L’Arcangelo Gabriele e le sette allegrezze di Maria

don Marcello Stanzione

Un giorno, mostrandosi alla mistica Mechtild Thaller, l’angelo Gabriele le dice: “Tu soffri con Maria, rallegrati anche con me! Mai ancora tu hai recitato la corona in onore delle sette Allegrezze di Maria. Recitala dunque! Questo rosario è una sorgente di grandi gioie spirituali per tutti quelli che lo recitano, esso dona una grandissima gioia alla Regina dei Cieli. Fanne parte anche ai tuoi amici spirituali. Salutali in nome di Gesù e dici loro che la mia Regina li ama molto, che ella veglia su di essi incessantemente, perché essi diffondono il mio culto e quello di tutti gli angeli, il che è, per la Regina degli Angeli, la causa di una gioia che non si saprebbe esprimere”.

Egli sa di che parla: la legenda francescana del rosario delle sette allegrezze di Maria lo fa intervenire direttamente.

Nel XV secolo, fra Giacomo, novizio presso gli osservanti di Borgo San Sepolcro, attraversa una crisi spirituale. Oh, non grande cosa, ma allora basta un nulla per strappare una vocazione. Giovane pastore, egli aveva sempre avuto l’abitudine di ornare le immagini della Madonna con delle corone di fiori campestri che intrecciava guardando i suoi montoni. Egli non ne ha oramai più il tempo, né l’occasione, le rose del chiostro conventuale essendo riservate dal frate giardiniere agli altari della cappella. Un giorno che egli se ne lamenta davanti alla statua della Vergine, l’angelo Gabriele gli appare e gli insegna come onorare, con la recita delle sette decine – un Pater e dieci Ave – le allegrezze di Maria: tale è la corona più gradita alla Madre di Dio. Tutto allegro, il fraticello fa sua questa devozione, e la pace ritorna nella sua anima. Poco dopo, nel mentre che egli prega in questo modo, il maestro dei novizi entra all’improvviso nella sua cella e lo vede inginocchiato, un angelo in piedi ai suoi fianchi intrecciante una corona di rose e di gigli legati da un filo d’oro, che egli gli posa finalmente sulla testa. Fra Giacomo è obbligato a rivelare il suo segreto, e la devozione si propaga così nella comunità, poi negli altri conventi della provincia delle Marche.

Alcuni anni più tardi, essendosi un novizio impegnato per voto a recitare prima di ogni pasto la preghiera del fraticello – chiamato da allora FRA Giacomo Della Corona -, si accorge nel momento in cui egli entra in refettorio che non l’ha ancora detta. Chiede al padre guardiano l’autorizzazione a recarsi nel coro per riparare alla sua dimenticanza; il superiore vi acconsente, ma, prolungandosi l’assenza, invia un religioso a cercare il novizio. Non  ritornando questo, ne invia un secondo, che non riappare anche lui, poi un terzo. Siccome la comunità manifesta qualche impazienza, poiché il pasto si raffredda, va lui stesso a vedere cosa accade: i tre religiosi sono inginocchiati in estasi, contemplando l’angelo Gabriele impegnato a raccogliere le rose ed i gigli che escono dalla bocca del fraticello ed a intrecciarne con un filo d’oro una corona, che egli finisce col deporre sulla testa della statua della Vergine.