Angolo lirico: Silvano Trevisani, silloge poetica “Le parole finiranno non l’amore”- Manni 2020

Già il titolo, di questo libro di poesie di S Trevisani Le parole finiranno non l’amore, Manni 2020, ci fornisce qualche indicazione. Siamo di fronte a un’antitesi tra natura e cultura, tra natura e storia. Da una parte abbiamo le madri, figure centrali e archetipiche; e ci sono i bambini, che “ingombrano di verità gli artifici semantici”, perché “Dio ci chiede di restare bambini”. Madri e figli piccoli, che si mostrano “incuranti degli urli di mia madre/che agitava qualcosa sull’inferno”: che dimostrano un amore per la madre che è sempre rimorso; “mia  madre sta……piangendo chissà per quale inconfessabile nostalgia./O forse per me, che deludo  i suoi piani, /gracile come sono e ombroso per le malinconie/:che mi assediano da tempo/”.Un quadro straziante,  una delle vette poetiche della prime sezioni se non dell’intero libro. Le madri “amavano in silenzio”, e soffrivano per il silenzio dei loro uomini, che cercavano di placare intavolando discordi di pacificazione. Ma l’uomo era allora il luogotenente di Dio; era il padrone che, per suo sollazzo, metteva in cinta le donne, destinandole al parto “fai da te” e poi ne comprava i figli col lavoro.

Anche se poi la vera madre è la terra, “ingrata quanto vuoi”, ma pur sempre in grado se lavorata di offrire i suoi frutti

Poi c’era la morte, anch’essa centrale con il suo colore nero nel sole abbagliante del Sud, una morte non del tutto uguale; un dolore per i ricchi, un “canto solidale”, forse quello delle prefiche, “un tragico scampare, alle ruote dei conventi” per i poveri; la morte si deve guadagnare, si sconta vivendo,  consolatoria per i poveri, che vedevano scemare il numero  di bocche da sfamare; perché vivere era più complicato del morire: è un verso che riecheggia Majakovskij,  e c he bene esprime la durezza della vita di quei braccianti, dei contadini. La cultura e l’arte si impadroniscono di quelle forme elementari dell’esistenza, e, concettualizzando, non danno vita. Perché il cronotopo è proprio questo. La vita dei braccianti nelle campagne, la realtà contadina all’epoca dell’emigrazione. Una controepica del quotidiano, con l’ora della messa giustapposta alle partite di bigliardino, uno dei poveri passatempi dei paesi del sud, come anche le interminabili partite “nello stadio di strada”, dove i compagni sbraitavano, “perché non era gol, anzi lo era”.

In questo ambiente naturale non idilliaco, l’unica via di scampo è costituita dai ricordi, dalla fuga nel passato, dove si trovano “i fantasmi della felice età”. E dove è possibile possedere gli amici, che solitamente si separano. Tutto questo già nella prima sezione quindi sulla soglia, dove troviamo in nuce le principali tematiche.

Nella sezione successiva Dal mito all’oggi, oltre alle figure ritornanti delle madri (Mater mediterranea è il titolo di una lirica), la terra si configura anche come amante dal ventre molle, da scavare, ispezionare, abbracciare, come una delle oscure caverne della vita. E si affaccia anche la tematica amorosa con lo struggente ricordo delle notti trascorse sulla spiaggia a unire i punti delle costellazione come avviene in un noto testo di Quasimodo ambientato in Piazza Navona e a “inventarsi l’orizzonte/propaggine del nostro perigeo”; ed è un amore più forte del terremoto se baciandosi così forte, non si sentono “i muri agitarsi”.

Dello stile personalissimo dell’autore molto ci sarebbe da dire: ci limitiamo a osservare che singolari sono  le similitudini, prese dalla vita di ogni giorno, dagli oggetti semplici:, come i “bottoni di una sottana”.

Per scoprire di più, conviene leggere il libro, ne vale la pena; le parole del critico, del ‘lettore di provincia’ finiranno; le poesie di Trevisani no.

Fabio Dainotti