La Voce e la Vita della Chiesa: “Stette in mezzo a loro”

Diac. Francesco Giglio

La terza domenica di Pasqua (anno B) l’evangelista Luca nel suo Vangelo ci narra dell’apparizione di Gesù agli Apostoli riuniti nel Cenacolo (cfr. Lc 24,35-48). Senza l’approfondimento e l’ascolto delle Sacre Scritture non è possibile far nascere una autentica fede pasquale. Il messaggio centrale del nostro credere è che “Gesù fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture” (cfr.1Cor 15,4). Questa certezza è stata ben compresa dalla Chiesa al punto tale che, tale straordinaria affermazione, è stata inserita nella nostra professione di fede che recitiamo ogni domenica. Volendo quindi cimentarmi nel commentare questo brano evangelico, dopo una attenta sua lettura, mi piace prendere a prestito la bella riflessione di P. Luca Garbinetto (Pia Società San Gaetano):

“ Agli evangelisti preme sottolineare che Gesù risorto vuole stare “in mezzo” alla sua Chiesa. Non ai margini, non sulla soglia, ma proprio “in mezzo”. Così afferma Luca, descrivendo la prima apparizione nel cenacolo; così aveva ribadito ben due volte Giovanni, testimone oculare (cfr. Gv 20, 19-26).“Gesù in persona stette in mezzo a loro” (v. 36). Lo ‘stare’ non è cosa scontata. Soprattutto per noi, che viviamo una società liquida e siamo così fluidi nelle nostre relazioni, così incostanti e sbrigativi, così abituati a far scorrere la vita quasi fosse un torrente impetuoso piuttosto che il fiume calmo della grazia descritto da Ezechiele profeta (cfr. Ez 47,5). Nella cultura del “mordi e fuggi”, chi sceglie di stare va contro corrente. Gesù ne fa uno stile definitivo. Egli, infatti, è risorto e non morirà più.

La sua permanenza in mezzo ai suoi è per sempre. Ma non la si comprende come una pura dimensione astratta, quasi che Egli si accontenti di rimanere con noi nel nostalgico ricordo dei tempi passati. Gesù non è un ricordo: è una presenza! Viva, concreta, reale! Sembra a volte difficile a noi, che non lo abbiamo conosciuto mentre percorreva le strade della Palestina, poterlo riconoscere presente nella nostra epoca cosiddetta post-contemporanea. Ma paradossalmente risultò difficile anche ai suoi compagni di avventure: quando Egli venne e “stette in mezzo”, rimasero “sconvolti e pieni di paura” (v. 37) e successivamente increduli dalla gioia e “pieni di stupore” (v. 41). Un turbinio di sentimenti, un trambusto di emozioni, una battaglia interiore. Forse la stessa che afferra ogni persona quando si tratta di entrare in una relazione autentica, senza più maschere né sotterfugi.

 Tanto più la relazione con Gesù. I suoi, pur avendone condiviso sogni e attese, delusioni e fallimenti, pur avendone visto il dramma dell’amore crocifisso, lo conoscevano solo per sentito dire, come Giobbe! E lo scambiano per un fantasma… o forse, inconsapevolmente, avrebbero preferito che lo fosse… Pare atroce questa idea: ma non succede anche a noi di sperare intimamente che non ci siano troppi scombussolamenti nella nostra esistenza?

Non siamo anche noi partitari dello “status quo”, almeno circa il nostro vissuto personale? E non è forse per questo che, non appena si prospetta un reale cambiamento dovuto a un incontro nuovo con l’altro, preferiamo scappare a altri lidi, per evitare che l’altro ci “costringa” al cambiamento? Come è difficile accogliere la gioia di una buona notizia, quando questa notizia ci cambia la vita! Gesù invece sta, per davvero. Come è rimasto anche prima. Come è stato per davvero nel grembo della Madre; come è stato per davvero fra la sua gente di Galilea; come è stato per davvero mescolato con le speranze e le fatiche del suo popolo e dell’umanità intera. Gesù è stato sulla croce, e non era un fantasma. Per questo, Gesù risorto sta in mezzo ai suoi, alla sua Chiesa, e con la sua fedeltà indica la via dell’autentica trasformazione. È proprio così: la sua permanenza, come roccia sicura su cui si costruisce tutto l’edificio, fa della nostra vita e della vita della Chiesa un luogo da abitare. Ma allo stesso tempo, ci interpella a un costante cambiamento.

Di fronte alla vita che ha sconfitto la morte, non possiamo più vivere come prima. Le chiusure egoistiche, le comode lamentazioni, le accuse al mondo che è una minaccia e dal quale preferiamo difenderci, non hanno più valore né giustificazione nella logica di Colui che sta, perché è “Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,8). La vita, il mondo, l’umanità acquistano un nuovo spessore. Non è più lecito trascorrere i giorni come fantasmi, imprigionati in luoghi comuni e schemi ripetitivi, che ci incasellano come marionette e ci separano dalla verità gli uni degli altri. Gesù sta in mezzo. Non da una parte, non fra gli altri. Gesù rivendica amorevolmente il proprio posto. Come punto di riferimento, anzi come “pietra di inciampo”. Chi sta in mezzo, con tutta la sua carne, con tutto il suo peso, che è – in ebraico – la gloria, non può passare indifferente. Gesù non è trasparente ai suoi. Oggi è invisibile agli occhi della carne, ma – come insegnano i maestri dello Spirito – nessuno può scappare dalla domanda su di Lui. Gesù, insomma, dà un po’ di salutare fastidio, lì in mezzo ai suoi, alla sua Chiesa. Dobbiamo necessariamente fare i conti con Lui, e con le false immagini che di Lui continuamente ci riempiamo la testa. No, Gesù non è un fantasma.

Per questo non scivola via come una fantasia, ma entra dolcemente e fermamente nella nostra esistenza. Con lo stile che sempre lo ha caratterizzato, e che ora possiamo riconoscere come lo stile inconfondibile di Dio. Si tratta dello stile della mensa condivisa. Gesù sta a mangiare con i suoi, ne condivide tutto il trambusto e lo trasforma in pace attraverso la sua fraterna e semplice presenza. Gesù risorto siede a tavola, si alza e serve, spezza il pane, lo mangia e lo distribuisce, offre il calice del sacrificio e della gioia. E lo fa per l’eternità. Nel cenacolo avviene un anticipo della pienezza del Cielo. Lì infatti il Figlio continua a vivere da Servo, perché servire è proprio dell’Amore. E a noi, commensali turbati e timorosi, porgerà definitivamente l’alimento di grazia che pregustiamo nel cenacolo delle nostre comunità cristiane. A questa mensa ci viene proposto e offerto di stare, un poco, anche noi. Perché nella frenesia del giorno, nell’ansia della settimana, nella paura di essere solo dei fantasmi, riscopriamo il riposo che ricrea e sperimentiamo la trasformazione che ci restituisce il vero peso della nostra dignità. Siamo “spirito, anima e corpo”: anche noi chiamati a vivere nella gloria dei risorti, rimanendo come tralci attaccati alla vite”.

Ancora una volta il Vangelo ci sconvolge perché, la nostra mente e la nostra ragione, non sono in grado di comprendere i misteri di Dio. Come nel Cenacolo Gesù stette in mezzo ai suoi apostoli, anche oggi Egli è in mezzo alle nostre comunità, che compongono la sua Chiesa, e con paterno amore ci rassicura e ci dice: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(cfr. Mt 28,20). Queste parole, le ultime che Gesù rivolge ai discepoli, segnano la fine della sua vita terrena e, nello stesso tempo, l’inizio della vita della Chiesa. Gesù non ci ha lasciati orfani. Egli è presente nell’Eucaristia, nella sua Parola, nei suoi ministri (vescovi, sacerdoti e diaconi), nei poveri, nei piccoli, negli emarginati e in tutti quelli che ci sono prossimi. Per chiudere la riflessione su questa pagina evangelica faccio riferimento alle parole di Chiara Lubich che così scriveva: ”Quello che ci è chiesto è quell’amore vicendevole, di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli; quell’amore che tutto copre, che tutto perdona, tipico del cristianesimo. Viviamo così, perché tutti abbiano la possibilità di incontrarsi con Lui già su questa terra”.