La politica tra etica, sociologia e psicologia

 Giovanna Rezzoagli

Etica, sociologia, psicologia. Tre discipline con al centro l’uomo nella sua integrità. L’etica è la scienza della condotta per eccellenza che, sublimata a livello cognitivo ed emozionale, prende il nome di morale. In tutte le epoche l’etica è entrata a far parte degli elementi costitutivi di ogni tipo di società, a prescindere dal contesto di relativismo culturale. La sociologia nasce verso la fine dell’ottocento, con la definizione che August Compte conia per questa nuova scienza che studia le interazioni tra individui e società. E’ l’epoca dell’industrializzazione, dello spopolamento delle campagne e del conseguente crearsi dei primi grandi agglomerati urbani. La nascita della psicologia si colloca convenzionalmente nel 1881, quando W.Wundt fondò a Lipsia il primo laboratorio scientifico per gli studi psicologici. L’uomo al centro, con le sue forze e le sue debolezze, vissute a livello interiore e a livello sociale. L’uomo è un animale sociale, la sopravvivenza ha imposto sin dalle sue origini il modello di convivenza in comunità. Con tutti i benefici, ma anche con tutte le limitazioni che il dividere uno stesso spazio nello stesso tempo comporta. Perché l’uomo non è solo un animale sociale, esso è anche un predatore. La società deve tutelarsi nei confronti di coloro che manifestano comportamenti aggressivi, nascono gli ideali di giustizia e di libertà, con essi l’esigenza di norme e leggi a tutela del bene comune, nasce l’ideale di politica inteso come strumento per favorire il funzionamento della società. Secondo un’antica definizione scolastica, la politica è l’Arte di governare le società. La sociologia e la psicologia hanno studiato i vari contesti relazionali di gruppo, definendo comportamenti riscontrabili in modo oggettivo pressoché in tutti i modelli sociali e culturali. Il gruppo, ogni gruppo, sia esso ristretto a pochi elementi o esteso a milioni di persone, necessita per la sua stessa sopravvivenza di una o più figure di riferimento. La figura del leader, del capo, di colui che guida, è fondamentale per il processo di identificazione sociale. Qualsiasi organizzazione sociale si basa su di una struttura sociale articolata, più risulta coesa ed integrata nelle sue parti, migliore sarà il suo livello di stabilità nel tempo. La storia ha tramandato sino ai nostri giorni figure di leaders capaci di creare strutture politiche molto vaste, siano esse state illuminate da ideali di democrazia che, viceversa, di totalitarismo. Pericle, Giulio Cesare, Napoleone, Mussolini, Hitler, Churchil, Stalin, gli esempi sono numerosissimi. Tutti personaggi a loro modo carismatici, aggreganti, persino affascinanti. Tutti fortemente ego centrati. Ma è questa la caratteristica del leader? Non sempre. Sono esistiti, ed esistono tutt’oggi grandi personaggi che posseggono carisma, fascino ed autorevolezza pur proponendosi in modo autorevole e non necessariamente autoritario. Mahatma Gandhi, Yitzhak Rabin, o, ai giorni nostri, personaggi quali Marco Pannella, Al Gore o San Suu Kyi, ben rappresentano la figura di un leader non concentrato prevalentemente sul desiderio di autoaffermazione, bensì motivato dal prevalere di un ideale di giustizia sociale che travalichi interessi spesso classisti a favore di un bene maggiormente condiviso. In sociologia si parla di devianza relativa alle norme condivise, ma si sottolinea anche la centralità del ruolo del deviante quando l’agire di quest’ultimo determina un miglioramento del contesto di vita della società in cui egli è inserito. In psicologia si distingue tra personalità narcisistica ed altruistica, arrivando a definire tratti patologici di ambedue le dimensioni esistenziali. L’etica da sempre è universalmente considerata dote necessaria ma non sufficiente all’uomo politico per affermarsi. Resta aperta la questione se il carisma dato dalla forza delle azioni o quello attribuito dalla forza del pensiero sia più produttivo nel tempo.