Italia un Paese dalle coscienze addormentate

Italia un Paese dalle coscienze addormentate

Giuseppe Lembo

L’indifferenza del mondo di fronte ad una guerra senza fine (di fatto siamo come mondo alla terza guerra mondiale, con quotidiane azioni di distruzione e di morte), è l’amara espressione di una grave e crescente disumanità sempre più diffusa. Le notizie di guerre che, ogni giorno a pranzo ed a cena e prima ancora al risveglio del mattino, sono purtroppo indifferenti ai più. Ai più d’Italia e del mondo; ai più dalle coscienze addormentate che fingono di non vedere e di non sentire, manifestandosi indifferenti alla barbare tragedie di un mondo sempre più senz’anima; sempre più dall’umanità negata e solo ipocritamente e falsamente all’attenzione del mondo; di un mondo diviso in due, con chi si gode la Pace ed i tanti egoistici piaceri di stare bene, una condizione umana il frutto di un consumismo sempre più senz’anima e chi invece muore di fame e disumanamente vittima di una grande povertà, maledice il girono in cui ha dato il primo vagito, comunicando al mondo un “ci sono anch’Io”, indifferente ai più della Terra. La nostra società, basata sulle forti disparità economiche/sociali, deve trovare le giuste soluzioni al cambiamento possibile. Deve, per questo saggio obiettivo, abbattere e/o almeno contenere i muri delle disuguaglianze purtroppo enormi e sempre più disumani. Deve saper saggiamente riportare l’insieme umano e sociale del mondo a quell’insieme valoriale capace di ridurre le distanze, cancellando le dinamiche autodistruttive che producono inopportunamente modelli umani gravemente distorti e barbaramente disumani. Non è possibile e tanto meno possibile pensare ad una società d’insieme dove ognuno crei un proprio egoistico valore di vita che si pretende di farlo poi diventare valore di vita anche per gli altri. Per combattere le disuguaglianze e dare un volto nuovo al futuro, occorre costruire una società umanamente nuova; una società dai valori condivisi, non adulterata e con il giusto valore nei rapporti personali, una grande risorsa umana da ben usare per una vita d’insieme saggiamente migliore ed attenta all’altro; da monito per il futuro che si deve responsabilmente creare insieme. L’Italia per pensare al futuro, deve prima di tutto sapersi guardare indietro; deve fare tesoro del suo passato. Un buon esempio italiano ci viene dalla Prima Repubblica. Dalla tanto vituperata Prima Repubblica. Ha ragione Stefano Passigli (Corriere della Sera del 2 gennaio 2017, pagina 26) a scrivere “La vituperata Prima Repubblica seppe nei suoi trent’anni raggiungere grandi risultati: ingresso nelle istituzioni internazionali, sviluppo economico e diffusione del benessere, riduzione delle disuguaglianze e grandi riforme sociali dall’istruzione alla sanità, sconfitta delle Brigate Rosse”. Tanto considerato, per il bene del futuro italiano, è da riflettere sul passato della Prima Repubblica; un passato importante per il presente italiano e soprattutto per il futuro italiano. Non è solo e per niente nostalgia. È saggezza italiana pensare positivo ed evitare di arrendersi al grave pericolo di un populismo e di un leaderismo dell’uomo solo al comando. Sarebbe un grave danno per l’Italia; sarebbe una vera e propria tragedia italiana per il futuro delle nuove generazioni oggi disumanamente sempre più abbandonate a se stesse. Occorre un saggio e diffuso protagonismo italiano; occorre un attivo percorso d’insieme per ricercare corrette forme di partecipazione alla vita politica. L’Italia è un Paese in forte crisi. Non cresce e non ci sono assolutamente i presupposti per crescere e tanto meno camminare insieme. Si gestisce l’ordinarietà delle cose italiane, facendo sempre e solo pagare a chi non ha; facendo sempre e solo pagare ai più deboli economicamente dell’Italia, costretti a garantire i privilegi dei tanti parassiti d’Italia colpiti dal male oscuro che si chiama Uomo. L’Italia non cresce, ma ciò nonostante continua a sprecare quello che non ha per garantire parassitismi e privilegi. Nessun taglio alla spesa pubblica; nessun freno al debito pubblico.