La Voce e la Vita della Chiesa: “Non c’è seme senza campo”

Diac. Francesco Giglio

Martedì 29 giugno la Chiesa ha festeggiato i Santi Pietro e Paolo, considerati le colonne portanti della fede. Questi due martiri oltre a spendersi per la costruzione del regno di Dio hanno offerto anche la loro vita per questo fine. Il primo definito “ pescatore di uomini “ e il secondo “il grande annunciatore “. Con la loro abnegazione e la loro predicazione, hanno contribuito alla nascita e alla crescita della Chiesa e all’espansone del Regno di Dio. Per meglio comprendere che cosa è questo regno è necessario andare alla fonte e cioè ai Vangeli. L’evangelista Matteo (4,26-34) ci riporta quanto segue: “ Gesù Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Parabola del granello di senape. Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Gesù parla con parabole .Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa”.

Questo brano evangelico bene si presta ad una profonda riflessione. Nello spirito di umiltà preferisco utilizzare le parole di un mio carissimo confratello che ha saputo, in modo semplice ma chiaro, spiegare quanto scritto da Matteo.

“Gesù racconta la storia del regno di Dio. È la storia di un piccolo seme gettato nel terreno, che germoglia e dà vita a una pianta, per divenire poi nutrimento per chi ne gode i frutti oppure dimora per gli uccelli che pongono in essa il nido. È storia di vita ordinaria, storia di lavoratori e allo stesso tempo storia di gratuità. Storia, quindi, di responsabilità operosa e di stupore per il dono inaspettato, storia di sentimenti contrastanti che si intrecciano, perché fanno parte della nostra verità di uomini.

Davvero sorprende, questo mistero di vita. È necessario che vi sia qualcuno che semina, qualcuno che crede nella potenza della vita stessa, qualcuno che dia fiducia a un germe di grandezza insignificante, che peraltro deve scomparire e restare nascosto per poter divenire se stesso. E la stessa operosa fiducia va comunque riposta anche nel terreno, perché il seme non può germogliare e crescere senza le sostanze racchiuse nel campo che lo accoglie.

Dunque la meraviglia racchiude la potenza del seme, ma anche le risorse sorprendenti del terreno. Fuor di metafora, nelle parabole di Gesù ci viene svelato il prodigio di un incontro, di una penetrazione reciproca. Da un lato, quel seme che è la Parola, il Verbo fatto carne, pronunciato da sempre e instancabilmente dal nostro Agricoltore celeste, il Padre del Cielo e della Terra. Una Parola efficace, che agisce anche se non ce ne accorgiamo, che trasforma un solco in un giardino, che trasfigura pazientemente ed efficacemente le zolle in cibo per l’uomo.

E dall’altro lato, il campo che è il mondo…il terreno che è l’uomo, ogni uomo e ogni donna, creature predilette da Dio, fatti in modo da essere capaci di accogliere e alimentare il seme in modo che dia frutto. Proprio così: non avrebbe senso la Parola senza un cuore in grado di accoglierla, come non può esistere l’amore se non c’è qualcuno bisognoso di riceverlo e abilitato a farlo. Gesù non ci manifesta l’azione di un Dio tanto onnipotente da preferire una fecondazione artificiale e solitaria al rischio umile di una relazione, che deve divenire generatrice di vita, ma lo può soltanto nell’adesione di entrambi i protagonisti al rapporto. Così il seme che viene sparso dalla mano celeste ha bisogno del campo, quell’umano troppe volte disprezzato e denigrato da contadini poco propensi a stimare la bellezza del dono ricevuto.

Le parabole ci aiutano a scoprire che l’opera di Dio è inarrestabile…che nella storia dell’umanità la Grazia agisce in modalità che ci sfuggono, che la potenza della Vita donata è efficace a prescindere dai nostri meriti e dai nostri calcoli. Ma ci aiutano anche a restituire alla nostra natura mortale la dignità che le spetta, perché l’uomo è se stesso proprio in quanto limitato e fragile, ed è la nostra debolezza il luogo dove può depositarsi la semina.

Guai a considerare i confini della nostra persona come un male, come una disgrazia che ci allontana da Dio: sarebbe una sottile e pericolosa concessione alla superbia, come se volessimo in fondo essere campo che genera da solo, senza bisogno della fecondazione da parte dello Sposo. Così a volte viviamo la vita cristiana, nascondendoci dietro false lamentazioni di piccolezza e di debolezza, e insinuando invece l’ansia presuntuosa di essere noi perfetti, e quindi non solo alla pari di Dio, ma autonomi e autoreferenziali.

La metafora della seminagione descrive piuttosto la verità, di Dio e dell’uomo, che è meravigliosamente e inevitabilmente realtà di relazione, nella quale l’uno non può vivere l’amore generativo senza l’altro. E se Dio ha voluto autolimitarsi per potersi donare a noi nel mistero del seme che morendo dà vita, perché non dovremmo noi accettare che le nostre debolezze e i nostri limiti sono in fondo il vero spazio in cui può insinuarsi la Parola che feconda e ci rende dimora e pane per chiunque?

Con questo spirito, nemmeno la falce farà più paura. Sarà infatti solo strumento – sebbene doloroso – in mano all’Agricoltore, che, agendo in noi, è preludio dell’unione definitiva per una vita finalmente senza confini”. (p. Luca Garbinetto della Pia Società San Gaetano).

A conclusione di questa riflessione mi preme presentare la Chiesa di Cristo come “la grande famiglia umana” in cui per volontà del Fondatore, e la testimonianza dei singoli componenti, deve regnare l’amore fraterno,  il grande rispetto della dignità di ogni suo membro e il riconoscimento dei singoli doni e carismi.