Spiritualità: la Confessione

don Marcello Stanzione

Non è facile oggi parlare sia di peccato sia  del sacramento della confessione o riconciliazione in un gruppo di giovani o di adulti del XXI secolo. E’, per la maggior parte di loro, una parola vuota di significato. E se si sentono colpevoli, è piuttosto in rapporto alla legge del gruppo quando l’hanno trasgredita. E’ vero che non può esservi peccato senza relazione personale a Dio. Il riconoscimento del peccato viene dal riguardo della fede. Esso suppone di essere credente. E’ vero anche che il peccato non è la realtà prima nella morale cristiana: è l’amore. Ed il peccato è un incidente di percorso sulla via dell’alleanza alla quale Dio ci chiama. E’ normale non pensare prima di tutto alle sbandate, perché l’importante è l’itinerario. Ma non rimane meno che questi possano prodursi sulla via: per stanchezza, rilassatezza o volontà di fare la propria vita da solo, si esce dall’alleanza, si lascia la strada, ci si perde.

      Il peccato è dunque una realtà spirituale. Non si comprende che nel rapporto a Dio. E’ la rottura di un legame d’amore personale, la distruzione di quello che Dio ha creato. E’ un concetto teologico. Come pure occorre distinguerlo da due altre realtà con le quali talvolta si confonde, la colpevolezza e la trasgressione.

      La colpevolezza è un’opinione psicologica: il malessere della coscienza che prova dei rimorsi (e non del pentimento). Essa rimane ferma su se stessa. Si può peccare gravemente senza provare dei rimorsi, e provare dei rimorsi senza avere pertanto peccato (come quello che ha causato un grave incidente senza esserne moralmente colpevole).

      La trasgressione consiste nel violare un divieto. Così ogni peccato è una trasgressione. Ma non il contrario: Gesù, davanti alla sofferenza del paralitico sceglie di trasgredire il divieto della legge del sabato per non violare il divieto più fondamentale: “Tu non lascerai tuo fratello nella sofferenza”. L’esperienza della trasgressione fa parte della vita umana. Essa fa parte del processo di maturazione di una giovane libertà. Così un compito importante dell’educatore cattolico è di aiutare il bambino, l’adolescente il giovane a trarre del positivo dai suoi errori: apprendendogli a rileggere i suoi errori, nell’assumerne le conseguenze, nel trarre le lezioni dell’esperienza, per costruire la sua vita da adulto in compagnia do Cristo nella Chiesa da lui fondata.