Monsignor Giuseppe Del Ton e gli angeli

don Marcello Stanzione

Monsignor Giuseppe Del Ton nacque a Dignano d’Istria  il 29 dicembre 1900 e morì a Roma nel 1997. Del Ton fu ordinato sacerdote nel 1924, successivamente si trasferì alla diocesi di Parenzo come segretario del vescovo e docente di latino nel seminario. Nel 1932 fu trasferito in Vaticano dove fu stretto collaboratore di ben 6 papi. Mons. Del Ton che fu molto vicino al padre cappuccino san Pio da Pietrelcina offre questa sua testimonianza: “Padre Pio era solito recitare una preghiera all’Arcangelo scritta da papa Leone XIII, sotto il cui pontificato egli nacque: ecco il testo della preghiera “O San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia. Contro la malizia e le insidie del diavolo sii di sostegno. Noi scongiuriamo supplichevoli che Iddio lo tenga sotto il suo dominio. E tu, o principe delle milizie celesti, per la potenza che Iddio ti ha dato, rovescia nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni che a rovina delle anime vanno scorazzando per il mondo”. Purtroppo – diceva monsignor Del Ton – questa bellissima preghiera da tempo era caduta in disuso perché la Chiesa aveva trascurato il culto di San Michele, non raccomandandolo più ai fedeli. Questo fu un motivo di grande dispiacere per Padre Pio che ripeteva spesso: “Oggi più che mai, in questa epoca apocalittica, è necessario combattere sotto lo stendardo di San Michele”.
Rinnovare il culto dell’Arcangelo era per lui un dovere morale. Sempre mons. Del Ton racconta: “La notte dell’11 novembre del1956 mitrovavo a Pompei e feci un sogno che non dimenticherò mai. Mi apparve Padre Pio benedicendomi: “Devi fare qualcosa per il bene della Chiesa e per la letizia del popolo. Fai qualcosa per rinnovare la devozione a San Michele. Datti da fare insieme ad altri uomini di intelligenza e di tempra ascetica”. Quel sogno – afferma mons. Del Ton – aveva un valore profetico. Negli anni successivi una serie di circostanze mi portarono a organizzare insieme con altre persone, un’associazione culturale che si propone di dare nuovo vigore al culto di san Michele Arcangelo. La chiamammo Milizia di San Michele Arcangelo. Quest’associazione si trova nella Cappella del monastero dei canonici Regolari a Tor Lupara, presso Roma. Là ci troviamo spesso per recitare la bellissima preghiera di Leone XIII invocando l’Arcangelo, proprio come faceva sempre Padre Pio che, con il suo aiuto, distribuiva le grazie e leggeva nel cuore degli uomini”.

Da un’intervista dello scrittore Renzo Allegri a monsignor Giuseppe Del Ton, avvenuta negli anni settanta, possiamo trovare spunto per meditare sul mistero angelico. Monsignor Del Ton, all’epoca, era protonotario apostolico oltre che uno dei maggiori latinisti viventi. Gli Angeli sono puri spiriti, intelligentissimi, ognuno con una personalità ben distinta. Per usare delle espressioni che ci facciano capire meglio, potremmo dire che l’Angelo è l’ ìo nel suo pieno significato, è persona che ha coscienza di sé, è concentrazione, nucleo, vetta di un’esistenza sovrumana, da cui parte un’attività di vasto raggio. Gli Angeli non hanno un involucro materiale come noi, ma sono occhi che vedono, mani che toccano, cuori che amano. Malattia, stanchezza, passionalità, morte, tutto ciò che indica e apporta infermità e paura non ha senso per loro.  Alla domanda di Renzo Allegri riguardo la forma corporea degli Angeli, Del ton rispose: Alcuni sostengono che gli Angeli sono spiriti purissimi. Altri, che hanno invece una certa corporeità sia pure spirituale. San Gregorio di Nazianzo, che studiò a lungo la questione, sostiene che se viene paragonato all’uomo, l’angelo è spirituale; se invece lo si paragona a Dio, è corporale. Per capire meglio, si può fare questa riflessione. Esistono due tipi di realtà, quella visibile o materiale e quella invisibile o spirituale. La prima inizia dal regno minerale, dove la vita ha forme inerti o primitive e arriva fino all’uomo, che è un capolavoro di materia e spirito. La seconda, comprende gli esseri nei quali la parte materiale non c’è più (gli Angeli) e arriva fino a Dio. La Bibbia parla di categorie che diventano sempre più perfette a mano a mano che si arriva a Dio. Ne enumera nove: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini. Gli Angeli sono più vicini a noi; i Serafini più vicini a Dio. comunque, la perfezione spirituale degli Angeli è tale da costituire una bellezza incantevole. Per questo, quando si manifestano, appaiono in forme stupende. Quelle che dovrebbero avere gli esseri umani dopo la risurrezione dei corpi. Renzo Allegri chiese se era possibile ipotizzare quanti erano gli Angeli, questa la risposta: E’ impossibile saperlo. I teologi hanno tentato di formulare alcune ipotesi cercando di interpretare il significato simbolico di certe frasi della Bibbia. Dalle Sacre Scritture si deduce che il numero di questi spiriti deve essere enorme. Giacobbe, nel suo misterioso sogno della scala che, poggiata sulla terra, toccava il cielo, vide “un visibilio di Angeli che salivano e scendevano”. Daniele, nella sua “Teofania” dice che ” mille migliaia di Angeli servivano e diecimila miriadi assistevano l’Antico dei giorni”. Gesù, all’inizio della sua passione, dice a Pietro che, se volesse, il Padre gli metterebbe a disposizione dodici legioni di Angeli. Basandoci sulle varie indicazioni offerte dalla Bibbia, i Padri della Chiesa e i teologi hanno avanzato l’ipotesi che il numero degli Angeli sia molto superiore a quello di tutti gli uomini finora esistiti e che esisteranno fino alla fine del mondo.”

Riguardo all’ angelo protettore d’Italia, mons. Giuseppe Del Ton con toni lirici così  descriveva tale spirito protettore “ italico” nel suo libro “ Verità su angeli e arcangeli”: “ L’angelo della gaiezza, anche della nostalgia di un passato glorioso, dello slancio verso il vero, il bene, il bello, si trova di fronte Asmodeo, il demone della discordia, dell’odio fra i classi, e l’esito della lotta non sempre è favorevole: ora è rattristante. Mi sono talvolta chiesto quale forma visibile vorrei preferibilmente per l’Arcangelo nostro, o Etnarca. Passeggiando una sera nei Giardini Vaticani, contemplavo il tramonto del sole. Il cielo era di un azzurro-cobalto sempre più languido e sfumato. Il sole, velato da un leggero strato di nubi, appariva come una fornace ardente, un blocco d’oro, un ammasso di mille topazi; ora si allargava, ora si restringeva e per lo più prendeva forma ovale, ma sempre maestoso, sovrano. Intorno all’ astro lentamente si spostava qua e là una nubecola di colore violaceo-carminio. Rapportai questo spettacolo di celeste bellezza alla angelofania del profeta Daniele, così da lui descritta: “ Alzati gli occhi, vidi un uomo vestito di lino; portava alle reni una cintura d’oro. Il suo corpo era come di topazio, il suo volto pareva fulgoreo, i suoi occhi come fiaccole accese è il suono delle sue parole come il fragore di una moltitudine” ( Dn. 10,5). Con riferimento a questo spettacolo di tramonto romano, così oso raffigurare l’Arcangelo nostro. Statura elevata, fronte spaziosa, nero l’occhio penetrante, fiero il capo giovanile aureolato di luce fulva; ali robuste, raccolte e quiete, ma pronte al volo immediato dall’uno all’altro mare italico. La sua veste: una tunica succinta rosa- azzurrognola; i calzari, d’oro; nella mano destra, un libro in cui si legga una sentenza a caratteri marcatamente impressi su sfondo di zaffiro: Italorum spes innoccidua Maria x u y . Così ritratto da esperto pennello, egli s’imponga non tanto per il valore estetico, quanto per la sua espressione simbolica, come è propria alle icone sacre. Onorato, invocato dai suoi fedeli sia in privato, sia in assemblea, riesca egli fattore quasi sacramentale di religiosità viva e operosa, diretta sempre al bene pubblico, e col suo beneficio influsso di mediatore prepari all’Italia nuova età, in cui i fortunati posteri, meno infelici, possano con grato animo salutarlo.
A noi venìa la creatura bella,
bianco vestito e nella faccia quale
par tremolando mattutina stella.
                                ( Dante, Purg. XII,88-90)
Ahimè! Tale archetipo ideale della grazia italica che si rivelò nel sorriso di Beatrice, e si rivelava ancora nelle donne di terra italica, nella gaiezza dei bimbi innocenti, nell’espressione del volto virile, amico, accogliente, va scomparendo. Passando per le vie delle città, raro è lo scambio del saluto, più raro il lampo della frase saggia e gentile; sfiducia e sconforto seminano tristezza e l’ avvenire si prospetta peggiore del presente”.