Politica a scuola: perché no?

Federica Cerino

Al giorno d’oggi, con le numerose discussioni a cui si assiste su tutto ciò che riguarda il governo e la sua precarietà odierna, i giovani si trovano disorientati riguardo le questioni politiche. Chiunque è  a conoscenza che l’età minima per votare è il diciottesimo anno di età ma spesso gli adolescenti, confusi dalla scelta, votano a caso, ma non si astengono da esso nell’indecisione, in quanto ansiosi di entrare ufficialmente nel mondo degli adulti, attraverso un primo gesto che dimostra la vera e propria appartenenza alla vita della città . Allora, perché non discutere stesso a scuola, l’ente della società fondamentale per la formazione, con i ragazzi sui principi fondamentali della scienza del governo, ma (ovviamente!) soltanto a scopo informativo? Chiunque risponderebbe così a questo quesito: “ Non è possibile fare politica a scuola” oppure “gli insegnanti a scuola devono essere APOLITICI”. Innanzitutto una prima discussione, sempre a livello puramente informativo, dovrebbe essere effettuata sui termini da utilizzare. Per prima cosa “APOLITICO”, secondo la sua etimologia, significa “non interessato alle cose della città”. I professori, più che “apolitici” dovrebbero diffondere le informazioni dell’arte del governare in modo “APARTITICO” ovvero senza specificare una precisa preferenza verso un partito pubblico. Qualche volta i giovani prendono posizioni, quali destra e sinistra, (affermando spesso e ovviamente erroneamente che “quelli di destra sono i fascisti, quelli di sinistra i comunisti”), ma senza essere a conoscenza  dei loro principi fondamentali e senza neanche essere al corrente del perché questi partiti sono denominati “destra” e “sinistra”. Eppure l’origine dei loro attributi risale ad uno dei momenti storici più studiati e approfonditi a livello scolastico, cioè durante la Rivoluzione Francese. Si potrebbe iniziare a discutere dei valori dei movimenti istituzionali  proprio a partire dallo schieramento avvenuto nel 1789 e in occasione della formazione dell’Assemblea Nazionale. In questo modo, attraverso i dati e la conoscenza minima dei valori fondamentali delle varie tendenze governative e amministrative, in modo assolutamente neutrale, i giovani possono comprendere meglio la realtà che li circonda, interessarsi successivamente in modo autonomo e consapevole  e compiuto il fatidico diciottesimo anno di età, andare per la prima volta alle urne, coscienti della scelta che si prende.

 

2 pensieri su “Politica a scuola: perché no?

  1. Il problema è che a scuola si fa malapolitica e poco insegnamento. A diventare bravi cittadini si impara con l’esempio, non con le chiacchiere. Se gli insegnanti non sono i primi a rispettare le regole, tipo non parlare al cellulare in classe o parlare in un italiano degno di questo nome, cosa insegnano? Apolitico non lo è nessuno, apartitico a scuola dovrebbero esserlo i docenti. Ma poi chi dovrebbe insegnare l apolitica? I docenti di religione, quelli di filosofia, quelli di educazione civica? A scuola ci si va per studiare e per imparare a comportarsi civilmente, sarebbe già tanto se si facessero queste cose.

  2. Mi rivolgo all’Autrice dell’artiolo che forse ignora come sia difficile per un docente di Storia potersi ritagliare già quel poco di spazio per tenere lezione. Tra assemblee, manifestazioni, scioperi, autogestioni, già il corso di Storia praticamente non si fa. Beato il docente che, genitori permettendo, riesce a tenere due lezioni in un anno di Educazione Civica … e lei mi ci vuole mettere anche la politica? …
    La prego di farsi teletrasportare su questa terra poco seria che è l’Italia.
    Lucia

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