Alla scoperta di un mondo sconosciuto

Padre Oliviero Ferro

Accompagnato da un amico della Capitaneria di Porto di Venezia, ho ricominciato a salire sulle navi per conoscere e portare un po’ di amicizia a delle persone che non conosco, ma che sono presenti nel mio cuore, da quando ho ricevuto l’incarico di cappellano del Porto Commerciale di Marghera. Con un po’ più di inglese in dotazione, ma con tanta fantasia per rimpiazzarlo anche con i gesti, ho ricominciato a salire le scalette delle navi. Non era una cosa semplice, perché gli scalini sono piazzati in un modo diverso dal solito. Ci voleva molta pazienza e attenzione, tenendosi alle corde o alla ringhiere che portavano sempre più in alto fino alla cabina di comando. Siamo stati accolti molto semplicemente. Per fortuna chi mi accompagnava, mi ha tirato fuori dall’impaccio con il suo inglese. Io cercavo di mettere in pratica quello che stavo imparando alla scuola del mercoledì sera, ma ci vuole ancora tempo.

La maggioranza degli equipaggi sono formati da Filippini, poi Russi e Ucraini, Indiani e Olandesi e anche Italiani.. La prima nave, che si potrebbe chiamare una “porta tutto”, caricava delle strutture grandi. Sulla banchina c’era dei grandi mucchi di ferro (in pietre), a cui era stato tolto l’ossigeno, pronti per partire verso le fonderie. Quando si sale su una nave, non si sa mai dove si arriva. Nella prima, 4 rampe di scale, ci hanno portato a salutare una parte dell’equipaggio, formato da olandesi. Poi siamo riscesi e abbiamo dialogato con i filippini ed infine qualche preghiera e una benedizione per loro, per il lavoro, le famiglie e il loro cuore. L’accoglienza è stata semplice, ma io sono rimasto contento di averli conosciuti. L’altra nave invece, una portacontainers, che fa le tratte brevi. Le grandi navi scaricano al Porto i loro containers, poi le navi più piccole li trasportano (ad es.: da Venezia a Trieste e viceversa). Anche qui con i Filippini, tra cui naturalmente c’era il cuoco, a cui ho chiesto come va la cucina. Bene, naturalmente, e lo confermavano i suoi compagni. Il loro è un lavoro duro, lontano da casa ( da 7 mesi a un anno continuo).

Noi forse non ce lo immaginiamo, ma loro lavorano per noi. L’80 % delle merci arriva via nave e sono queste persone, questi sconosciuti che ci permettono di avere il materiale per lavorare. Io vorrei immaginare che un giorno, chissà quando, ci sia una cerimonia pubblica, insieme con loro, per dire grazie per quello che fanno per noi. Insomma “ci aiutano a casa nostra”. E’ un lavoro prezioso che noi non dovremmo dimenticare. Allora, quando vediamo qualche nave, chiediamoci chi sta lavorando, quali sono i loro progetti, i loro sogni e i loro problemi. E se non possiamo farlo di persona, inviamo loro un grazie che qualche gabbiano può portare loro, quando la nave lascia il porto per andare a caricare le merci che ci aiutano a vivere. Il mondo viene in casa nostra e forse non sempre ce ne accorgiamo. Un ultimo grazie, naturalmente, a tutti quelli che lavorano nel Porto: operai, forze dell’ordine, Capitaneria, Autorità varie. E’ un lavoro silenzioso, nascosto, ma che porta frutti per chi li sa vedere.