Tra grazia e peccato

 Fulvio Sguerso

E’ ancora possibile parlare di Dio dopo i tanti annunci della sua morte, e soprattutto dopo la sua sostituzione con gli innumerevoli idoli a cui oggi la folla del mercato, degli stadi, delle piazze reali o virtuali, sacrifica quel che resta del suo malcerto intelletto? Una risposta affermativa è pronunciata, testimoniata e argomentata nel libro intitolato Tessere. Un itinerario teologico (Natrusso communication, 2008) dal teologo Giampiero Bof.  Non si tratta però di una risposta soave e piana; nella prefazione l’autore avverte il lettore circa l’asperità dell’impresa: “Il testo può valere anche come esperimento di sopportazione: chi giunga al fondo della prova avrà buone ragioni per ritenersi pronto a discorsi teologici  che abbiano un maggiore e più diretto interesse per l’esistenza e per la storia di ciascuno che le prospetti in direzione cristiana”. Bene: dal momento che, pur navigando “in piccioletta barca”, sono giunto al fondo della prova, posso anch’io ritenermi abilitato a parlare non di Dio, sia chiaro, ma dei discorsi che si fanno su, o intorno, o dinanzi, o grazie a Dio. Uno dei leitmotiv di questo itinerario, che si configura come un vero e proprio percorso formativo sui fondamenti della teologia cristiana, è che solo Dio può parlare adeguatamente di se stesso, e le parole umane che parlano di Dio non sarebbero altro che vana chiacchiera (o addirittura bestemmia) se non fossero ispirate, tramite lo Spirito Santo, dal Padre misericordioso. “Nella coscienza biblico-cristiana, Dio parla ‘con’ l’uomo: intesse un dialogo con lui (Eb 1, 1): è quanto propone il discorso sulla parola di Dio, sulla rivelazione; le quali sono irriducibili a informazione, o comunicazione di contenuti conoscitivi obiettivi”. Il discorso teologico si basa quindi sulla rivelazione, e il logos umano, in questo orizzonte, ha senso solo in quanto riflesso e risposta al Logos divino.  Ma come è possibile un simile dialogo ? E’ quello che viene spiegato nelle tessere di questo mosaico testuale  dedicate alla categoria della mediazione e, in particolare, alla mediazione cristiana e “pneumatologica”; con questo tema entriamo proprio nel cuore pulsante della teologia cristiana, nel mistero trinitario e nella missione soteriologica di Cristo: “Gesù mediatore nella creazione e della alleanza è tema specifico dell’epistola agli Ebrei, la quale conduce a sintesi affermazioni sparse in tutto il NT. Gesù mediatore e redentore, non in senso originariamente cosmico, bensì storico-salvifico; ma di qui si sprigiona  anche la sua mediazione cosmica, esercitata nella creazione ‘in Cristo’, alla quale fanno riferimento Paolo, Giovanni, l’epistola agli Ebrei. “ Gesù è, infatti, per il cristiano, la via, la verità e la vita: tramite il Figlio presente, visibile e ascoltabile possiamo conoscere il Padre invisibile (e talvolta assente, lontano e muto). La presenza di Gesù nel mondo significa anche la presenza del Regno di Dio già su questa terra che sembra ormai dominata dal principe delle tenebre. Se Gesù è Figlio unigenito è anche erede del Regno del Padre, e se i cristiani sono figli adottivi di Dio, significa che sono coeredi di Cristo, e in questa eredità si realizza anche la promessa fatta ai patriarchi Isacco e Giacobbe, in quanto a loro volta eredi della promessa fatta ad Abramo (Eh sì: “ profondo è il pozzo del passato”, scrive Thomas Mann nelle Storie di Giacobbe!). Ma noi non sapremmo nulla di questa promessa se non ci fosse stata annunciata da Gesù, il quale, a sua volta, l’ha ricevuta dallo Spirito di Dio: “La mediazione di Cristo non è semplicemente comprensibile senza l’integrazione della funzione esercitata dallo Spirito. In nessun momento della realtà cristica, specificamente in quelli nei quali la realtà di Cristo tutto in sé ricapitola, e compagina, dalle molte membra, l’unico corpo di Cristo. E’ questo il frutto proprio del dono e della presenza efficace dello Spirito, che diviene l’anima di quel corpo, il divino abitatore di quel tempio; e per questa realtà comunionale, come per ogni singolo in essa integrato, egli diviene colui che insegna tutta la verità, intercede, prega per essi e in essi”. In Gesù, quindi, la trascendenza di Dio si fa misteriosamente immanenza: et Verbum caro factum est, il Verbo, il Logos si è fatto carne “e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14). Dunque con l’avvento del Figlio di Dio la distanza, anzi, l’abisso che separava l’uomo da Dio a causa del peccato originale è stato colmato? Non esattamente: “Alla santità di Dio sta di fronte non l’uomo finito, bensì il peccatore, da Dio separato da un abisso invalicabile. L’avvicinarsi a Dio altro non sarebbe che la sua ‘morte’. Non però l’avvicinarsi di Dio, benevolo e misericordioso.” E qui incontriamo un altro tema fondamentale della teologia cristiana, quello della grazia. Come possiamo definirla? “Grazia è categoria radicalmente teologale: dice originariamente Dio stesso, Dio nel suo essere, nella sua essenza, come sono cristianamente conoscibili e definibili nel quadro della rivelazione, ove Dio si manifesta in rapporto con l’uomo. Grazia significa che Dio, nell’assoluta libertà del suo amore, si è posto e si è rivelato in rapporto con un altro, con la creatura.” È dunque un rapporto d’amore quello che lega Dio all’uomo, sua creatura; ma non altrettanto si può dire del rapporto tra l’uomo e Dio. Come è possibile? Come è possibile che all’amore di Dio per l’uomo (e per la donna) non corrisponda l’amore dell’uomo per Dio? E’ possibile per il fatto che l’uomo è libero di corrispondere o di non corrispondere agli appelli, ai segni, al disegno e, insomma, alla parola (parabola) della buona novella che il Padre, per mezzo del Figlio e dello Spirito Santo, gli ha mandato e continua a mandargli soprattutto per mezzo della chiesa di Dio (non del Dio della chiesa). E può non corrispondere perché l’uomo è simul iustus et peccator: peccatore e insieme giusto, mentre Dio è soltanto giusto e santo (“i Serafini lo proclamano ‘tre volte santo’: infinitamente, assolutamente santo.”) Per questo l’uomo ha bisogno della grazia per la sua salvezza e della fede per la sua giustificazione: non può infatti né autoredimersi né autogiustificarsi, può solo autodannarsi. Come? Opponendo liberamente il suo rifiuto alla misericordia perdonante di Dio. Misericordia perdonante di cui ogni realtà naturale, umana, storica avrà sempre bisogno finché sarà realtà di grazia e peccato. E di grazia e di misericordia ha bisogno più che mai la stessa Chiesa, in quanto: “il peccato è il suo limite più soffocante, l’elemento più negativo che la insidia; e si insinua nella sua realtà e nella storia intera, che pur è ormai storia di salvezza; l’uomo e il mondo portano ancora i segni del peccato e non sono ancora del tutto sottratti al suo devastante dominio; e la Chiesa medesima è ancora Chiesa peccatrice: ‘casta meretrix’, la dicevano i Padri. Meretrice casta, una meretrice che va progressivamente purificandosi, che Cristo va progressivamente purificando, sino a renderla la sua sposa radiosa” (Ef 5).” Ancora : come è possibile essere così ciechi e folli da preferire il proprio peccato alla fede che può fare del peccatore pentito un giusto “sempre chiamato a pentirsi e sempre sulla via della giustificazione”? Su questa domanda il silenzio della teologia sembra riflettere il silenzio stesso di Dio, e ricordare all’uomo i suoi limiti, la sua fragilità e l’urgenza della sua conversione. Di fronte a questo silenzio sembra venir meno ogni “circolo ermeneutico”e ogni apologetica e il solo atteggiamento possibile per il credente sembra essere l’adorazione e, nell’orizzonte teologico, la testimonianza del cosmo di cui parla  H. U. von Balthasar (per non ricordare gli argomenti probabilistici del famoso pari di Pascal) . Molte altre tessere di questo mosaico, molti altri fili di questo arazzo teologico – specificamente quelli relativi all’escatologia, all’ecumenismo, alla comunicazione e al pluralismo – meriterebbero postille e approfondimenti, ma sarebbe come pretendere di intessere un altro testo, di comporre un altro mosaico su quello già così magistralmente composto dall’autore di questo illuminante e profetico itinerario, alla fine del quale l’attento e paziente lettore si scoprirà diverso dalla persona che aveva aperto il libro e cominciato il suo percorso formativo in teologia cristiana.