Salerno: Gubitosi, in veste di chef al Convento
Venerdì 22 maggio, alle ore 20,30 evento del programma enogastronomico della seconda edizione di “Quello che passa al convento”, promossa dal Convivio delle Arti dei Rozzi e degli Accordati, presieduto da Vito Puglia, con il contributo del Comune e dell’Ente Provinciale del Turismo di Salerno, del Pastificio Amato, della Centrale del Latte e di Salerno Energia e la collaborazione della web radio Unis@und, che apre al pubblico il cenobio medievale del Convento di San Michele. Con “Si cucine cumme vogl’i’(o)”, curato da Vito Puglia, ispirato dalla raccolta postuma di ricette di Eduardo, la cucina viene presentata come l’espressione culturale che meglio di ogni altra racconta il carattere, lo spirito, il modo di vivere di un popolo o di una comunità, un’epoca. Da questo l’ assunto: in ogni persona colta e sensibile si annida uno cuoco. Ritorna al convento, ma questa volta in veste di chef, Claudio Gubitosi, l’ideatore del Giffoni Film Festival. Cinema, cibo, gli spaghetti sono spesso protagonisti della scena cinematografica, anzi per la critica, “il legame tra la pasta e il cinema e’ molto stretto”: Cinema quindi come arte culinaria, in quanto dal cinema si possono ricavare molte ricette gastronomiche, una specie di “cine-gastronomia”.“Cinema e cibo”, il nesso è inteso ormai da tutti (spettatori, artisti, e diversi addetti al lavoro) come “unione perfetta”. Infatti, vari attori, registi, produttori, cineasti hanno ritratto il cibo al cinema secondo le loro tradizioni culinarie, i lori usi e costumi. La topica del cibo nel cinema può essere intesa in varie sfaccettature: cibo come realismo e specchio della vita quotidiana, cibo come icona della nostra identità nazionale o come icona d’identità familiare, ancora sottolineiamo il legame tra cibo e potere, cibo e sesso (non mancano sceneggiature in cui il cibo si sposa col sesso e viceversa); il cibo sulla tavola dei ricchi o quello sulla mensa misera dei poveri, e cosi via. Chi non ricorda infatti la magistrale interpretazione di Totò nel capolavoro di Scarpetta, Miseria e nobiltà (1954), per la regia di Mario Mattoli. In questa versione cinematografica assistiamo Totò danzare sul tavolo assieme a Peppino De Filippo, i due mangiano con ingordigia afferrando e ficcandosi gli spaghetti un po’ ovunque, in bocca, nella tasca dei pantaloni… Ancora, in Napoli milionaria (1950), per la regia di Eduardo De Filippo, Totò nella parte di Pasquale Miele, colto dalla fame, mangia in una trattoria la sua pagnotta contenente più di una pietanza; e, sempre in questa sceneggiatura non possiamo non ricordare la scena del pranzo a guerra finita: tutti i commensali, ospiti della famiglia Jovine, sono seduti ad un tavolo “troppo sfarzosamente imbandito”. Totò nei suoi film sottolinea il suo rapporto con la fame/cibo, e non solo con scene di pietanze abbondanti o misere, ma anche con le stesse battute che l’attore nelle sue pellicole fa a proposito della fame. Va ricordata, inoltre, la fantastica Sophia Loren che nella sua produzione televisiva e cinematografica ama ostentare questa sua passione per il cibo; suo hobby preferito è proprio la gastronomia. Si ricordi il film “La ciociara” (1962), dove la Loren è alle prese con un colapasta pieno di spaghetti, o la versione cinematografica di “Pane amore e…” (1955) diretta da Dino Risi, dove troviamo Sophia Loren nei panni di una bella pescivendola, corteggiata insistentemente dal maresciallo Antonio Carotenuto (Vittorio De Sica). Ancora nel film “Francesca e Nunziata”, l’attrice è una forte e ostinata imprenditrice, proprietaria di un pastificio. Il giornalista Sergio Lori, ci informa che Sophia Loren nel 1954 fu battezzata dalla critica cinematografica “pizzaiola”, poiché impersonò una “sanguigna e prosperosa pizzaiola” nel film a episodi “L’oro di Napoli” diretto da Vittorio De Sica. Il cibo è in scena ancora in un altro film loreniano “Peperoni ripieni e pesci in faccia” con la Loren nei panni di Maria, per la regia di Lina Wertmuller. Possiamo inoltre ricordare “gli spaghetti alla Mario Ruoppolo”, personaggio-protagonista de “Il Postino”, con il celebre artista napoletano, cabarettista, attore, autore, regista Massimo Troisi, per la regia di Michael Radford. Il cibo in passato è stato più volte inteso pure come denuncia sociale, come critica e attacco alla “cinica e ipocrita società borghese o arrivista”; difatti andando indietro negli anni cinematografici non possiamo non citare i film del neorealismo: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Umberto D (1952), Roma città aperta (1945), La terra trema (1947), Riso amaro (1949), ecc. In questo filone vengono trattate “tematiche sociali a sfondo realistico esistenziale, viene posta una realtà penosa e problematica vissuta dalle classi subalterne e popolari”. In queste pellicole le scene sottolineano la miseria degli anni del dopoguerra, ritraggono l’Italia popolare in pessime condizioni (tipo la mancanza di cibo, appunto) dopo la liberazione dal fascismo. Il film La tavola dei poveri (1932) con l’attore napoletano Raffaele Viviani per la regia di Alessandro Blasetti è l’emblema di una pellicola “marcatamente realistica”; il protagonista per ironia della sorte diventa il simbolo dei poveri, è lodato da tutti i poveri dei quartieri più bassi di Napoli come un “Dio”. Claudio Gubitosi, beccato in giro per il mondo sempre a caccia di nuove nascite, invenzioni da proporci ha inteso mantenere segreto un menù dedicato alla fattiva gioventù che in 38 anni ha fatto grande il Giffoni Film Festival.