In ricordo di Vincenzo Ritonnaro
Aldo Bianchini
E’ sempre difficile parlare di un uomo quando non c’è più; è ancora più difficile, poi, parlare di un uomo vero quale è stato Vincenzo Ritonnaro (Enzo per gli amici). Un uomo che negli anni settanta e ottanta seppe farsi da solo mettendo in piedi una vera e propria “holding” imprenditoriale capace di partecipare a tutte le gare sul territorio nazionale (e non solo) per l’aggiudicazione degli appalti per medi e grandi acquedotti. Gli eredi, oggi, possono saldamente condurre una grande impresa nel difficile mondo dell’economia globalizzata. Era un uomo mite ed anche molto umile. La sua notorietà esplose, a livello pubblico, nel periodo tempestoso di tangentopoli: le amicizie erano pesanti, si andava dal mitico Ciriaco De Mita al potente Carmelo Conte, passando per Gaspare Russo di cui fu molto amico e confidente. Acclarata (con sentenza di primo grado) la sua posizione di finanziatore del famoso “Giornale di Napoli” insieme a tanti altri imprenditori dell’epoca, primo fra tutti Alberto Schiavo per non dimenticare Gerardo Satriano, Raffaele Mollica e tanti altri. Da cronista giudiziario lo definii “il Luca Magni salernitano” per il fatto di non aver saputo resistere alle incalzanti pressioni del suo amico Domenico Santacroce (procuratore della repubblica di Sala Consilina) e di essersi offerto a “spiare” gli amici di cordata ed a far loro rivelare particolari compromettenti circa le dazioni in danaro per il giornale in modo da farle apparire come dazioni forzate e non volontarie. Il procuratore lo dotò (un po’ come aveva fatto Di Pietro con Luca Magni a Milano) di registratore audio madandolo a colloquio con gli altri finanziatori (oltre un miliardo di vecchie lire a testa) mentre la polizia giudiziaria registrava tutto a poca distanza, qualcuno disse che queste rivelazioni avvenivano addirittura in macchina lungo la via litoranea di Magazzeno. Non digerì il nomignolo che gli avevo affibbiato ed una sera della primavera del 1994 mi invitò a cena non certo per corrompermi ma per farmi capire, spiegò, qual era il sistema che imperava tra politica e affari. Mi disse anche che tutto sommato si sentiva a posto con la coscienza in quanto non aveva tradito nessuno e che, al di là dell’amicizia con “Don Mimì” (così veniva chiamato Santacroce), aveva ceduto per salvaguardare l’integrità morale ed anche economica di una sua stretta familiare. Da quel momento l’ho guardato sempre con un altro tono; ci siamo incontrati spesso nella aule di giustizia nelle quali ha saputo sempre districarsi con grande abilità. Ha portato con se almeno un segreto importante: “Chi aveva incontrato Donigaglia (il mitico gamba di legno), presidente della coop. rossa Argenta, presso la sede del PCI di Via F. Manzo dove “Enzo” lo aveva accompagnato per concordare le percentuali dello sponsoraggio di un grande lavoro pubblico urbano?”. Tutto il resto, direbbe qualcuno, è noia; lo ricorderò soprattutto come un imprenditore, un grande imprenditore che dovette suo malgrado soggiacere al sistema che impera tutt’oggi.