San Giovanni Rotondo: Coronavirus, Monica Clemente Fini “Guarita da Covid-19, voglio donare plasma”

Rita Occidente Lupo

Monica Clemente Fini, un sorriso e tanta grinta. Ma la salute fa le bizze ed a volte mina la spensieratezza di voler vivere. Soprattutto se il nemico, ancora misterioso in questi giorni, semina panico e lutti intorno. L’esperienza che ha vissuto con il Coronavirus, ancora sotto attenzione. Residente a San Giovanni Rotondo, lavorativamente negli uffici amministrativi della strettura sanitaria di San Marco, Monica racconta la sua esperienza. “Dopo diversi giorni di febbre alta, dolori alle ossa ed al capo, apparentemente confondibili con i mali stagionali influenzali, il ricorso al medico curante e poi il 118. Di lì un iter che m’ha vista in vari Ospedali, legata ad un filo! Ero stata ai funerali a San Marco di un caro amico di famiglia, deceduto col virus. Ma l’esito del suo tampone giunto solo dopo, per noi tutti noi che avevamo partecipato all’estremo saluto, la quarantena! Dopo un paio di giorni, i sintomi Covid! Mio marito accusò solo raffreddore, mentre io con più sintomi che non mi facevano star tranquilla. Reduce da un intervento alla vescica a Cerignola, la persistenza febbrile m’indusse a non indugiare. Trasportata in Ospedale a Foggia, dalle prime indagini il danno polmonare e la diagnosi di Covid-19. Per una specifica assistenza, giacchè iniziavo ad avvertire sempre minore respirazione ed astenia paralizzante, fui traslocata in un’altra struttura, per affezioni respiratorie, Davanzo. Anche se l’ossigenazione ancora buona, in breve tempo peggiorai, rendendo necessario l’ossigeno caldo.

Il quadro precipitò tra la costante premura sanitaria: ricordo anche in autoambulanza! Così da sola, completamente isolata in reparto con una compagna di stanza, giovane donna alla quale avevano strappato il bambino dalle braccia, nel momento in cui risultata positiva al virus, contrariamente al piccolo, sopravvissi a dieci giorni d’inappetenza, tra conati di vomito consequenziali anche alle terapie farmacologiche. Polsi lividi per le continue flebo, prostrazione fisica e psicologica: un vegetale, con una sensazione d’ubriacatura! La compagna di stanza e di sorte mi riferì di sentirmi di notte recitare il Padre Nostro come un mantra. Infatti, la preghiera, unica esclamazione sulle labbra: son certa che solo Dio mi ha scampata alla morte! Grazie all’intercessione di San Pio da Pietrelcina, che non mi ha mai abbandonata, neanche quando fui operata a Milano da un noto professore catanese, fervido devoto del Santo! Certamente Padre Pio ha vegliato al mio fianco nel giorni del Covid, permettendomi di continuare a vivere.

Riuscita ad alimentarmi dopo oltre dieci giorni, i familiari mi mandavano, tramite un infermiere di San Giovanni, pietanze stuzzicanti l’appetito, come pane e pomodori, superai la fase acuta. Ma fui assaltata dal panico quando mi accorsi di non poter lasciare la camera: chiusa dall’esterno, ero isolata, temendo il contagio ad altri pazienti.

Trasferita in altro Reparto dopo giorni, riacquistai l’olfatto e la voglia di vivere, accudendomi igienicamente. Pensieri, a frotte. Il timore di morire senza neanche il conforto religioso e la vicinanza dei miei cari, non mi mollava! Solo la preghiera costante a Dio mi diede forza e rassegnazione, affidandomi completamente alla volontà divina. Migliorando, fui dimessa, dopo l’esito negativo di due tamponi. Ed ora qui a casa, convalescente, senza controllo sanitario. Manca l’assistenza domiciliare! Finora sono uscita solo per una Tac, dalla quale emerso un nodulo polmonare, ancora in fase d’accertamento, se consequenziale al Covid. Al momento sto usando il Cortisone, ma non so come evolverà il quadro. Spero che i pazienti da Coronavirus possano aver certezze dalle cure, al momento ancora confuse. Pertanto è mia ferma intenzione donare il plasma, che pare al momento l’unico efficace: un atto di carità dovuto, per poter contribuire a salvare vite umane!”