Non offendete la M

Avv. Pasquale D’Aiuto

Premessa: da tempo volevo scriverne ma la fatidica molla è scattata quando ho visto le immagini del poliziotto americano in ginocchio su quello sventurato.

Mèrda s. f. [lat. mĕrda]. – 1. volg. Sterco, escremento umano o animale. 2. In senso fig., in espressioni proprie di un certo tipo di linguaggio volg., pop. o fam.: a. Persona o cosa spregevole, di nessun conto o valore: lo considero proprio una m.; faccia di m., pezzo di m. e spesso assol. merda!, espressione ingiuriosa riferita a persona; frequente anche nella locuz. agg. di merda: che lavoro di merda! b. Complesso di circostanze critiche, senza via d’uscita, o comunque tali da generare notevoli fastidî e disagi: essere, finire, trovarsi nella m.; anche, situazione o condizione moralmente spregevole, di pessima reputazione: non puoi fare il moralista, tu che sguazzi nella m. del compromesso. c. Come espressione di indignazione, collera e sim., o anche di netto rifiuto: merda! (per influsso del fr. merde!).

Bene, ci siamo tolti il pensiero: non la nominerò più. Basta il magistrale lemma di Treccani. Ed ha ragione: tutti noi, quotidianamente, ci riferiamo ad essa se dobbiamo esprimere qualcosa di oggettivamente o soggettivamente odioso, sporco, orribile. E se non lo diciamo, lo pensiamo. Non solo da noi (penso agli USA, a Francia, Spagna) questo quasi-intercalare è associato all’indesiderabile. Sembra del tutto naturale riferirsi alla M quando qualcosa non va.

Perciò, qual è il punto? È che più passano gli anni, più comprendo quanto sia profondo il pozzo della malvagità umana, meno concepisco l’opportunità di offendere la M, poverina. Ne faccio una questione semantica: perché siamo così banali?!

Forse, riferirsi ad essa per descrivere fatti e persone spregevoli è una pessima abitudine legata al tempo dell’infanzia? Temo di sì; e allora la dobbiamo superare, perché se non smetteremo di adottare quel termine in modo puerile, non saremo mai pronti a dare un nome vero alle cose, soprattutto al male.

Però è difficile: la testa mi suggerisce di usare altre espressioni – anche volgari: la volgarità è pur sempre un codice – ma la pancia rimanda sempre lì. Così mi correggo ad alta voce: “Ma perché devo offendere la M?!”.

E sì, perché in quest’universo esistono realtà infinitamente più tristi e fetenti: il razzismo, le mafie, l’usura, la pedofilia, il femminicidio, il nazismo, l’idiozia, la fame, l’assassinio, la miseria, la guerra, le mine anti-uomo, il cancro, la solitudine, l’abbandono, la pazzia, lo stupro, il lavoro minorile, lo schiavismo, per esempio.

E allora, perché non compariamo il male ad esse?! Il problema è, forse, che si tratta di concetti astratti? Non direi: sono molto più concreti della nostra protagonista puzzolente e quelli, sì, rovinano il mondo!

Quindi, per superare il blocco, ci vuole un po’ di training logico, ci vogliono fatti. Eccone qualcuno: la M è biodegradabile, naturalissima, concima, da essa “nascono i fiori” (De Andrè); “ci puoi fare la rivoluzione” (Benigni); le è dedicato un museo, a Castelbosco nel piacentino, poichè simboleggia concetti fondamentali quali trasformazione, riuso, metamorfosi; ho appena scoperto che, con quella di vacca, l’artista ed imprenditore Gian Antonio Locatelli “produce stoviglie, ricava il biometano per alimentare un paese di 3mila abitanti oltre a concime secco organico (registrato come Merdame, in vendita anche su eBay) ma anche mattoni e intonaco” (grazie, Livia Montagnoli ); in India ci si costruiscono case da sempre; ispira adagi acutissimi (“Si Totonno cacava, nun mureva”, cioè: “Quel che dici è ovvio”); può salvare la vita se viene “trapiantata” (giuro) nel corpo altrui ; ci informa sul nostro stato di salute; è ispirazione per l’arte (penso a Piero Manzoni, 1961, con la sua “Merda d’artista” in 90 esemplari: la n. 12 sta al MADRE di Napoli). E chissà quante ne dimentico.

Basta, dunque, invocarla ad ogni pie’ sospinto! Questo mondo è fatto di eccessi: meraviglia, orrore; luce, buio; bontà, perfidia; genio, follia. È un posto complesso, multiforme, faticoso; e lo è sempre più. Adottiamo altre comparazioni per esprimere quel che detestiamo: la M non se lo merita proprio.

Perché, se crediamo di descrivere il male paragonandolo a quanto di più naturale nella vita, allora mostriamo di non voler chiamare le cose abiette con il loro vero nome. Ed è la migliore strada per non affrontarle mai.

Pertanto: “Ho trascorso proprio una giornata di guerra”; “Che cancro di persona!”; “Sei un usuraio!”; “Quell’idiozia di ministro…”; “Razzista!” e così via.

Ma vi prego: non offendete la M.