Il Kolbe nel giorno della memoria

di Rita Occidente Lupo

Ben 8 regioni italiane, 3.000 studenti, in treno per il giorno della memoria. Un modo per recarsi in loco, sulle ceneri di quelli che furono gli abomini che la storia crocifisse con Norimberga. Per far sì che le nuove generazioni non alienino il passato. Gli eccidi di circa 6.000 ebrei, le deportazioni di oltre 8.500 che non rividero mai più la propria terra. I 32.000.000 della seconda guerra mondiale, sommati ad altri 6.000.000. Insomma un genocidio senza tramonto ad Auschwitz e Cracovia. Le camere a gas, quelle che Benigni esorcizza col figlioletto Giosuè ne “La vita è bella”, camuffate da docce. E le cavie umane, torturate senza lasciar traccia di sè. Spietata la follia nazista, con persecuzioni che immortalarono il memoriale di Anna Frank. Testimonial di tensioni e paure.  Voglia di vivere e consapevolezza d’un presente sgocciolato. Tutto, in un fitto colloquio intimo con l’immaginaria Kitty. Oggi i giovani, tra le narrative scolastiche, stentano a ritrovare il testo dell’ebraica Frank. Probabilmente, sepolto dalla soffitta nella quale la fanciulla visse i suoi ultimi giorni con la famiglia. Una vita recisa in olocausto alla stirpe. In nome d’un arianesimo superomista. Una shoah senza remore. Il Parlamento italiano, nel 2000, ha istituito il giorno della memoria, coincidente con l’anniversario della liberazione, 27 gennaio del 1945, ad Auschwitz.  Tra i banchi viene di solito ricordato con un momento di riflessione “Se questo è un uomo”. I versi immortali di Primo Levi ancora interrogano le coscienze. E dinanzi a fiction, che rivisitano lo scenario mondiale, la spietatezza nazista sdegna. Tra dolori e crocifissioni, non lesinati nemmeno ai regnanti, l’amore sopravvisse. Massimiliano Maria Kolbe, frate polacco,  vittima sacrificale al posto di un papà di famiglia. Fu lasciato poi morire avvelenato da acido fenico, dopo giorni d’inedia. L’innamorato della Madonna, il Folle dell’Immacolata, come fu poi definito, visse il Vangelo “Non c’è amore più grande di chi dona la vita per gli altri.” Ed al suo processo di canonizzazione nel 2001, in Vaticano, accanto al Pontefice Karol Wojtyla, Francesco Gajowniczek, al quale aveva salvato la vita, commosso ad applaudirlo Santo.