Narrativa:Sassano tra i ricordi di Roberto De Luca
UNA VICENDA VOLUTAMENTE IGNORATA
Roberto De Luca
Era il 2003, quando venne dato l’annuncio di una sconcertante scelta amministrativa a Sassano: una zona di pregio ambientale doveva essere sacrificata sull’altare del falso progresso, fatto di cemento e capannoni. Il Consiglio Comunale approvava, dopo quasi un ventennio[1], un progetto di insediamento industriale, secondo un piano regolatore del 1984, che andava rivisto alla luce di una nuova sensibilità sociale nei confronti dei temi ambientali. La Giunta Comunale dava il via libera ai lavori proprio dopo quattro mesi da una delibera della Comunità Montana, che individuava quella zona come un boschetto (o bosco) paleo-palustre da preservare. Il progetto tecnico dell’insediamento industriale non riportava, a quanto è dato sapere, uno studio di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Come dire, faccio un intervento invasivo su di un punto dove è delicatissimo l’equilibrio dell’ecosistema locale e non effettuo nemmeno degli studi che possano scongiurare (o almeno minimizzare) i danni ambientali prodotti da un insediamento produttivo. Si vuole qui specificare, per chi non lo sapesse, che l’Assessore all’Ambiente dell’Amministrazione comunale di Sassano è in quota Verdi. Non si trova una riga di intervento di questo solerte amministratore a favore del sito di pregio ambientale. Al contrario, egli asserisce, in un suo intervento sulla stampa, che bisogna costruire l’insediamento produttivo per creare occupazione. Ora, a rigor di logica, in un territorio a vocazione agricola e turistica si distruggono potenziali posti di lavoro se si dà l’assalto alla vallata e, in particolar modo, se si cancella, con una inopinata delibera, un sito di pregio ambientale, che una precedente delibera di un ente sovra-comunale avrebbe voluto tutelare, a seguito di un dettagliato studio che ha portato alla definizione di una “carta di destinazione d’uso del territorio” per il nostro Vallo. Sembra quasi che il tempo sia trascorso inutilmente in questo ridente paesino ai piedi del Monte Cervati, poiché dal 1984 nessuna nuova sensibilità si è aggiunta alla pervicace intenzione di voler sacrificare, si immagina anche per poter incamerare i finanziamenti pubblici concessi per la costruzione delle aree produttive, una testimonianza dell’ambiente umido originario di questo grande anfiteatro naturale: il Vallo di Diano. Gli stessi finanziamenti pubblici hanno permesso, anni or sono, di costruire, in S. Pietro al Tanagro, una zona industriale infrastrutturata tuttora pressoché priva di insediamenti; gli stessi finanziamenti che permettono, di anno in anno, di completare il sacco della vallata, portato avanti con ostinata determinazione da vari soggetti; gli stessi, infine, che permettono di occupare l’areale della cicogna, altro sito di pregio ambientale, ormai devastato da una zona industriale ancora, rigorosamente, priva di insediamenti. E vi chiedete a che servono queste zone industriali a pochi chilometri una dall’altra? Forse a dare testimonianza che si può dare il proprio nome ad una struttura, magari intascando lauti finanziamenti pubblici, per poi abbandonare la struttura stessa al suo proprio destino, mentre il nome impresso su di essa rimane a futura memoria. Quanti di questi esempi conoscete nella vallata, deturpata da giganteschi capannoni “nominali”? Quanta occupazione hanno creato queste zone industriali fantasma? Quale contributo alla futura necessità di cibo potranno dare queste terre martoriate dal cemento? La sede Codacons di Sala Consilina, dopo vari comunicati scritti per indurre l’amministrazione di Sassano a desistere da un proposito che a noi pareva aberrante, denunciava il fatto il 24 ottobre 2007; il 29 febbraio 2008 veniva notificata richiesta di archiviazione del procedimento; entro i dieci giorni previsti per legge, la nostra sede inoltrava opposizione alla richiesta di archiviazione fatta dal pubblico ministero, dott. Barone. Finalmente, il giudice per le indagini preliminari fissava un’udienza camerale il giorno 14 novembre 2008, Si spera adesso verranno ordinate ulteriori indagini. I lavori, in tutto questo tempo, sono andati avanti alla chetichella nel bosco. Hanno praticato una strada-autostrada in esso. E sono due! La prima è stata effettuata in pieno Parco Nazionale a 1100 m sul livello del mare, in territorio di Monte San Giacomo. Anche in quel caso siamo intervenuti con una denuncia penale, dopo aver a lungo cercato, con i nostri gridi di allarme, di convincere l’amministrazione di Monte San Giacomo, che si ostinava a ripetere che tutto era a posto, a fare qualcosa per fermare gli scavi. Era stato un gruppo di cittadini di Monte San Giacomo a dare l’allerta. Quando siamo giunti sul posto in pieno agosto abbiamo trovato un grosso escavatore con cingoli che aveva eroso un’intera fiancata di una collina in un posto di una bellezza unica. Sapemmo, in seguito, che quella strada doveva servire da passaggio per un fabbricato di una persona danarosa del Vallo di Diano. Il gruppo di persone si costituì in comitato, che oggi prende il nome di Comitato 18 Agosto 2006 di Monte San Giacomo, a ricordo del giorno in cui furono fermati i lavori di scavo col coraggio delle persone che vollero difendere la loro montagna frapponendosi tra le pietre della collina e il potente escavatore. Ricordo che scapparono come le lepri con i loro mezzi cingolati questi poveri e inconsapevoli operatori meccanici, quando giungemmo su quel cantiere. Siamo ormai percepiti come degli orribili spauracchi in questa vallata? Voglio sperare di no. Ritornarono il mese successivo questi operatori, con materiale ghiaioso per completare l’opera. E l’amministrazione di Monte San Giacomo a dire che i lavori erano ripresi perché tutto era in regola. Prima che lo scempio venisse portato a termine, insieme al Comitato 18 Agosto ci recammo in Procura a depositare una circostanziata denuncia. Il magistrato inquirente, dott. Rinaldi, a seguito della nostra denuncia sequestrò prima un cantiere, poi il secondo (la strada era alquanto lunga, circa mezzo chilometro e tutta su suolo demaniale); successivamente, a seguito di altre segnalazioni su lavori portati avanti dallo stesso danaroso personaggio, sequestrò una suntuosa costruzione in piena zona 1 del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. A che cosa dovesse servire quella struttura non è dato sapere. Forse a ricezione turistica (in una zona protetta?), forse a uso personale, forse ad altro.Queste vicende costituiscono la rappresentazione plastica della nostra realtà, fatta di trovate furbesche e di improvvisazioni amministrative, di osservatori, che sono finanziati lautamente e che, come dice il nome, stanno solo a guardare e di fessi che si impegnano fino in fondo nelle cose in cui credono, fino ad essere costretti ad adire l’autorità giudiziaria per vedere la legge rispettata. Questa realtà, tuttavia, si propagherà a macchia d’olio nella vallata ormai al sacco, se non si cercherà di capire, con i mezzi opportuni, non a disposizione di un singolo cittadino o di un comitato o di una associazione, che cosa sta succedendo in questo territorio, dove è a rischio l’ambiente e non solo. Il fatto stesso che si conceda un permesso a costruire in suolo demaniale ad un privato, senza consultare il Consiglio Comunale e, quindi, quasi alla chetichella, costituisce di per sé un fatto amministrativo grave dal punto di vista giuridico, ma ancor più dal punto di vista etico.Queste vicende costituiscono il paradigma, secondo noi, di un modello negativo di società. Il “sistema”, come qualcuno potrebbe definire questo assetto sociale, imbriglia nelle sue strette maglie le buone intenzioni di chicchessia nel voler fare chiarezza sulle non limpide vicende e, alla lunga, la vince sull’onestà e sulla richiesta di trasparenza che promana da una collettività ormai allo stremo, vessata da secoli dai mille tentativi di sopraffazione da parte dei potenti di turno. Non vorremmo, però, che fosse solo il nostro territorio additato come il pantano dell’ingiustizia. Infatti, basti considerare quanto pubblicato da La Repubblica di Napoli il 27 dicembre 2008 a pag. I e V. In questo articolo si riporta la vicenda di un onesto cittadino e della sua famiglia, praticamente mandata in rovina dalla corruzione assurta a sistema. Il coraggio di questo padre di famiglia che inizia a fare il proprio nome, quello della moglie e poi dei suoi tre figli, vien fuori quando tira in ballo, nella sua vicenda, addirittura la Curia di Napoli che, secondo questo racconto, avrebbe contribuito a costruire un parco di immobili abusivi. Una storia che vorrei tutti leggessero. Una storia di questi tempi, ma antica quanto il mondo, in cui si racconta come il più furbo cerca sempre di imbrogliare la persona con scarsi mezzi culturali. E quando in queste tristi vicende sono implicati nomi eccellenti o enti morali e religiosi, anche se il tutto è avvenuto a loro insaputa, allora il disgusto si tramuta in ribellione per questo stato di cose.La storia del boschetto è però significativa in sé, per quello che essa rappresenta e per quello che mette in luce: una società ferma all’epoca medievale, nella quale pochi vassalli hanno nelle loro mani il futuro della gente, per lo più lasciata, colpevolmente, in uno stato di inconsapevolezza quasi completo anche da alcuni mezzi di informazione, che, per non far torto al potente di turno, ci impediscono di raccontare i semplici fatti. Ponzio Pilato diceva: “La verità… cos’è la verità”. Intanto, proprio nella sua ricerca dell’equilibrio istituzionale tra poteri, lasciava morire un innocente. Quanti Ponzio Pilato conoscete? Quanti che si assoggettano al volere della ragione della forza? E lasciatemi dire che, in questo frangente, ci mancherebbe solo la reintroduzione dello “ius primae noctis”. Quando saremo obbligati a portare le nostre spose al cospetto del signorotto del paese, prima di poter consumare nel sospirato talamo nuziale le nostre giuste nozze, saremo allora sicuri che il “sistema” avrà definitivamente vinto. Fino ad allora, ci permettiamo di scrivere un canto al capannone abbandonato, nella speranza che qualcosa possa presto cambiare.
ODE AL CAPANNO(NE) ABBANDONATO
A te che pur solingo i giorni meni
sul lato della strada abbandonato;
a te che tempi bui e meno ameni
vagheggi e non vorresti mai esser nato;
a te che a sera penso quando trovo
albergo nella mia calda dimora,
avendo attraversato il lungo covo
della vallata che l’avar divora.
Se tu sapessi quanto affanno e quanto
alte le grida alla tua triste sorte
levai al vento come incauto canto,
allor potresti giudicare il danno
di chi distrugge la vetusta corte
fiero del nome, o fetido capanno.
[1] In questo lasso di tempo anche i regimi più efferati crescono, fioriscono e muoiono, mentre in quel paese permane, ancora incontrastato, da quasi trent’anni, un potere stranamente retto da una singola persona, che ora guida, di fatto, una lista unica, senza opposizione politica.