Vite, da non mandare in fumo!

 

Giovanna Rezzoagli

L’ uso del tabacco si è diffuso in Europa alla fine del XV secolo. Cristoforo Colombo fu il primo europeo che vide un uomo fumare quando sbarcò, nel 1492, nell’ isola di San Salvador. Nel secolo seguente, il fumo del tabacco si diffuse in tutto il mondo.  Solo alla fine del secolo scorso i progressi tecnici consentirono l’ immissione sul mercato di un nuovo prodotto, la sigaretta, che era meno costoso e più piacevole del sigaro e forniva un fumo così tenue che poteva essere inalato; con la comparsa della sigaretta il consumo di tabacco aumenta. Il tabagismo, meglio conosciuto come fumo, è l’atto di bruciare le foglie secche della pianta del tabacco e inalare il fumo derivato per piacere, per fini rituali, come abitudine o dipendenza. La pratica era comune tra i Nativi America sia del nord che del sud America e fu in seguito introdotto anche nel resto del mondo per via commerciale dopo l’esplorazione delle Americhe da parte degli Europei. Il fumo di tabacco contiene nicotina, uno stimolante che crea dipendenza e che migliora temporaneamente la memoria, l’umore e la velocità di riflessi, ma genera anche una forte dipendenza chimica, sia fisica che psicologica. La nicotina, come tutti gli stimolanti, può anche aumentare l’ansia, la difficoltà nel riposo e i disturbi al sistema metabolico. Ricerche mediche hanno determinato che il fumo è uno dei maggiori fattori che contribuiscono a provocare problemi di salute, specialmente il tumore al polmone, l’enfisema e malattie cardiovascolari. La nicotina è un composto stupefacente. Pura è un liquido incolore, che all’aria imbrunisce, acquisendo l’odore del tabacco. È un potente veleno neurale ed era inclusa nella formulazione di vari insetticidi (usati in agricoltura). A basse concentrazioni è una sostanza stimolante ed è uno dei principali fattori legati alla tossicodipendenza da fumo. Molti paesi regolano o limitano la vendita di tabacco e nella pubblicità dello stesso, quando permessa, e nelle confezioni è richiesto l’inserimento di avvisi riguardo ai rischi connessi al consumo. Molti governi vietano il fumo nella maggior parte o nella totalità dei luoghi pubblici per proteggere i non-fumatori dal fumo passivoIl fumo attivo è certamente il più rischioso e si riferisce a chi volontariamente inala e aspira del fumo derivante da tabacco. Uno studio inglese a riguardo ha pubblicato che i non fumatori vivono in media 10 anni di più dei fumatori e che i forti fumatori hanno il 25% di possibilità in più di morire di tumore al polmone o di polmonite cronica ostruttiva. Il danno che provoca un fumatore ai propri polmoni può impiegare fino a 20 anni prima di diventare un cancro. Inoltre, più uomini che donne muoiono a causa del fumo. Lo United States Centers for Disease Control and Prevention dichiara che il fumo è la prima causa di rischio per la salute tra i paesi sviluppati e che il tabagismo è una delle più importanti cause di morte prematura nel mondo. Ma il rischio maggiore è che causi malattie al sistema cardiovascolare favorendo l’arteriosclerosi e varie patologie ad essa collegate. La cancerogenicità del tabacco – più che dai componenti del tabacco stesso – deriva da processo di combustione assieme alla carta: ogni materiale bruciato contiene infatti idrocarburi policiclici aromatici, nello specifico benzopirene. La reazione che li rende cancerogeni deriva dall’ossidazione che produce un eposside che lega col DNA covalentemente e lo distorce permanentemente. La distorsione, quindi il danneggiamento del DNA è la causa del cancro (al polmone, laringe o lingua).Le sostanze tossiche contenute nel fumo di sigaretta sono: la nicotina, un potente stimolante, anche se presente in piccole dosi, è sufficiente per creare una dipendenza. La sua azione vasocostrittrice è una fattore di rischio per le malattie cardiovascolari legate all’arteriosclerosi; il monossido di carbonio, che è identico al gas delle stufe, si lega all’emoglobina (formando la carbossiemoglobina) riducendo l’ossigeno nel sangue; gli irritanti (acido cianidrico, acetaldeide, formaldeide, ossido di azoto, ammoniaca, acroleina), che danneggiano la funzione delle mucose dell’apparato respiratorio e sono causa di infezioni, bronchite cronica ed enfisema; PM10  le polveri fini, altamente cancerogene. Il fumo passivo è il fumo che viene involontariamente respirato in ambienti in cui sono presenti persone che fumano. Un rapporto della European Respiratory Society (Lifting the smokescreen, 2006), stima che, nell’anno 2002, il fumo passivo sarebbe stato responsabile della morte di circa 80.000 adulti in Europa, di cui circa 7000 sui luoghi di lavoro. Per l’Italia sono stati stimati 7180 morti complessivi per fumo passivo di cui 993 per esposizione sui luoghi di lavoro. È questa la causa principale dei divieti di fumo vigenti nella maggior parte delle nazioni industrializzate. I rapporti di valutazione che continuano ad affluire dall’Irlanda, dalla Norvegia, dalla Nuova Zelanda, dall’Italia e da altri paesi indicano che la legislazione che ha esteso il divieto di fumo a tutti gli ambienti chiusi, ad eccezione delle aree riservate ai fumatori, migliora la salute, riduce il consumo del tabacco ed ha un effetto economico neutro o positivo sul settore dell’ospitalità, mentre la lista dei paesi che vietano il fumo negli ambienti pubblici si va incrementando. Negli ultimi due anni in Europa il divieto si è esteso a Malta , Spagna, Svezia e Scozia. Nel 2007 sono entrate in vigore in Europa legislazioni che hanno vietato il fumo gli ambienti indoor d’Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord e Canton Ticino, mentre dal gennaio 2008 il divieto si è esteso interamente anche alla Francia. In Italia, la riduzione osservata del fumo passivo dopo l’entrata in vigore della legge antifumo avrebbe determinato già a breve termine effetti sulla salute misurabili. Quasi tutti sono informati sulle conseguenze negative del tabagismo, eppure si fuma, apparentemente incuranti delle conseguenze. Il fumo, anche se legale, è una vera e propria sostanza che genera dipendenza. Le problematiche sociali ed economiche legate al consumo di sigarette sono enormi. I danni si possono manifestare anche dopo decenni, mentre lo Stato ha un consistente ritorno economico dalla vendita dei tabacchi. La prevenzione è ancora molto scarsa ed approssimativa, mentre le metodologie per aiutare chi vuole smettere dilagano, promettendo miracoli, anche su internet. Occorre riflettere attentamente su questa ipocrita ambivalenza, e fare due conti in tasca allo Stato Italiano: sono maggiori le spese curare le patologie provocate direttamente o indirettamente dal fumo o sono più elevati gli introiti che derivano dalla vendita dei tabacchi? E’ un tema che non ho mai visto porre ai vari politici di turno e a cui, immagino, proverebbero non poco imbarazzo a rispondere. Credo che non sia inutile chiederci quanto davvero siamo liberi di scegliere consapevolmente nel nostro quotidiano.