Pasqua: paese che vai, usanza che trovi
Anna Maria Noia
Pasqua è ormai alle porte: la festa simbolo della cristianità ancor più del Natale porta con sé un vento foriero di tradizioni culturali spesso dimenticate, in molte zone della Valle dell’Irno, della Valle del Sarno e in generale nel Salernitano. Festeggiamenti che affondano le proprie radici in particolari costumi, in usanze popolari ammantate di saggezza. Retaggi contadini densi di significato e colorati con sfumature di sapienza senile, cure e attenzione al mito e ai miti “santificati” in riti più o meno agresti.A Mercato S. Severino, fino ad alcuni anni fa, era usanza regalarsi, soprattutto tra fidanzati, ramoscelli strappati dagli ulivi e “addobbati” con ovetti, biscotti nasprati, caramelle: l’uovo era e tuttora è simbolo di vita, di rinascita (perché i pulcini, così tanto allevati nelle nostre zone, nascono appunto dall’uovo) e conseguentemente di fecondità. La stessa fecondità che la festa mobile (plenilunio di primavera che fa sì che la solennità possa essere “bassa”, cioè quando il giorno di Pasqua è dal 23 marzo, e “alta”, ossia festeggiata entro il 23 aprile, dies natalis di S. Giorgio) del “passaggio” degli Ebrei lungo il Mar Rosso, appunto la “pesach” (che vuol dire anche “salto”, quello dei sacerdoti ebraici in una loro danza rituale, ma anche “passaggio”, appunto quello famoso nell’attraversamento del Mar Rosso da parte dell’esule popolo ebraico – l’Ebreo errante…) reca in sé a partire dalle credenze grecoromane: la ricerca spasmodica e affannosa tra le messi da parte di Cerere-Demetra-Cibele della figlia Persefone-Proserpina rapita da Plutone-Ade agli Inferi per mezzo del melograno simbolo di vita e morte. In primavera Proserpina “vive” con la madre sulla terra, mentre nei sei mesi invernali è accanto al marito Plutone sottoterra.Nell’ambito della cristianità la Pasqua è “memoria” ma soprattutto “memoriale” dello “scandalo” della Croce (morte infamante: vi erano condannati i peggiori criminali ebraico-romani, ma anche coloro che davano fastidio politicamente – anche oggi, sebbene diversamente, è un po’ così, mutatis mutandis.) vissuto da Gesù.È una ritualità antica con momenti di chiara origine pagana passati poi alla tradizione liturgica odierna. Presso gli Ebrei la Pasqua veniva festeggiata durante la Parasceve; ancora adesso, presso i rabbini attuali (che insegnavano e insegnano nelle sinagoghe, si purificavano e si purificano nel tempio) le tradizioni precipue del popolo israeliano vengono doviziosamente seguite e osservate.Gli Israeliani – oggi come allora – sono molto attenti agli insegnamenti della Torah, la Legge per eccellenza, derivata dalle Tavole dei Dieci Comandamenti descritte nel Libro dei Libri (in greco: la Bibbia, da “byblos”).Oggigiorno la festa di Pesach, la Pasqua ebraica, dura sette-otto giorni. Durante le prime due sere la famiglia riunita partecipa a un pasto cerimoniale, detto “seder”, nel quale si consumano determinati cibi, ciascuno dei quali è simbolo degli stenti patiti durante la schiavitù in Egitto; durante il seder si canta, si prega e si intonano inni.La Pasqua ebraica è detta anche “Festa degli Azzimi”, proprio per il cibo che ricorda il pane non lievitato degli schiavi ebrei.E torniamo al “nostro” vecchio, “caro” mondo occidentale, nella fattispecie alla cittadina di S. Severino.Nel periodo pasquale si prepara in famiglia il “casatiello”, una pagnotta diversa dal tortano, ma come il tortano assai nutriente: tra gli ingredienti le uova, il salame, i ciccioli (cigoli o sfrittole) e un’abbondante spruzzata di pepe e di formaggio grattugiato. Come dolce, oltre al pastiere zuccherato, si cucinava il “vuccillo” di pastafrolla, dalle forme allusivamente simboleggianti i due sessi; infatti ve ne erano due versioni, una femminile e una maschile. Inoltre è possibile assaggiare la pastiera realizzata con il grano cotto o soprattutto con il riso, simbolo di tristezza e gioia assieme.Tornando a S. Severino, la settimana santa “inizia” qui già il venerdì precedente la domenica delle Palme, con il cosiddetto “fistone”, la “grande festa”, presso la frazione Spiano; qui si è soliti preparare, per l’occasione, le celeberrime polpette di baccalà, vecchia e sempre attuale ricetta tramandata di madre in figlia e dalle donne del piccolo borgo che le offrono anche ai visitatori. I quali, d’altronde, non mancano di partecipare alla processione della Madonna Addolorata che si tiene sempre in tal giorno.A proposito della Madonna di Spiano, una leggenda narra di un piccolo “giallo”, legato alla statua che si porta in processione: si dice che questa Madonna sia la stessa che attorno al 15 settembre si festeggia in un’altra frazione di S. Severino – Lombardi – e che si connette con l’altrettanto antico rito delle “fontanelle” (l’acqua è lustrale per i peccati della comunità alla vigilia del rinnovo settembrino dei contratti agrari, la cosiddetta “indizione”), rito che avviene sempre a settembre.Secondo la leggenda la statua, prestata da quelli di Lombardi agli Spianesi, portata in processione, mentre stava per essere trasportata verso Lombardi diveniva sempre più pesante, quasi a non volersi muovere più e il fatto fu interpretato come desiderio della madre di Cristo a voler rimanere a Spiano. Perciò gli abitanti di Lombardi dicono che la statua è stata “rubata” e così tra le due frazioni sono sorte delle rivalità.Tra i piatti tipici sanseverinesi della domenica di Pasqua: brodo di gallina nera o di piccione con tagliolini; cicorie amare in brodo; migliaccio, cioè torta di granturco con ciccioli; pizza di maccheroni (pastiere) salato con foglie di alloro o con zucchero; casatiello; tortano; carciofi a volontà sulla griglia o in altri modi; salame; provolone; uova sode; insalata di rinforzo; vuccillo; pizza di grano e soprattutto di riso, abbondante nella zona perché S. Severino era piena di risaie e paludi, ma anche perché il riso cuoce di meno rispetto al grano; uova di cioccolato e altro.Tra gli eventi tradizionali, antichissimi, nel comprensorio, collegati alla festa pasquale: i Misteri di Bracigliano, con canti bizantini e due processioni, una al mattino e l’altra alla sera, dove la Madonna prima si incontra col Figlio (“scontrata”) e poi segue il cataletto; la processione dei Paputi a Sarno; il rito del Gallo Martire a Preturo di Montoro e altro.La “scontrata” è molto impressionante soprattutto nelle zone che ospitano etnie albanesi, come Greci e Piana degli Albanesi. Riguardo alle altre regioni, in Sicilia vi è la processione detta “dei Giudei”, anch’essa coinvolgente.Il lunedì dopo Pasqua, il cosiddetto “lunedì in albis”, è una giornata, una data, una ricorrenza importante anche e non solo per ciò che riguarda la storia “grande”, “alta” , solenne, ma anche “in piccolo”: i cavalieri medievali, infatti, vegliavano per tale data – anche la potente famiglia Sanseverino (venendo a noi) con ogni probabilità così operava – per essere appunto investiti dal sovrano: il loro vegliare, cioè il passare la notte “in bianco”, e l’essere vestiti solamente di una tunica bianca, candida (donde il termine: “candidati”) giustificano la denominazione di “lunedì in albis”, ossia proprio “in bianco” (odiernamente si parla di “notte bianca”).Tutto ciò anche naturalmente in relazione all’angelo del Signore che aspettò Maria e le pie donne al sepolcro, tutto risplendente di bianco e alla Trasfigurazione di Gesù, precedentemente la Pasqua.Ma vi è anche l’episodio biblico dell’angelo sterminatore che – vestito di bianco – faceva morire i primogeniti egiziani dopo che gli Ebrei in esilio avevano precedentemente tinto la porta della propria abitazione con il sangue di un agnello, dopo gli Azzimi consumati “coi sandali al piede, cinti” (come esprime il Vecchio Testamento) e in fretta e furia, per cui si ricorda appunto la Pasqua.La domenica seguente la Pasqua, detta “domenica in albis” oppure “ottava di Pasqua”, ma anche il martedì dopo, la gita fuori porta dei Sanseverinesi è alle cosiddette “sette sorelle”, luoghi dove si venerano i sette nomi (e volti) delle Madonne delle zone campane: la Madonna di Montevergine (mamma Schiavona, patrona dei “femminielli”), o Madonna del (monte) Partenio; la Madonna di Pompei; la (Madonna) Incoronata di Montoro, la Vergine del Montserrat (che mutua il nome di un’altra Madonna spagnola) e altre tre che al momento di scrivere non rimembriamo.