Primo spettacolo di “Rota in festival”

Venerdì 31 ottobre, presso il Centro Sociale “Marco Biagi” di Mercato S. Severino, si è tenuto alle ore 20.30 il primo, interessante, entusiasmante spettacolo proposto da “quelli” della rinomata associazione Compagnia Stabile “Città di Mercato S. Severino”. Il tutto nell’ambito di “Rota in festival”, rassegna-concorso teatrale per gruppi emergenti e soprattutto per compagnie che prediligono ed attuano la nuova drammaturgia, un cartellone messo a punto dai giovani e meno giovani artisti della stessa Compagnia Stabile che hanno portato sul palco quattro associazioni cultural-teatrali provenienti da tutta Italia e molto valide artisticamente (prescelte tra ben 22 che hanno inviato le loro referenze e presentato i propri spettacoli) per accontentare gli aficionados (appassionati) di questo genere e branca della conoscenza umana: il teatro, per l’appuntoIl “meccanismo” prevedeva (prevede) la performance sul palcoscenico di giovani autori, registi, attori, scenografi e altri artisti che gravitano nel mondo dello spettacolo, per essere anche “giudicati” da una commissione apposita, una giuria ad hoc, che valuterà fino all’ultima serata i gruppi e le categorie in cui immettere innanzitutto la migliore compagnia, poi il migliore attore, la migliore attrice e la migliore regia.

La soiree finale sarà anche dedicata, oltre che alla cerimonia di conferimento del trofeo e delle targhe Uilt (unione italiana libero teatro) allo spettacolo proposto dalla Compagnia Stabile: “Il sogno di Edgar”, ispirato alla celebre “Antologia di Spoon River”, ad opera dello scrittore Edgar Lee Master.

Abbiamo detto che il teatro a S. Severino è molto ben finanziato, come diverse altre iniziative culturali. Ed è così.

Mercato S. Severino, difatti, pullula letteralmente di associazioni, di sodalizi culturali, ma soprattutto – nella nostra fattispecie – di appuntamenti con la drammaturgia, con la comicità e la riflessione di quel recondito mondo stralunato che è proprio il Teatro, quello con la “T” maiuscola.

A S. Severino presso il teatro comunale si pone ogni anno in essere il ricco, variegato cartellone-contenitore che inaugura e pubblicizza la stagione teatrale con interessanti e strepitosi spettacoli di drammaturgia (anche se non tanto), cabaret e commedie napoletane, queste ultime due “categorie” le più amate e gradite alla gente, sia “semplice”, sia riguardo i più riflessivi e impegnati culturalmente…

Sempre a S. Severino, però, vi sono molte occasioni per recitare in senso propriamente detto, cioè calcare effettivamente le tavole del palcoscenico, tramite questi benemeriti sodalizi, quale appunto la Compagnia Stabile, ma anche il laboratorio della scuola di recitazione “Jacques Copeau”, diretta dal regista e attore Alfonso Capuano – anche direttore artistico della manifestazione di “Rota in festival” – dalla cui costola è nata la stessa Compagnia Stabile.

Ricordiamo poi la breve ma in un certo senso felice esperienza della scuola di recitazione istituita per un periodo relativamente corto dal famoso attore Pier Maria Cecchini.

Godibilissima, inoltre, l’esperienza e la bramosia-virtuosismo delle piece portate in scena dalla Magnifica Gente do’ Sud, un’associazione amatoriale famosissima a S. Severino, che vanta un’esperienza più che decennale e che opera nel sociale.

Tornando a noi, cioè a “Rota in festival”, il primo spettacolo che questa importante e seria associazione ha fatto sì che andasse in scena venerdì 31 ottobre è stato: “Don Giovanni”, tratto dal don Giovanni di Moliere, ma in chiave femminile e anzi diremmo femminista.

L’opera è stata rappresentata dalla compagnia “Costellazione” di Formia, per l’adattamento e la regia di Roberta Costantini.

Il tutto accompagnato da tantissima suspence, con musiche classiche, liriche e rockeggianti appropriate a coronare la tragica, infernale e cruciale vicenda di un don Giovanni al femminile e femminista; spregiudicata, indisponente, menefreghista e dissolutissima appare infatti Giovanna, la protagonista, che non dà ascolto alla propria coscienza.

Questa è rappresentata sia dalla Voce Madre, calata dall’alto e beffarda, proveniente dal servo Sganarello, sia da una signora dolente e rigida, severa, che si muoveva sul palcoscenico e cercava di lavare in una cassapanca tra i pochi oggetti di una scena scarna e glabra, il vestito da sposa di Giovanna e la sua sporca condotta di vita.

Lo spettacolo era incentrato e concentrato, imperniato su un’angoscia onirica, un dissidio epocale e relativistico tra la donna- don Giovanni e Dio, un Dio iracondo e severo, che fa nascondere il volto da una maschera ai chierichetti falsi, ipocriti, anch’essi largamente beffardi ed infernali.

Rinasce (rinasceva nella rappresentazione) invece nell’opera alla grazia il prete-burattino che “donna Giovanna” aveva strappato, nella sua lussuria sfrontata, alla Chiesa: un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio, quell’Entità che poi alla fine punisce con l’annullamento della personalità questa “sventurata”, come il Manzoni definisce la monaca di Monza…

Una croce con fili per burattini svela (svelava) l’arcano piacere di donna Giovanna, che è sempre solita dire – nella piece: “Questa è una questione tra Dio e me”, così sibilante e strisciante come il serpente del peccato nell’Eden per Adamo ed Eva, anche se costoro non peccarono tanto di lussuria, nel Paradiso terrestre, quanto di superbia: volevano – come Giovanna – essere superiori a Dio, essere immortali e conoscere il bene e il male…

La dannazione dell’arte, il dilemma (dubbio dell’intellettuale) delle due maschere (in latino “maschera” significa “persona”) che rappresentano il ridere e il piangere del teatro, la superbia, la lascivia, la malizia e il giudizio accostato all’indipendenza di giudizio, tutto e molto, molto altro ancora in questo sconcertante, bellissimo spettacolo, validamente recitato: la trasformazione-trasformismo dell’attore, che ha la potenza del sapere, le chiavi del cuore del pubblico e il successo tutto per sé, questo in tale recital, questo sulla scena.

Il trasformarsi camaleontico di Giovanna proprio ciò sta ad indicare: quando si veste prima da giudice, poi da prostituta, ella vuole ritagliarsi un ruolo nella società (dell’epoca ma anche la nostra), poiché “l’abito non fa il monaco”, andando così contro i pregiudizi degli uomini e le convenzioni del vivere civile, che possono apparire superate e alquanto borghesi, perbeniste.

Personaggio emblematico e ribelle, mai tuttavia sguaiato, la protagonista stigmatizza i peccati dell’istituzione Chiesa in un mondo ricco di bufere e tentazioni, andando però contro la volontà di Dio.

Anticonformista per antonomasia e contro la morale imperante la donna che interpreta don Giovanni getta la sua e altrui maschera farisaica per assumere una maggiore e più piena consapevolezza di sé in una temperie assai disordinata e distratta, che certamente non offre alla donna le stesse opportunità donate all’uomo anche nel postliberismo di oggi.

Pertanto a nostro avviso e secondo il nostro modesto parere donna Giovanna oltre a rappresentare l’effimero oppure la fugacità dell’amore e della stessa vita, rappresenta anche l’eterno femminino al contrario, in piena libertà di vedute e di azione, trasgressivamente e maliziosamente femminile.

ANNA MARIA NOIA