La Voce e la Vita della Chiesa: Frate Francesco, il povero tra i poveri

Diacono Francesco Giglio

In questo particolare momento di disagio nazionale  tutti siamo chiamati a riflettere su una dura realtà, che sta affliggendo  varie attività commerciali e industriali e moltissime famiglie :  la nuova povertà. Il problema, già esistente per una fetta della nostra società, si è ingigantito, per cui è doveroso soffermarci  per un attimo e far andare il nostro pensiero  indietro nei secoli, alla  figura di San Francesco. Questi in un intimo colloquio con il crocifisso di S. Damiano comprese bene la sua chiamata, infatti  scelse di vivere non con lo scopo di aiutare i poveri ma di divenire egli stesso povero. Maturò quindi la volontà di rinunciare a tutto, mettendosi alla sequela di “Cristo povero”. Nel suo slancio d’amore, conia “Madonna povertà”. Quella stessa povertà che aveva constatato nell’incontro con il lebbroso nel quale intravide “la povertà del mondo intero”. Dopo questo incontro si concretizzò in lui la solidarietà per i piccoli, i poveri, i sofferenti e gli ultimi. Francesco finalmente capì che la povertà non era la maledizione della terra, bensì il mezzo per combattere la ricchezza e la potenza di quanti, ricchi di beni materiali, non erano in grado di comprendere “l’amore e la misericordia di Dio”. E’ il caso quindi di capire la grandezza di questo “sposo di Madonna povertà”.  Soprattutto  cerchiamo di incarnare i suoi principi evangelici, per divenire come lui restauratore di un mondo bisognevole di operai ricostruttori di ciò che per incuria  è andato in rovina.

Francesco nasce ad Assisi nel 1182 da Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffe preziose, e da Madonna Pica: le fonti francescane raccontano che la madre gli diede il nome di Giovanni ma, dopo un viaggio di lavoro in Francia, il padre cominciò a chiamarlo Francesco.

Dopo aver condotto fino a 24 anni una vita disordinata, decide di seguire in Puglia il conte Gentile per ottenere il titolo di cavaliere ma durante il viaggio, nei pressi di Spoleto, ode una voce interrogarlo nel dormiveglia: “ Chi può meglio trattarti: il Signore o il servo? ”. Francesco rispose: “ il Signore “. Replica la voce: “ E allora perché abbandoni il Signore per il servo? “.

L’indomani il giovane decide di tornare ad Assisi e di attendere che Dio gli riveli la sua volontà. Dopo aver trascorso un anno nella solitudine, nella preghiera e nel servizio ai lebbrosi, nel 1206 rinuncia

pubblicamente all’eredità paterna nelle mani del vescovo Guido e veste l’abito da eremita. Oltre alla cura dei lebbrosi, in questo periodo Francesco si dedica al restauro materiale di alcune chiese dopo aver udito di nuovo la voce del Signore, stavolta attraverso il famoso Crocifisso di San Damiano: “ Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina “.

Comprenderà poi che il Signore non si riferiva al restauro materiale bensì a quello morale della Chiesa. Nel 1208, attirati dal suo esempio, lo seguirono i primi compagni frati, con i quali l’anno dopo si reca a Roma per chiedere ad Innocenzo III l’approvazione della loro forma di vita religiosa: il Papa li autorizza a predicare ma rinvia a un secondo tempo l’approvazione della Regola, poi ratificata da Gregorio IX nel 1223. Spinto dal desiderio di testimoniare Cristo nei paesi mussulmani, nel 1219 Francesco raggiunge l’Egitto dove, durante una tregua nei combattimenti della quinta crociata, viene ricevuto e protetto di persona dal Sultano al-MaliK al-Kamil; rientrato ad Assisi nel1223, a Greggio, il santo rievoca la nascita di Gesù con una rappresentazione vivente, dando origine alla tradizione del presepe. Dopo il capitolo di Pentecoste del 1224, si ritira per celebrare una quaresima in onore di San Michele Arcangelo sul monte dell’Averna, dove riceve il dono delle stimmate. Negli ultimi due anni della sua vita terrena, sempre più provato dalla malattia (soffriva di gravi disturbi al fegato e di un tracoma agli occhi), Francesco compone il Cantico delle creature e, quando le sue condizioni si aggravano in maniera definitiva, viene riportato alla Porziuncola, dove muore nella notte fra il 3 il 4 ottobre 1226. Neanche due anni dopo, il luglio 1228, viene canonizzato da Papa Gregorio IX e, nel 1939, Papa Pio XII lo proclama Patrono d’Italia insieme a Santa Caterina da Siena.

Questa è la sua scarna biografia, ma  per noi di un valore immenso perché  la sua vita ci ha lasciato un grande tesoro spirituale. Tra gli insegnamenti, che dovremmo mettere in pratica, deve primeggiare l’amore per i tanti poveri che oggi sono in mezzo a noi. E’ nostro compito aiutarli ad essere capaci di amare, ad essere pazienti nelle prove e forti nelle avversità. Anche se non è facile,  dovremmo far comprendere loro che “Dio c’è ed è presente nella loro vita”. Come Francesco anche noi dobbiamo, con la nostra fede e le nostre opere, testimoniare  che tutti siamo  nel pensiero e nel cuore di Dio

Padre, che ci  guida e ci ama . Come il Poverello di Assisi, mettiamoci a servizio dei  poveri non per scelta sociale, politica o filantropica ma per “un  atto d’amore gratuito”. Facciamo come lui “la scelta del Vangelo”.