La paura presente…la luce della fede!

Padre Giuliano Di Renzo

In quest’ora di paura teniamoci più che mai uniti nella preghiera intorno a San Pio da Pietrelcina, e a tutte le anime sante che il Signore ci ha dato di incontrare.  Da esse abbiamo ricevuto la luce e il sostegno necessari ad affrontare l’aspro cammino della vita, che a tratti pare senza senso.

Siamo nel periodo quaresimale, tempo di purificazione e di vigoroso ritorno al Signore.

Domenica scorsa, Prima di Quaresima, la nostra santa Madre la Chiesa ha messo davanti agli occhi della nostra anima l’immenso dramma del duello di Gesù col demonio, il vero sovrano, debellato e scaltro, di questo mondo (cfr Lc 4,1-14). Gesù è un pericoloso intruso in questo tale regno di malvagità e di morti.

Nelle tentazioni di Gesù non dobbiamo vedere un dramma simile a quelli che i grandi tragici ci fanno vivere con la suggestione della fantasia poetica. Esse sono invece la profonda realtà della storia e coinvolgono l’eterno destino di ciascuno e danno l’immenso significato dell’esistere e della creazione intera.

Col mistero dell’incarnazione il Figlio eterno di Dio si fa figlio dell’uomo con la scelta volontaria dell’estremo abbassamento per sanare la colpa della pretesa umana di rapire il cielo senza merito e con la prepotenza invece che con l’umiltà libera dell’amore. Gesù vela la sua gloria e paradossalmente in questo suo velarsi si fa a noi Parola ancor più luminosa delle sue infinite profondità divine.

L’umanità assunta che dovrebbe essere velare la sua gloria svelano a noi ancora di più e introducono nell’insondabilità della visione del volto di Dio. Dio non ci viene detto dall’eidòs della conoscenza umana, ma dalla sfolgorante e folgorante Luce purissima della divina Caritas del suo Spirito “Nella tua luce vediamo la Luce” (Sl 35,11).  E mentre ci introduce nel seno di Dio, nelle infinite profondità di Dio fa noi partecipi di se stesso, Verbo, in modo da poter anche noi dire Lui, Parola che Egli è di Dio nel seno di Dio, Parola che è silenzio di estasi in stupefatto Amore. Unendoci a sé transustanzia l’umile nostra parola umana in Parola di Dio in esultante umiltà dell’anima che ama e adora.  “Santo, Santo, Santo” (Is 6,3).

Come per sua doppia natura la luce, così l’umanità di Gesù nasconde e svela. Nasconde ai presuntuosi e rivela a chi crede e ama. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio(Mt 5,8).

Dio ha tanto amato il mondo da consegnare a uomini peccatori per noi peccatori il suo Figlio, il suo unico, il suo diletto (cfr Gv 3,16-21), conforme alle parole di Dio Padre e di Dio Spirito quando scesero su Gesù dopo il battesimo di Lui (cfr Lc 3,21-22). Il Diletto è l’unico e l’unico è tutto. Gesù che è il tutto di Dio, Dio lo consegna al patire e alla Morte persona per noi.

Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici. E voi siete miei amici” (Gv 15,13). Davanti a questo amore il nostro amore appare vano. Troppo spesso è sussurro che non regge al sussurro di vento del minimo muoversi di foglia.

Il nostro amore è vento. E’ esperienza che si ripete sempre e quel si vede nel mondo ne è la prova.

Meditiamo sulla parola consegnare. Dio abbandona dunque il Figlio nel quale ha la sua felicità in quanto Dio. E’ un poco come di un babbo e una mamma che hanno nel figlio ragione di esistere e compiutezza di essere.

Dio fa l’immane sacrificio di consegnare suo Figlio nelle mani demoniache della Morte persona al fine di strappare noi ad essa, trasformando con miracolo d’amore ciò che di noi era morte in resurrezione.

Il suo unico Figlio! Ripensiamo a quanto drammatica è la nota sovente ribattuta con la quale il biblico sacro libro della Genesi rimarca i sussulti del cuore angosciato di Abramo che tra sterpi e ciottoli ascende il monte per offrire in sacrificio a Dio suo figlio, il suo unico e solo possibile figlio (cfr Gn 22,1 ss). O alla stessa Sacra Scrittura che insiste sulla tunica di Giuseppe della quale lo spogliarono i fratelli. Tunica che il padre Giacobbe gli aveva donata con particolare amore, rappresentando essa anche il ricordo della sposa Rebecca che riviveva ai suoi occhi in quell’amato figlio (cfr Gn 37,12-28). Si sente lo strazio di un padre e del figlio innocente e per contrasto si rimane disgustati la mostruosità di quei figli nel mettere le mani assassine sul fratello mansueto e mansueto. Tanto deforme rendere l’anima il peccato, esso non è un fatto che passa ma ferita mortale che nell’anima quasi fisicamente rimane.

Siamo abituati a pensare che il Padre condanni alla morte suo Figlio Gesù con l’impassibilità di un Allah, di un Giove, del Fato o Destino che sia.

La Passione del Figlio è Passione del Padre. Così come è del Figlio è della Madre Maria, del Figlio da sulla croce vede e della Madre da sotto la croce vede il Figlio che muore. E tuttavia stanno.

Tantae molis erat christianam condere gentem”, si direbbe parafrasando Virgilio (Eneide, I,33).

Purtroppo siamo talmente immersi nella volgarità e nel presente, della fangosa carnalità e durezza materialità che rendiamo a noi precluso la percezione del Mistero di Dio, dell’altissimo Soffio dello Spirito, quasi avessimo orecchi atrofizzati ai quali rimane preclusa la stupefacente emozione di un’altissima sinfonia.

Che cosa dice tutto questo a noi, che cosa in noi suscita la considerazione del mistero dell’esistenza? Gesù risale dalle acque del Giordano quale ricoperto come da manto di putrescenti stri peccati. Quelle acque rese capaci restituire a noi col battesimo l’antica innocenza rivestiti noi ora dell’innocenza stessa di Gesù.

Ecco, l’Agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé i peccati del mondo (Gv 1,29) e per scagionare noi se ne assume davanti al Padre la responsabilità, come se Lui, il Figlio, il Diletto, fosse colpevole di crimine nefando per aver ignobilmente calpestato l’onore di Dio suo Padre.

Il patibulum della croce che Gesù porterà sul Calvario sulle sue spalle contuse e piagate sino ad essere irriconoscibile uomo dei dolori che ben conosce il patire (Is 53,4) è più che altro le nostre anime e come da erinni scateneranno da esse furiose su di Lui i flagelli dei nostri peccati. Se ne ricordassero i molti che nelle prossime ricorrenze della Settimana Santa si assieperanno su balconi e strade per assistere alle processioni della Passione di Gesù. Per i fondamentalisti cattolici nostri avi medievali quei Misteri non erano folclore e teatro ma vissuto riverente di fede che umiliano certo l’ipocrisia delle nostre manifestazioni ed era per essi compartecipazione nella fede al sacrificio di sé che Gesù offrivano per ciascuno di loro. Peccatori essi lo erano, ma riconoscevano di esserlo, mentre oggi delle trasgressioni se ne cancella il rimorso e si pretendono diritti. Nessuna età è stata tanto ipocrita in nome della non ipocrisia.

Quanta pena fanno persone che vaga nelle chiese come turisti senza che appaia in esse un qualche accenno di religiosità. Eppure la bellezza che stanno vedendo sono voce di una fede che esse più non sentono. “Hanno bocca e non parlano, / hanno occhi e non vedono,/ hanno orecchi e non sentono” (Sl 114,1-6). Che gelo provai nell’entrare nella certosa di San Martino, a Napoli. Lo stesso che provò Luigina entrando in una chiesa sconsacrata fatta a bar e albergo e da essa volle subito uscire. Da tempio di Dio, spazi salmodianti e di incensi, penitenza e preghiera ora le chiese sono museo, e forse moschee, dove si raccolgono cose che furono, vetrina della rapacità del laicistico stato ladro e di unba società a Dio ribelle e senza fede, tolta quell’arte alla fede che le ispirò, la sua bellezza alle lodi del Signore. Strumenti muti di musica che non hanno più.

Quante anime trascorsero la loro vita in quel silenzio, consacrate a Dio e alla preghiera che intercede per gli uomini sfatti dalla fatica, fatte ad essi faro di speranza sull’insensato turbinio della vita che se ne va. Nessun cuore pulsa più in esso e il gelo viene accentuato dal passo del visitatore occasionale, che non sente, non capisce ed è forse distratto.

Dio aveva un posto nel cuore dell’antica nostra gente e vegliava sulla tristezza delle nostre città dispensando segretamente nei cuori motivi di speranza.

Irrise le persone dalle illusioni del mondo e condannate a vivere nell’angoscia della vita che manca di fede si ritrovano a far i conti nel loro buio con la mancanza di speranza.

Perché come che sia l’anima cerca, ha in sé l’ansia della verità e della verità è essa stessa speranza, ago impazzito in inquieta ricerca del suo nord. Troppo gravata di cose impure per trovare e volare.

Dall’inferno dell’odierno nostro mondo laicistico Dio viene perseguitato come un intruso, interdetto alle menti e alle anime anche in questi tempi in cui si soffre e si muore.

La dea è scienza è barlume di un cieco se non prende a guida la Sapienza, diventa schiava di se stessa e si presta a pericoloso gioco di sfrenati apprendisti stregoni.

Gesù iniziò il cammino della nostra redenzione sulla via della Sapienza della sua spogliazione e insegnare agli uomini a liberarsi di sé.

Lui, il Giusto e il Santo accettando le tentazioni si afflisse per noi nel confronto diretto col suo nemico il Satana. Furono quelle tentazioni come le linee di un fronte di un condottiero per vincere deve ad una aduna spezzare.

Le tentazioni sono la Morte che si presenta col volto della vita: “Dì che queste pietre diventino in pane”. Perché di riconoscere il potere e adeguarsi ai modi e ai momenti di Dio, la vita è la libertà del farsi da te. La trasgressione come autonomia da ogni legge e come valore.

La seconda tentazione, più insidiosa, è volere mettere Dio al nostro servizio sembrando noi essere a servizio di Lui. I falsi profeti che hanno Dio a disposizione, come Aladino la sua lampada: “Gettati giù poiché manderà i suoi angeli in tuo aiuto”.

Ed ecco la falsa scienza delle pratiche esoteriche, di magie bianche e nere in cerca di poteri, imbrigliare il presente e impossessarci del futuro.

Con la più terribile e diabolica tentazione perché non più esteriore e nella carne ma nel cuore intimo entra dell’uomo, nell’io dell’orgoglio, il Satana si erge davanti a Gesù in tutta la possente sua astuzia e vigore di grande sovrano. Fa scorrere davanti a Lui tutte le magnificenze della terra e le avrebbe date a Lui se si fosse inginocchiato ad adorarlo.

Il mondo adora il demonio, adora il vitello d’oro dell’affermazione di sé e sono il denaro, il successo a tutti i costi, lo sfrenarsi dei sensi in ogni sua forma. Per uscire da tali gironi infernali Gesù non offre l’eutanasia del dolce acquietarsi nel nirvana dello spirito in un nirvana, nell’ipnosi con cui l’anima si annega nell’indistinto, nella perfetta parità che genera il nulla di tutti e di tutto, ma ci invita a volgerci col cuore alla Luce, a convertire i nostri cuori a Dio, attraverso un cammino di merito che ci fa risorgere nella distinta personale eterna identità di ciascuno in Dio che è Luce.

Cristo Gesù pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana umiliò se stesso fino alla morte. E alla morte di croce! Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è a di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,6-8; cfr Dan 7,13-14).