Andante, ma non troppo

  Michele Ingenito

Nei giorni scorsi la risposta positiva degli italiani ai saldi di stagione avrebbe contribuito all’impennata al rialzo delle borse. I media lo hanno evidenziato a chiare lettere. Per molti aspetti a noi la cosa è apparsa come un vero e proprio esorcismo, un inconscio rigetto del perfido mostro di una recessione da tempo in agguato. A parte ciò, resta il segnale concreto per un timido ottimismo. Benché resti ancora lunga ed impervia la strada per ‘Tipperary’. Il morale, del resto, conta eccome. Molto più dei fatti a volte. E qualsiasi incoraggiante segnale di ripresa che lasci intravedere il flettersi della crisi economica in atto, giova e molto alla nazione. A questo anelito di speranza ha contribuito e contribuisce non poco il messaggio del Capo dello Stato. Che, da Napoli qualche giorno fa, e ancor prima la sera del 31 dicembre scorso, con dire chiaro ed immediato, ha evocato in felice ed asciutta sintesi la condizione del Paese. Illustrando, allo stesso tempo, la via maestra per la risalita generale; stimolando molto opportunamente le forze politiche di entrambi gli schieramenti per una collaborazione finalizzata alle riforme da tempo annunciate; insistendo in quel di Napoli per un segnale nuovo e diverso, mirato alla rifondazione etica della politica e delle sue classi dirigenti. Il contributo sapiente del Presidente della Repubblica va inteso soprattutto in termini di fiducia. Per quell’incoraggiamento che qualsiasi buon padre di famiglia ritiratosi dalle battaglie della vita ha comunque l’obbligo di infondere nelle nuove generazioni da lui stesso create. Perché, nel caso specifico, pur se privo di poteri decisionali, non gli manca la saggezza che spesso illumina, più delle azioni o dei fatti fini a se stessi, il percorso che esse sono destinate a seguire. Non a caso i consensi politici alle parole di Napolitano sono stati pressoché unanimi. Perché giunte nel momento giusto. Cioè nel momento più critico di un percorso politico, economico e sociale ancora lungo. Per una cinghia che continuerà a stringersi, e di molto. E non è vero che le parole di esortazione e di incoraggiamento, in quanto tali, non valgono nulla. Espresse nei tempi alti della crisi, esse rafforzano la speranza e infondono quella voglia di reagire, senza la quale non restano che depressione e abbattimento. E sono proprio queste le ultime cose di cui un Paese in crisi come il nostro possa avere bisogno. Disattendere quel messaggio sarebbe, perciò, un insulto nei confronti di se stessi, un atto ai limiti della disonestà intellettuale per coloro a cui spetta il compito politico di interpretarlo nell’azione, per la conseguente rinascita. Perché, se è vero che quel messaggio, nella sua disarmante chiarezza, così è pervenuto all’intera nazione, è altrettanto vero che spetta ora alla classe politica italiana al gran completo tradurlo nei fatti. Impegnandosi al massimo, più e meglio che nel passato per risolvere i suoi problemi. A cominciare da quelli che investono impietosamente le fasce sociali più deboli e indifese. Non c’è dubbio che milioni di cittadini continueranno a vivere, purtroppo, oltre la soglia della povertà e/o di ristrettezze impensabili un tempo. Proprio per questo una maggiore coscienza civile, oltre che politica, deve allora necessariamente fondersi con quelle parole; per riflettere e comprendere adeguatamente il senso e la direzione che si è inteso loro imprimere. Quella rinnovata coscienza civile deve, soprattutto deve, accelerare il suo percorso verso una rapida maturazione. Rendendosi conto che la partecipazione al processo di rinascita non può che essere innanzitutto collettivo. Al riparo, cioè, se non al bando, degli egoismi individuali che avvelenano intere categorie sociali; di quei personalismi ributtanti dentro cui si formano, celandosi, vere e proprie corporazioni professionali e di potere; di quella nichilistica visione dell’esistenza che priva i giovani della più che mai indispensabile autostima. Solo così rimarremo tutti lontani dai ricatti di una società moderna ancora troppo disinvoltamente proiettata alla rincorsa del bene di sé. E che, per questo, pavimenta giorno dopo giorno, sempre più pericolosamente, la strada a quell’”ospite inquietante”, il nichilismo per l’appunto, di cui così felicemente ci parla Umberto Galimberti nel suo omonimo saggio. Diventi dunque questo l’andante, pur non pretendendolo al ritmo del troppo, di una nuova e diversa Epifania. Non meno dannunziana, anche. Per quella manifestazione dello spirito che sia e resti rispettosa delle cicliche difficoltà del nostro tempo.