Parlamento in

Michele Ingenito

Stavamo per intitolarlo, il ‘pezzo’, Parlamento Drive in. Ce ne siamo accorti giusto in tempo. Se no, sai che (giusta) ramanzina dal Quirinale! E da Fini! Scherziamo naturalmente. Come si permette, infatti, uno sconosciuto (e modesto) opinionista di provincia di ironizzare sulla più importante e rappresentativa istituzione dello Stato italiano? Sul Parlamento, cioè? E, infatti, non ci permettiamo affatto. Perché, buonumore a parte (che non guasta), la questione posta da Berlusconi sulla riduzione del numero dei parlamentari è vecchia quanto il mondo. Ed è molto più seria di quanto sbrigativamente contestato dalle opposizioni. Lo testimoniano quei paesi in cui il problema della riduzione del numero dei parlamentari è stato già risolto, con conseguente migliore funzionamento del sistema di governo (negli USA ad esempio). Il bello (e il brutto) della politica è che vive di attualità. Quel che accade oggi, al limite anche ieri in senso stretto (cronologico, cioè), ce lo ricordiamo tutti. Quel che, sullo stesso problema, è accaduto dall’altro ieri in sù (cioè a ritroso nel tempo), non se lo ricorda più nessuno. Che accada per i cittadini assillati da ben altri problemi, è cosa ovvia. E comprensibile. Ma che accada per i politici nostrani, che di politica campano, la cosa è molto meno ovvia e comprensibile. Perché, come molti dei protagonisti di ieri e di oggi di Camera e Senato ricorderanno, la famosa allusione di Craxi al “Parco-buoi” aveva un significato ben preciso. Craxi si riferiva, infatti, anche autocriticamente, a quella pletora di parlamentari legati ciascuno al carro del proprio partito, ovviamente ‘costretti’ ad approvare sempre e comunque le decisioni del capo. Condivisibili o meno che fossero. Non solo, ma la critica craxiana andava anche in altra direzione. Essendo quelli (e quelli successivi, ultimo-governo-Prodi ‘docet’) tempi in cui i giochini del ricatto – magari di piccoli e stratificati  gruppi – erano all’ordine del giorno proprio in virtù del numero infinito di parlamentari eletti, precostituendo tutto ciò un pericolo – effettivo più che potenziale – di condizionamento dell’attività del governo e di premier quotidianamente succubi di quei rischi, ai quali si aggiungevano volentieri quelli non meno odiosi di certi sindacati estremisti amanti del predicare bene e razzolare male (vedi il puntuale e recentissimo fallimento della CGIL sancito dal crollo di fiducia dei lavoratori italiani), più che un governo, un primo ministro,  pilotava un transatlantico, ma a vista, su bassi fondali, sempre pronto ad arenarsi. Lo testimoniano decine di governi nostrani, che, nei tempi brevissimi della loro sopravvivenza politico-istituzionale, hanno fatto ridere il mondo per la loro insignificante durata. Accadeva spesso (qualcuno dovrebbe ricordarlo) che un presidente degli Stati Uniti o francese, o un PM britannico, o un Cancelliere tedesco e così via, all’interno del loro durevole mandato, si confrontassero con più presidenti del consiglio e ministri italiani, finendo col dimenticare, talvolta, nomi e volti (v. Reagan), con conseguenti e imbarazzanti ‘faux pas’. Ora che Berlusconi ripone, quindi, un’altra questione insoluta del nostro paese quale la riduzione del numero dei parlamentari, gli si getta addosso l’ennesima croce. Altra imprudenza di chi non sa fare opposizione, che accrescerà ancor più il quasi scontato insuccesso politico d PD e soci nelle prossime elezioni europee. Perché la gente comune, quella che conta poco (ma che vota), non sopporta più l’idea di farsi rappresentare da un migliaio o giù di lì di parlamentari di professione a 20.000,00 euro al mese e benefici conseguenti, odia l’idea che quei tizi in livrea nera al servizio di lor signori se ne vadano in pensione a 50 anni e con 8.000,00 euro lordi mensili per 15 volte all’anno, detesta, insomma, tutto ciò che sa di vita di privilegi non comuni ed economicamente senza pensieri. E tutto questo perché? Per un contributo parlamentare che, con la dovuta riorganizzazione del sistema, potrebbe essere garantito da un numero decisamente inferiore di eletti. Berlusconi ha ragione quando sostiene la necessità delle mani libere di un premier per potere governare con la dovuta autorevolezza e rapidità esecutiva. Ma questo non vale solo per lui, sia ben chiaro. E’ una cosa elementare, che vale (e varrebbe) per qualsiasi altro premier che verrà dopo di lui: di destra, di centro o di sinistra che sia. Ecco allora che, con un pò di buon senso e, utilitaristicamente parlando, sarebbe (stato) molto meglio da parte delle opposizioni reagire con linguaggio e contenuti diversi per un problema di cui loro stesse potrebbero avvantaggiarsi in futuro. Evitando, tra l’altro, di indispettire ancora di più un elettorato in maggioranza di per sé inc….to, perché a mille euro al mese e passa, per le ragioni in precedenza esposte. Quanto alla gestione ‘ducesca’del potere da parte dell’attuale capo del governo, diamo in questo spazio a Di Pietro. Siamo con lui. Sì, ha capito bene. Non con il Cavaliere. Ma proprio con il capo dell’IDV. Ma, proprio perché anche lui è ‘capo’, vorrebbe farci credere Di Pietro che il giorno in cui sarà lui a presiedere il governo, deciderà in contestazione con i propri uomini? Certamente no, certamente governerà con buon senso (ma di parte), certamente butterà al rogo chi dei suoi dovesse fargli muro, certamente imporrebbe le proprie strategie e la propria linea di governo. Sarebbe ‘duce’ anche lui, insomma. Perché un paese serio ha bisogno di guida certa e durevole. Spetta, poi, al popolo, giudicare al momento opportuno attraverso il voto. Per ora la ragione è da parte di chi ha stravinto le ultime elezioni politiche. Nel bene e nel male. Perché anche lì ci sarebbe tanto da dire. In nessuna parte politica mancano, infatti, le cosche, le lobby, i gruppi di potere. Se ne convinca anche Di Pietro. Per quanto nobile appaia la sua intenzione di discriminare al proprio interno, giustamente, tra persone perbene o condannati e/o ‘sub-judice’. E sa perché, onorevole Di Pietro? Perché il potere è potere. E chiunque lo possiede, manovra a piacimento le manopole a propria disposizione. Dipende da chi è, da dove proviene, su quali valori si ècostruito e formato. Perché il potere, come i piccoli uomini, vive di complicità, di prevaricazione, di abusi. Anche a livello istituzionale. Salvo a dire, poi, ben altre cose nei discorsi pubblici, sui media, nelle relazioni politiche esterne. Ecco perché, onorevole Di Pietro, chi è senza peccato…!