Nocera Superiore: IC “Fresa-Pascoli” , riflessioni in tempo di Covid19 “Partire da un sogno per creare un bisogno“

Si respira nell’aria qualcosa di nuovo, di diverso…. Un bisogno d’amore per continuare a vivere in questo nuovo mondo toccato da una pandemia che lascerà segni indelebili ma che rafforzerà anche il nostro essere. Tutti noi abbiamo bisogno d’amore, nessuno escluso, inutile nasconderlo… Ma come si fa ad amare ed essere amati? Bella domanda… Domanda importante se pur nella semplicità della sua essenza. „L’amore è una cosa semplice“ ripetendo il pensiero di Tiziano Ferro. Amare fa parte della

natura; tutto intorno a noi ci parla d’amore. Quando riceviamo amore spesso siamo portati a pensare che è il sogno che si avvera, come nelle fiabe. E‘ il „magico“ che entra nel reale e ne trasforma i contorni facendo rinascere il tutto.

In questo delicato periodo noi tutti abbiamo non solo fame d’amore ma anche bisogno di donare amore. Tutta l’intera società è coinvolta e noi, che facciamo parte di una famiglia così importante come la scuola siamo i primi ad essere chiamati per donare amore. I nostri ragazzi stanno vivendo un cambiamento che non è solo intorno a loro ma ha ripercussioni soprattutto dentro di loro. Stanno nascendo nuove anime e la scuola ha bisogno di insegnanti che siano „maestri“ che sappiano prendersi cura di queste anime. Prendersi cura di un’anima…. Chiaramente questa è sia una visione della vita interiore e spirituale, che etica, morale, umana; non è la stessa cosa del prendersi cura di una persona solamente a livello psicologico. Educare un’anima è ben differente. Non stiamo dicendo che la persona non debba meritare di ricevere le necessarie attenzioni.

Stiamo parlando della stessa cosa ma con una differenza fondamentale. Stiamo affermando che va integrata l’educazione anche a livello emozionale, energetico, spirituale e filosofico. Per prendersi cura delle nuove anime occorre che ci sia un insegnante capace di prendersi cura di se stesso. Un insegnante che sia un Maestro, una persona che si ama e ama ciò che fa.

Per prendersi cura di se stessi, occorre saper che ogni essere umano è un bene prezioso, unico, ineguagliabile e merita di essere amato, curato, rispettato, aiutato. Per farlo bisogna smettere di pensare che l’uomo sia un oggetto da sfruttare o vaso da riempire e, quindi, per insegnare all’uomo occorre avere una visione della vita della propria anima. L’uomo è chiamato a scoprire l’esistenza dell’anima. Per scoprire l’esistenza dell’anima l’uomo lo può fare solo imparando ad amarsi. E‘ grazie all’amore che l’uomo conosce se stesso.

Ecco, dunque, l’importanza di portare a scuola l’amore come materia di studio e di preparare e offrire un percorso di crescita e di studio. Quando ci rivolgiamo ad una persona pensandola come un’anima, il nostro atteggiamento sarà ben differente sotto ogni punto di vista. Cambia il modo di pensare, di parlare e di agire. Quello che molti non sanno è che ogni essere umano è una struttura biologica al servizio di una coscienza ben superiore e non viceversa. Per poter comprendere questo concetto occorre risvegliare la propria coscienza. E‘ grazie ad essa che l’uomo entra a conoscenza dell’esistenza della vita dell’anima e, successivamente, dell’esistenza della vita dentro di sé.

E‘ fondamentale iniziare a diffondere una cultura del rispetto, dell’amore, della consapevolezza, poiché ciò che sta accadendo è un cambiamento su scala mondiale dell’intera società. Un cambio epocale. Da una parte finisce un ciclo di vita che ci ha visto come esseri „primitivi“ e di fronte a noi un nuovo essere evoluto, cosciente, molto più intelligente e questo lo vediamo proprio nelle nuove generazioni. I giovani, oggi, sono più coscienti e nei loro occhi si vede chiaramente l’autorevolezza che nelle generazioni passate non c’era.

Il ruolo dell’insegnante è emergente perché è una posizione privilegiata così come lo è quella dei genitori che vanno aiutati nella stessa identica maniera.

Il bisogno di amore sano, accettato e canalizzato, facilita la connessione e consente alle persone di „nutrirsi“ e crescere. Quando riconosciamo il bisogno di essere amati e di stabilire una profonda connessione emotiva, possiamo provare a soddisfarlo nel modo più sano, preservando la nostra identità e apportando valore autentico alla relazione.

Bisogna essere consapevoli che ai docenti non si richiede solo di insegnare, ma „fare coraggio“; attutire o almeno contenere l’ansia; offrire supporto; cercare le parole per dirlo e farlo dire ai genitori; sollecitare l’espressione e la gestione dell’angoscia; volgere al „fare“ le risorse e le energie per avere, almeno, riscontri positivi di un lavoro ben fatto in tanta desolazione; si richiede di limitare lo studio individuale e prediligere il “Fare insieme“ valorizzando la meta cognizione attraverso la meta comunicazione, dando sempre e comunque un feedback al lavoro svolto. Essere tolleranti per una telecamera spenta per comprendere la difficoltà e la paura di mostrarsi. Essere „scudi di quiete“ e „agenti di serenità“ nella tempesta.

La pandemia ha scavato un solco tra il prima e il dopo, servono ponti di empatia per lenire ferite immedicabili. Arrendersi a disfattismo e fatalismo è quasi scontato in un contesto così tetro, facile affondare, ma ci sorreggono due compagne di viaggio che non tradiscono mai: la storia e la natura. Ecco la storia come maestra di vita e vado subito a parafrasare un celebre aforisma di Franklin Roosevelt: „L’unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa“. Non ha senso piangersi addosso, è invece arrivato il momento di una comunità cosciente che vede ogni cambiamento, anche quando porta lutti e lacrime, come una risorsa per crescere: c’è bisogno quindi di tanta resilienza per trasformare il vuoto in un trampolino di lancio. Facile a dirsi, difficile mettere in pratica. Cosa fare? Dopo la storia, ci soccorre la natura. Copiare un fiore…

si, imitare il fiore del loto che cresce nel fango ma diventa simbolo di purezza e bellezza. Questo bellissimo prodigio della natura emerge e si nutre nella fanghiglia, nell’acqua putrida e, quando fiorisce, si erge magnifico. La natura è così appassionante da darci le risposte più inattese. Anche noi, come il loto, siamo nel 2021 circondati da cose brutte, come cuori spezzati e visi rigati da lacrime ma non disconosciamo ciò che di positivo c’è ancora intorno a noi anche con il coronavirus: il tempo, gli affetti, la solidarietà, le amicizie, gli esempi, l’amore. Stiamo imparando tante cose.

La pandemia, lo scrive anche Albert Camus nel libro „La peste“, insegna che „non esistono più i destini individuali, ma solo una storia collettiva“. Non ha più senso una vita all’insegna dell’individualismo sfrenato, in cui ogni essere umano era immerso in un cieco materialismo, causa di assurde ingiustizie economiche e sociali: c’è chi ha più cibo che fame, c’è chi ha più fame che cibo. Non lo dimentichiamo. Dicono i sociologi:

„Nulla sarà più come prima“ e il cambiamento non può fare a meno die giovani. C’è da scrivere la storia, tocca alle nuove generazioni mettere insieme un piccolo paragrafo del nuovo capitolo dell’umanità. Camus dice che, paradossalmente, è proprio la peste a farci scoprire „negli uomini più cose da ammirare che da disprezzare“. La pandemia ci ha insegnato che generosità e determinazione fanno parte della nostra indole. E‘ quella la strada maestra, la strada dell’empatia.

La missione, in questo tempo, è uguale per tutti: Prendersi cura gli uni degli altri. Ce n’è bisogno! Non si cammina da soli!

Noi insegnanti dobbiamo offrire agli alunni „risposte il più adeguate possibili e farci strumento prezioso al loro servizio attraverso: la comunicazione con gli occhi nonostante la distanza, nonostante la mascherina, il racconto dell’esperienza emotiva, l’aiuto a comprendere ciò che accade intorno a noi, la vicinanza die cuori come „ricetta“ per diminuire la distanza, perché tutti gli studenti, chi più chi meno, portano i sintomi di un malessere psicologico generato dall’esperienza del lockdown e del distanziamento sociale, un malessere che va gestito ed elaborato per garantire la loro serenità futura. La gestione del vissuto emotivo diventa allora un obiettivo prioritario.

Come aiutarli a gestire le loro emozioni in questa inusuale esperienza cui l’emergenza sanitaria li ha costretti, con la perdita traumatica die punti di riferimento fino a ieri comuni? Alcuni di loro hanno vissuto momenti difficili, di malattia di familiari, di ricoveri ospedalieri, se non addirittura la perdita di persone care; vivono ancora situazioni di incertezza economica e precarietà sociale aggravata ancor più oggi.

Vivono una scuola senza contatto fisico, senza strette di mano, senza abbracci; una scuola priva di quei significativi gesti di comunicazione „gentile; gesti di accoglienza, di empatia. Alla luce dell’importanza psicologica e pedagogica della relazione educativa insegnante/alunno, che in una prospettiva sistemica costituisce la „chiave di svolta“ die percorsi educativi, si deve dare particolare attenzione alle emozioni.

Alla fine quale sarà il risultato? Cosa abbiamo visto e imparato? Quale sarà la nostra valutazione?

Possiamo considerarla alla luce di una incontrovertibile verità, quella per cui si valuta quello che “abbiamo messo” nei ragazzi e non quello che “ci abbiamo trovato”. Si valutano gli esiti (da ex – eo, tirare fuori, in latino) e non i risultati. Le azioni che sono state reputate necessarie e che pertanto in coscienza riteniamo di avere messe in campo, diventano così una checklist di quello che si deve andare a cercare per valutare.

Valutiamo allora “quello che ci abbiamo messo”, con la giusta indulgenza per quello che non è stato possibile metterci, giacché l’emergenza c’è stata per tutti e sarebbe difficile ora pretendere da noi stessi di non averla avvertita come tale anche a livello personale e professionale.

I nostri ragazzi sono apparsi nella loro quotidianità familiare, più nudi ed esposti di sempre, anche loro malgrado. E, in fondo, anche noi, nelle nostre case e realtà private.

Si è stabilito un rapporto più diretto ed umano, ciascuno nelle proprie piccolezze ed anche incapacità, a saperle vedere, accettare, mostrare. Molte cose le abbiamo imparate semplicemente osservando le loro inquadrature, essendo partecipi degli spazi che avevano a disposizione, dei colori e delle forme fra cui vivevano, dei silenzi e dei rumori con cui interagivano. Abbiamo imparato qualcosa di più di loro anche quando si nascondevano dietro una telecamera chiusa o un microfono spento e abbiamo anche

imparato amaramente che i più fragili erano i più difficili da raggiungere e da “toccare” e che forse servivano delle catene virtuose per riuscire a stare loro vicino, catene fatte dai docenti più sensibili e dalle famiglie, concretamente insieme. Catene che ora bisogna preservare e badare bene di non sciogliere mai.

Abbiamo imparato che anche le famiglie erano provate e quasi ci chiedevano aiuto e conforto; siamo stati per molte famiglie punto di riferimento e sicurezza. Abbiamo guadagnato in reputazione e credibilità.

Molti genitori non avevano mai, prima di questo momento, condiviso con i figli tanto tempo in prima persona, tanto tempo per conoscersi e per fare insieme. E lo hanno scoperto con noi questo tempo, quello che i docenti, nella quotidianità, trascorrevano,

invece, con i loro ragazzi. A molte famiglie sono stati forniti suggerimenti e consigli, quando richiesti.

Tutti hanno sentito acutamente la mancanza di una cosa data fino a quel momento per scontata: la SCUOLA. Siamo stati capaci di farla risorgere, come l’araba fenice, proprio dalle ceneri del lockdown. La parola “magica” che dovrebbe contraddistinguere la valutazione di questo anno speciale, credo debba essere proprio “accogliere” nel senso più ampio possibile: accogliere l’alunno nel percorso nuovo intrapreso e valorizzare ciò che può essere valorizzato del suo percorso di crescita, nell’ingegnarci a trascinarli nell’amore per il loro apprendimento. Siamo di fronte ad un nuovo modo di fare scuola e che quindi la valutazione disciplinare deve contenere in sé i caratteri di trasversalità che connotano la vita reale e le conoscenze e capacità ad essa applicate. Insomma, quel che voglio dire, è che l’approccio alla valutazione di questo fine d’anno non potrà essere quello degli anni passati e che, anzi, forse quello degli anni passati non potrà e, giovevolmente, non dovrà essere usato più in futuro.

Vivendo all’epoca del Covid, è capitato alla Scuola di saltare il fosso dove prima ci si era presentati esitanti e reticenti e di ritrovarsi sull’altra sponda del medesimo rio, con qualche sicurezza in più e senz’altro uno sguardo diverso. Lo sguardo di chi sa di aver perso un ruolo totalizzante ma di averne guadagnato uno più solidale, ecologico, realistico e produttivo; di aver perso il ruolo di insegnante per aver guadagnato quello di “maestro”.

Dirigente Scolastico

Michele Cirino