mix di cultura (il sottoscritto ogni anno è invitato a partecipare al prestigioso premio culturale Capri-San Michele, ideato dal prof. Raffaele Vacca) e di divertimento: numerosi musei contenenti reperti archeologici, resti di antiche ville romane, lussuosi negozi, eleganti alberghi, botteghe di artigiani, splendide chiese, nonché artisti di strada che si lasciano ispirare dalla bellezza del paesaggio. Non è difficile incrociare, tra le vie principali, star del cinema o della musica. Una volta giunti a Capri, ci si può spostare con i mezzi pubblici e raggiungere i punti più importanti. La funicolare, infatti, consente di raggiungere il centro dell’isola, da Marina Grande, che è l’unico porto di Capri. Una seggiovia, inoltre, consente di collegarsi, in pochi minuti con Anacapri ed il monte Solaro, a quasi 600 metri sul livello del mare. In cima al monte si gode di un panorama a 360 gradi di Capri e, in lontananza, si scorgono le montagne della Calabria, il Golfo di Napoli, la Costiera Amalfitana, le isole di Ischia e di Procida. A livello gastronomico sono famosi in tutto il mondo i ravioli capresi, ripieni di caciotta sorrentina e conditi con pomodoro fresco, la torta caprese con cioccolato e mandorle, l’insalata caprese con mozzarella  di bufala e pomodoro e per concludere il limoncello come digestivo. Noleggiando canoe o pedalò, è possibile visitare Capri via mare scoprendo fondali ricchi di fauna e flora e le numerose grotte, come la Grotta azzurra. Pochi però sanno che Capri è piena di riferimenti agli angeli.  Il 14 luglio 1683, l’armata comandata dal Gran Visir Kara Mustafà, dopo aver costretto il Comandante imperiale Carlo V di Lorena ad abbandonare la linea sul fiume Raab, giunse nei pressi di Vienna, da dove si era appena allontanato l’imperatore Leopoldo I con la sua corte per trasferirsi a Passau, e la pose in stato d’assedio. L’armata comprendeva circa 150.000 uomini e trecento cannoni. Era chiaro che, se i Turchi, chiamati da rivoltosi protestanti ungheresi, avessero conquistato la Capitale imperiale, la civiltà occidentale cristiana sarebbe stata in grave pericolo. Consapevole di questo, a Capri, dove aveva fondato una Comunità femminile, con il Monastero del Santissimo Salvatore, Suor Serafina aveva incominciato a pregare con le sue consorelle carmelitane affinché Vienna non fosse conquistata.In un giorno dell’agosto 1683, in un “empito straordinario dello Spirito”, si rivolse a San Michele Arcangelo, del quale era sempre stata devotissima e così lo pregò: “Io non posso andare a combattere per l’Imperatore, giacché sono una donna imbelle, vivo rinchiusa e non valgo nulla. Andate voi ad aiutare la nostra fede. Se voi liberate Vienna assediata vi prometto che, a costo di qualunque fatica, andrò ad Anacapri e vi fonderò una chiesa ed un monastero”.Dopo che da Vienna, continuamente bombardata, era stato respinto ogni invito di resa, la battaglia tra l’armata turca e le truppe imperiali cristiane, guidate dal re di Polonia Giovanni Sobieskij con Carlo di Lorena ed Eugenio di Savoia scoppiò il 12 settembre. Si concluse con la vittoria delle truppe imperiali. Avendo conosciuto l’esito della battaglia, l’11 ottobre 1683, Suor Serafina salì da Capri ad Anacapri, dove, in una casa che le era stata donata, fondò il Monastero di San Michele. L’affidò alle due suore che aveva portato con sé, designando una come superiora, l’altra come maestra delle novizie. La Casa incominciò ad ampliarsi, mentre iniziava la costruzione della chiesa, su progetto dell’architetto Domenico Antonio Vaccaio, che sarebbe terminata nel 1719, venti anni dopo la morte terrena di suor Serafina. Solo nel 1761 sarebbe stato collocato in esso il pavimento maiolicato, opera di Leonardo Chiaiese, che l’avrebbe resa celebre in tutto il mondo. Il pavimento, composto da circa 2500 mattonelle, raffigura un idillico paradiso terrestre, con prati, possenti alberi dalle robuste radici, piante da frutta, ciuffi d’erba, azzurri rivi, attraenti cascate, animali di vario genere, anche leggendari come l’unicorno, uccelli, ed un cielo pieno di stelle con a destra una falce di luna crescente ed a sinistra il sole splendente. Quasi a centro, sul primo di una serie di alberi e attorcigliato il diavolo sotto forma di serpente. Più sotto c’è una implorante Eva ed un Adamo che fugge atterrito. Vengono scacciati da un Angelo che brandisce la spada ed è raffigurato sopra una nuvoletta. Come è noto la Genesi rivela che fu Dio stesso a scacciar dal Paradiso terrestre Adamo ed Eva, dopo che si erano lasciati persuadere dal diavolo a mangiare il frutto dell’albero del bene e del male. E che dopo averli scacciati, “pose ad Oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire la via dell’albero”. Ma l’angelo immaginato da Leonardo Chiaiese rivela che, quando egli dipinse il pavimento, gli Angeli erano ancora considerati, come nota Romano Guardini, messaggeri di Dio, avvolti del mistero dello Spirito Santo e ricolmi della sua potenza. Erano al margine del mondo degli uomini, ma vi entravano muovendo da Dio, compiendo il loro servizio e tornando a scomparire nel mistero del cielo.Solo in seguito, come nota lo stesso Romano Guardini, la loro immagine si è sempre più ridotta a misura umana, anche perché alla fede è subentrata la leggenda. E così la loro immagine è diventata più sentimentale, più giocosa, ed essi per la vita cristiana hanno perso quasi ogni significato. La chiesa di Anacapri, quantunque sia dedicata a San Michele, se la si osserva bene potrebbe essere considerata una chiesa degli Angeli. Due piccoli angeli sono raffigurati ai piedi della statua di legno dell’Immacolata, posta nel lunotto in alto sulla parete dell’altare maggiore. Angeli sono raffigurati nella Natività e nell’Orazione dell’Orto di Giacomo del Po, poste sulle pareti laterali dell’altar maggiore, che rappresentano due delle opere più illustri della pittura napoletana del ‘700. Angeli sono in tutte le quindici tele che arricchiscono la chiesa. A destra, nella prima cappella, c’è quello che rappresenta San Raffaele con Tobia, nella terza quella dell’Annunciazione con San Gabriele, la Madonna e lo Spirito Santo in forma di colomba. Entrambe sono di Paolo de Matteis.Al centro dietro l’altare maggiore c’è il San Michele di Nicola Malinconico, dall’impeto guerriero ma da un volto “divinamente bello”. San Michele è raffigurato anche nell’Affresco che si trova all’esterno, nella lunetta sulla porta d’ingresso principale,  e nel paliotto degli altari in legno delle quattro cappelle minori. Due bellissimi angeli, vagamente seduti, ognuno dei quali sorregge un candelabro, sono scolpiti ai lati dell’altare maggiore, che è in marmo, e costituiscono un corpo solo con la base. Tre tele hanno un angelo per protagonista. Sono di Paolo de Matteis. Due sono poste sulla parete centrale dietro l’altare maggiore accanto alla tela del San Michele di Nicola Malinconico. La terza si trova nella cappellina di sinistra. Tutte raffigurano un angelo custode con le ali che ha vicino un bimbo. In quella della cappellina il bimbo è sul ciglio di un burrone, verso cui guarda spaventato, ma l’angelo, che non poggia i piedi a terra ma è su una piccola nube, gli tiene un braccio con la sinistra, mentre con la mano destra indica il cielo ovvero la vita eterna. Negli atti del Sinodo della Diocesi di Capri, indetto dal vescovo Paolo Pellegrino, e svoltosi nel maggio 1642, è menzionata la Chiesa di S. Angelo de Capite Montis in quanto meta di una processione. Si trovava in alto, subito dopo la Porta d’ingresso ad Anacapri, dove terminava la scala in gradini di roccia che saliva da Marina Grande, che era l’unica, normale via d’accesso al paese. La chiesetta, con un piccolo campanile e relativa campana risulta ancora attiva sia nella visita pastorale del 1732, quando era vescovo Mons. Giovanni Maria De Laurentiis, sia nella visita pastorale di mons. Francesco Antonio Rocco nel 1755. in essa si trovava un altare dedicato a San Michele Arcangelo, ed un secondo altare dedicato a Santa Lucia. La cappella fu trasformata in deposito di polveri da sparo e di munizioni dai francesi, che occuparono l’isola nel 1808 togliendola agli inglesi. Quando Axelmounthe, nel 1876, giunse per la prima volta nell’isola di Capri, la chiesetta, che si trovava sopra una costruzione romana, era in rovina. Il pavimento era coperto fino all’altezza d’uomo con i resti della volta crollata, i muri erano nascosti da edera e caprifoglio selvatico e centinaia di lucertole giocavano allegramente tra folti arboscelli di mirto e di rosmarino. In seguito Axelmounthe acquistò l’attiguo vigneto con la Casa di Mastro Vincenzo, ed unendoli con la cappellina ed il sottostante rudere romano costruì la sua Villa, alla quale dedicò il libro intitolato La storia di San Michele. Pubblicato a Londra nel 1929, tradotto poi in oltre 40 lingue, è stato uno dei maggiori best seller del ‘900. l’opera ha contribuito a far sì che Villa San Michele sia visitata annualmente da centinaia di migliaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Lo stesso cardinale Ratzingher, oggi papa Benedetto XVI, avendo letto tale libro fu incuriosito di visitare Capri e ricevette per due volte il premio culturale Capri-San Michele ed alloggio anche a Villa san Michele creata dal famoso medico svedese. La cappellina, che era diventata la sua biblioteca, ora ospita, di quando in quando, concerti serali. Sulla parete centrale (dietro alla quale c’è la piccola sagrestia) c’é un grande camino, con su un busto assai danneggiato in legno di San Raffaele. E’ stato il sottoscritto a scoprire che l’angelo raffigurato è san Raffaele e non san Michele come è scritto erroneamente su tutte le guide di Capri, perché l’angelo ha in mano una boccetta di farmaci e questo è simbolo dell’angelo medicina di Dio. Anche l’autorevolissimo mons.Thimoty Verdon, uno dei maggiori esperti mondiali di arte sacra, mi ha dato ragione a riguardo. Dietro alla sagrestia c’è una piccola statua in marmo di San Michele, che non ha più la sua spada, e che sembra voler invitare gli uomini all’incanto della natura,  giacché da lì “in un solo sguardo si contempla ciò che di più bello Dio ha creato per rendere ameno e delizioso il soggiorno di un’ora”. Altre immagini di san Michele si trovano disegnate nei due piccoli marmi posti sulla facciata esterna della Villa. Quello più vicino alla porta d’ingresso sottostante all’immagine di san Michele che regge con la sinistra la bilancia, e che presenta sulla sua destra due figure inginocchiate, riporta la scritta “Domines societatis s.t Michaelis arcangeli borgo”, e viene  quasi certamente da Roma. A Capri poi si vende anche la campanina  di san Michele. Durante la seconda guerra mondiale l’allarme per rifugiarsi nei rifugi contro i bombardamenti aerei veniva dato con il suono della campana grande della Chiesa Monumentale di san Michele. Parecchi correvano nei ricoveri scavati dove era stato possibile. Altri spiavano con ansia e timore il sopravvenire di stormi di aerei, che però passavano quasi sempre al largo, ed andavano a sganciare bombe ed a seminare distruzione e morte sulla terraferma. Quando, nel 1944, l’isola di capri diventò un “rest camp” proprio per l’aviazione americana, fu creata la campanina di san Michele, che gli aviatori inviavano come souvenir caprese ai familiari lontani o portavano con sé andando via dall’isola. Era prodotta in argento, ma fu prodotta anche in altri metalli, ed in varie dimensioni. Un grande esemplare in bronzo, nel Natale del 1945, fu donato al governatore americano dell’isola, il colonnello Carlo E. Woodward, affinché lo consegnasse, come avvenne, al presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, come simbolo di speranza, pace e libertà.