A Napoli, tra le case chiuse

di Rita Occidente Lupo

Una gita fuori porta, attraverso gli spaccati partenopei. Da guardare tutto d’un fiato: le case di tolleranza. Prima della legge Merlin, ospitavano l’arte antica quanto il mondo. La coriacea senatrice Lina, volle che tali luoghi del piacere, in cui il proprio corpo veniva venduto al maggior offerente, mettessero i lucchetti. Case di tolleranza,  con metresse, sfoggianti “la merce” più appetibile, a seconda del cliente di riguardo o meno. Un mondo, rievocato dal famoso Totò, che addirittura pensò di trovar casa in uno di tali vecchi santuari a buon mercato. A Napoli, dunque, un pezzo di cronaca storica. Nei Quartieri Spagnoli o a Chiaia, dove le case spalancarono i battenti a clientele d’ogni genere. Ma la prositituzione non ha chiuso la sua stagione. Anzi, continua ad offrire vittime, specialmente clandestine, sul marciapiedi di turno. Un tempo, il falò e le roulottes. Oggi, sontuosi alberghi. La strada rimane il luogo dell’adescamento. Per la prostituzione spicciola. Quella non d’alto borgo. Complice di “certe blasonate”, cacciatrici di diversivi alla routine quotidiana. Già tempo fa, a Salerno, la scoperta di determinate “signore” dabbene, ineccepibili apparentemente, che ingannavano serate in maniera allegra. Da allora, poco o nulla è mutato. Anche se la lotta al marciapiedi, tiene alta la guardia amministrativa. Ma non sono i divieti a poter stanare il meretricio. Giacchè c’è chi si ritrova in incontri ameni. Riuscendo ad intessere avventure edonistiche orarie. A caccia di appariscenti presenze,  alternative a datate compagnie. La prostituzione, ancora specchietto delle allodole, per certi vizietti. Le case di tolleranza, luoghi chiusi del piacere garantito. La strada, occasione di pericolo e di violenza. Oggi più di ieri. Le leggi, non arbitre sovversive dell’ordine delle cose. Oggi la prostituta che tira, dell’Est. Rimorchiata ed oggettualizzata, ancora tra perversioni e devianze.

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