Esclusiva: Francesco Avallone “La rete segreta di Palatucci”

Si può credere di seppellire un passato di tristezze e sofferenze custodito gelosamente ma spesso torna nei miei pensieri allora senti il bisogno di farlo conoscere e di pretendere un po’ di giustizia.

Questa mia testimonianza è una storia vera vissuta da me dalla mia famiglia e da tante italiani in un contesto storico volutamente dimenticato.

Sono nato nella città di Fiume, ho vissuto in questa città fino all’immediato dopo guerra, periodo

dapprima sereno poi tragico, lo stesso periodo che ha prestato la sua opera il Giusto fra le nazioni che risponde al nome del dott. Giovanni Palatucci prima come Commissario e poi ultimo Questore di Fiume, in seguito viene arrestato dalla Gestapo ed imprigionato nel campo di sterminio di Dachao dove giovanissimo all’età di 36anni è scomparso, dopo aver subito numerose angherie. Noi lo conoscevamo bene perché mio padre prestava servizio presso la questura di Fiume ed era un suo stretto collaboratore. Mio padre usciva con il commissario Palatucci specialmente di sera per organizzare il salvataggio di molte persone,  quasi tutti ebrei. Non era impresa facile perché bisognava trovare una sistemazione provvisoria in luoghi sicuri per poi smistarli in varie città d’Italia ed all’estero dove il Palatucci aveva riferimenti sicuri e sicuri di non essere perseguitati. Il Palatucci con i suoi uomini hanno salvato molti ebrei. Fatti che spesso vengono dimenticati.

Ma ritorniamo a Maggio GIUGNO 1945. La guerra e’ finita ma non per noi. Alla caduta del regime nazista le truppe tedesche si ritirano dalle città di Fiume, Pola, Zara quindi i territori dell’Istria, Dalmazia e Friuli Venezia Giulia vengono occupate dalle truppe del maresciallo Tito, cosiddetti partigiani di Tito, i titini, un’accozzaglia di delinquenti, gente malvagia di una crudeltà

inumana.

Non sbaglio se considero questa crudeltà come quella attuale dell’Isis.

I partigiani di Tito, i titini, in poco tempo a guerra finita programmano ed attuano un piano   diabolico, il piano consiste nell’estirpazione totale dell’italianità, come si estingue l’italianità? eliminando fisicamente gli italiani, per primi i rappresentanti delle Istituzioni, secondo confiscando e sequestrando i beni degli italiani ed infine cacciandoli dalle loro case chi era riuscito a rimanere vivo.

Come al solito i primi ad essere prelevati furono i servitori dello Stato Italiano: Pubblica Sicurezza, Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito e cosi via. Imprigionati successivamente vengono prelevati a gruppi, portati sul ciglio delle foibe, legati fra loro con un fili di ferro ai polsi, il primo del gruppo e’ il più fortunato perché viene ucciso con un colpo di pistola alla nuca, morte istantanea, precipita nelle foibe e con il suo peso morto trascina gli altri nel baratro. Questa scena si ripete per giorni e giorni.

Questi Italiani hanno subito una morte atroce, chi sa dopo quanto tempo e’ arrivata la morte liberatrice. Fra questi italiani gettati nelle foibe vi era anche mio padre,aveva l’età di 45anni.

Vittime, vittime innocenti che hanno avuto la sola colpa di essere Italiani, la maggior parte ha avuta la sola colpa di essere Italiano e la colpa di aver onorato il proprio dovere.

I partigiani di Tito in poco tempo ed a guerra finita hanno fatto fuori più di 20mila italiani, gettati nelle foibe, fucilati o uccisi nei campi di concentramento Jugoslavi.

Molti tendono a minimizzare la cifra di 20mila vittime ma recentemente con mio figlio mi sono recato alla foiba di Bassovizza ed all’entrata tra i vari oggetti vi è un libro dove sono elencati più di 20mila italiani uccisi dai Titini.

Fra questi è elencato anche mio padre: Avallone Raffaele di Pasquale, prelevato dalla sua casa in Via val Scurigne, 38 Fiume il 4 maggio 1945.

Mia madre resta sola con tre bambini: mio fratello Pasquale di dieci anni, mia sorella Concetta di sette anni ed io di soli tre anni; Ma donna di un coraggio e di una forza d’animo non comune cerca di salvare il possibile, infatti presenta richiesta all’ufficio confische e sequestri del Comune di Fiume il permesso di lasciare la città con cinque casse, contenente le cose più care.

Il comando dei titini rilasciò l’autorizzazione, ma i graniciari jugoslavi (le guardie che  sorvegliavano il confine cittadino pronti a sparare su chi non si fermava all’alt) e la teppaglia titina con la stirpe bivaccavano sotto i palazzi degli italiani e con minacce li hanno cacciati dalle loro proprietà.  Le guardie rivolgendosi a mia madre dicevano: “pensi a salvare i bambini, lasci stare

tutto il resto”.

Venimmo cacciati dalle nostre case ed un borsone era tutto quello che possedevamo. Mia madre donna coraggiosa ed intelligente inserì in questo borsone alcuni documenti che provano oggi quello che sto dicendo.

Documenti che potete esaminare.

I documenti in mio possesso sono: la pagella scolastica di mio fratello che frequentava la scuola di Fiume.

La tessera di frontiera intestata a mia madre che si recava con frequenza nel quartiere croato di   Susak.

Il quartiere di Susak era ubicato al di la della fiumara, la fiumara era il confine naturale fra l’Italia e la Yugoslavia.

Mia madre spesso si recava nel quartiere di Susak, la versione ufficiale era quella di comprare prodotti agricoli provenienti dalle campagne circostanti ma in effetti lo scopo principale era quello di coordinare iniziative a favore degli ebrei.

Nel quartiere di Susak operava il rabbino Eliezer Otto Deutsch, il quale era un punto di rifermento molto importante per gli ebrei, egli aveva numerosi ed  importanti relazioni al livello internazionale specialmente nella Mitteleuropa (l’ Europa Centrale).

Il Commissario Palatucci d’accordo con il rabbino creò una rete informativa ed operativa per tanto lo stesso rabbino diventa un elemento della catena di Palatucci. L’organizzazione di Palatucci era super segreta e formata da elementi super fidati.

Questa organizzazione era ben consolidata ed aveva iniziato ad operare alla fine del 1938 inizio 1939. Nel 1939 in Germania i campi di concentramento funzionavano a pieno regime, questi campi successivamente saranno trasformati in campi di sterminio.

Molte persone quasi tutte ebree, provenienti dai paesi dell’Europa Centrale e dell’Europa  Orientale riescono a raggiungere la città di Fiume grazie alla rete di Palatucci e del rabbino Otto.

A prova di quello che dico il ministro degli interni aveva richiamato ripetutamente le autorità di  Fiume per l’ingresso di molti nella città.

Il commissario Palatucci era il responsabile dell’ufficio forestieri della città.

Mio padre collaborava alacremente con il commissario ed aveva anche rapporti con una tipografia locale che stampava passaporti falsi destinati a salvare i numerosi malcapitati, a tal proposito mi riferiva mia madre che spesso di sera mio padre rientrava con pacchi di moduli color rosso, in effetti i passaporti per gli apolidi (soggetti privi di qualsiasi cittadinanza) erano di color rosso.

Ma l’episodio che ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia e’ avvenuto nel 1943, quando il commissario Palatucci aveva predisposto che mio padre doveva accompagnare due famiglie di ebrei da Fiume a Salerno, evidentemente voleva salvare anche mio padre ma un amico e collega pregò mio padre di effettuare lui questa missione in quanto aveva la famiglia a Salerno che non

vedeva da molto tempo.

Mio padre chiese l’autorizzazione al commissario Palatucci, il quale molto restio diede il benestare, quindi il collega Renis accompagnò le due famiglie di ebrei, il che gli rese salva la vita.

Quanto detto venne ma me accertato in modo del tutto fortuito quando ho conosciuto i figli del Renis che mi hanno confermato il tutto.

Ho cercato di rintracciare le due famiglie di ebrei ma non ci sono riuscito.

Le autorità di Fiume su suggerimento di Palatucci e dei suoi uomini avevano chiesto ripetutamente in che modo andassero applicate le leggi razziali, come ben sapete dette leggi sono entrate in vigore nell’Autunno del 1938 e stabilivano che gli ebrei residenti in Italia prima del 1° Gennaio 1919 erano da considerare italiani a tutti gli effetti, mentre gli ebrei residenti in Italia dal giorno successivo al 1° Gennaio 1919 erano da considerare apolidi, e gli stessi avevano 6 mesi di tempo per lasciare il paese altrimenti sarebbero stati internati nei campi di internamento.

La domanda posta al Ministro degli Interni era molto semplice, la città di Fiume era stata annessa al regno d’Italia nel 1924 mentre la legge stabiliva 1919.

Il  ministro degli interni, dopo molto tempo rispose di agire con discrezione e buon senso, quindi Palatucci e i suoi uomini ebbero un altro punto a favore per poter salvare altri ebrei.

Il commissario Palatucci era nativo di Montella (prov. Avellino) quindi tutti i suoi congiunti vivevano in Campania fra questi vi era lo zio Monsignore, vescovo di Campagna cittadina in provincia di Salerno.

Nei territori della  diocesi di Campagna vi era un campo di internamento per gli ebrei, quindi il vescovo Palatucci diventa l’anello finale della catena creata da Palatucci e dei suoi uomini a Fiume.

Il campo di internamento di Campagna era sotto la giurisdizione della questura di Salerno ma in effetti chi si interessava dell’andamento di questo campo era il vescovo Palatucci.

Monsignor Palatucci aveva buoni rapporti con la segreteria di stato Vaticano, all’epoca indetta segreteria operava il Monsignor Montini futuro Papa Paolo VI nonché proclamato Santo da poco tempo.

Monsignor Palatucci riesce ad ottenere diversi fondi dalla segreteria, somme che vengono spese per alleviare la vita degli ebrei.

Fra gli ebrei internati vi erano diversi professionisti, Monsignor Palatucci fa si che la professionalità di questi ebrei venga messa a disposizione della popolazione locale.

Quindi gli ebrei di questo campo avevano la più ampia libertà e potevano uscire la mattina e rientrare la sera.

Possiamo ben dire che il campo di internamento di campagna non era un lager ma un vero e proprio rifugio.

A prova di quello che dico il presidente della Repubblica ha insignito di una medaglia d’oro al valore civile la città di Campagna e il vescovo Palatucci.

Durante il regime fascista vi era una censura totale quindi per comunicare fra nipote e zio non potevano usare canali ufficiali, in modo fortunato trovarono il sistema.

Il responsabile della sartoria della questura di fiume, il signor Remoli era nativo di Campagna ed in quel periodo era fidanzato con una ragazza di campagna quindi con frequenza faceva la spola fra Fiume  Campagna e ritorno, diventando un vero e proprio corriere di lettere e documenti.

Nel dopoguerra in alcune cittadine dell’Ungheria furono trovate delle carte di identità valide in bianco.

Le autorità tedesche avevano richiesto ripetutamente al vescovo Palatucci l’elenco completo con documenti di tutti gli ebrei internati in questo campo.

Il vescovo Palatucci fece distruggere tutti i documenti con passaporti perché gran parte di questi ebrei avevano passaporti falsi, mi riferisco a mio padre che faceva stampare questi passaporti ad una tipografia di Fiume.

Su tale argomento diversi giornalisti di Israele hanno scritto diversi articoli in particolare un noto giornalista sul Gerusalem post nel maggio 2005 scriveva: grazie al commissario Palatucci e ai suoi uomini hanno salvato la vita a molti ebrei.

Senz’altro vi capiterà di passare per piazza del Pantheon a Roma a pochi passi vi è la piazzetta di sant’Ignazio dove vi è la chiesa dedicata a Sant’Ignazio di Loyola entrando sulla destra sulla seconda cappella vi è una foto gigante del commissario Palatucci, perché i gesuiti della chiesa di Sant’Ignazio stanno portando avanti la causa di beatificazione del commissario Palatucci, inoltre sempre a Roma nel quartiere Flaminio presso la scuola superiore di polizia vi è il sacrario di tutti gli uomini della PS che hanno dato la vita per la Patria oltre al commissario Palatucci vi è anche quella di mio padre Avallone Raffaele.

Recentemente dal circolo Primo levi di New York è stata lanciata una campagna denigratoria contro Palatucci.

Moltissimi si sono ribellati a queste notizie.

Anche io ho scritto al rappresentante del circolo Primo Levi, la sig.a Natalina Indrini dicendo vi invio la mia testimonianza con vari documenti nella speranza che venga messa nella giusta luce la figura di Plalatucci, devo dare atto che la signora Indrini mi ha ringraziato per i documenti ricevuti.

Altro documento in mio possesso è il nulla osta che ci autorizzava a lasciare la città di Fiume con  5  casse ma come dicevo in precedenza siamo stati cacciati dalla nostra casa con un borsone con questo borsone dopo varie vicissitudini siamo riusciti a raggiungere la città di Trieste.

Siamo in Italia, dai governanti Italiani aspettavamo un accoglienza normale, l’accoglienza fu pessima.

Da quel momento italiani che hanno dato tutto all’Italia, la morte dei nostri cari, tutti i beni che possedevamo, fummo etichettati come profughi Istriani Giuliani Dalmati.

L’Esodo di 350mila italiani fù oscurato.

L’Italia ci aveva accolti, ci stava accogliendo, e ci accoglierà in seguito come relitti scomodi anziché come italiani degni che hanno dato tutto alla patria.

Da quel momento diventiamo italiani dimenticati anzi cancellati.

Restammo diversi giorni accampati nella stazione ferroviaria di Trieste, grazie alla CRI

Internazionale e alla pontificia opera di assistenza organizzarono dei convogli ferroviari, in effetti erano dei carri bestiame, erano vagoni con un pò di paglia che serviva come giaciglio, erano gli stessi carri bestiame che avevano trasportato gli ebrei alla risiera di San Saba.

Questi carri scendevano lungo la penisola, chi aveva un punto di riferimento veniva scaricato nella stazione più vicina.

Noi per giungere a Salerno impiegammo 10 giorni.

La maggior parte degli occupanti dei carri bestiame fu ammassata nei campi profughi.

Sempre grazie alla CRI e alla pontificia opera di assistenza organizzarono dei punti di ristoro nelle stazioni ferroviarie, dove veniva distribuito vivande per gli adulti e latte caldo per noi bambini molte volte i carri bestiame giungevano con notevole ritardo ai punti di ristoro, noi bambini davamo segni di impazienza, nervosismo, pianti, pianti per la fame quella vera quella che attanaglia lo stomaco, chi non l’ha sofferta non può capire.

Con impazienza attendevamo l’arrivo dei carri bestiami nella stazione di Bologna ma un’amara realtà ci attendeva.

Il comitato politico centrale e i più alti gerarchi del partito comunista italiano di via delle botteghe oscure di Roma diedero l’ordine ai sindacalisti e ferrovieri di Bologna che gli occupanti dei carri bestiami non dovevano essere rifocillati.

Sindacalisti e ferrovieri supinamente in totale spregio con la stessa crudeltà dei titini gettarono le vivande e il latte, il latte caldo destinato a noi bambini sulle rotaie e con sputi ed al grido di fascisti, fascisti, fascisti chiusero i portelloni e ci dirottarono verso Rimini.

Fascisti fascisti a questo punto è mio obbligo e dovere di far conoscere che il commissario Palatucci e mio padre furono trasferiti alla questura di Fiume perché non erano perfettamente allineati con il regime fascista.

Il commissario Palatucci e i suoi uomini dal 1938 al 1944 hanno salvato moltissimi ebrei da morte sicura perché destinati nei campi di sterminio nazisti, mentre gran parte dei nostri eroi gran parte dei nostri liberatori della patria dal 1938 al 1942 o erano in sonno o perfetti fascisti quindi chiusero i

portelloni e ci dirottarono verso Rimini.

Il pianto di noi bambini era straziante le nostre madri disperate non sapevano ne potevano fare altro.

Ma a distanza di oltre 70’anni mi chiedo come è stato possibile dare un ordine del genere e come è stato possibile che i sindacalisti e i ferrovieri abbiano potuto obbedire a questo ordine?

L’unica spiegazione erano o sono uomini senza coscienza, i sindacalisti e i ferrovieri poveri fantocci nelle mani di uomini senza coscienza.

Campi profughi erano 114 dislocati in tutta la penisola, io e la mia famiglia non siamo andati a finire nei campi profughi perché i miei genitori erano proprietari di diversi immobili sulla costa amalfitana che abbiamo tutti venduti per sopravvivere.

Arrivata alla maggiore età ognuno ha preso la sua strada, io mi sono impiegato presso un grosso istituto bancario dove ho svolto le mie mansioni con impegno e con successo per 40’anni.

Fra i campi profughi ve n’era uno ubicato all’estrema periferia di Salerno, in questo campo vivevano degli amici, in particolare due famiglie che abitavamo accanto a noi, e precisamente  in via Val Scurigne a Fiume.

Spesso cercavamo di raggiungere queste famiglie per portare dei beni ma era molto difficile raggiungere questo campo.

Per rendere l’idea di come si viveva in questo sito erano ammassati rom, zingari, italiani di Fiume, Zara e Pola la popolazione locale povera ed ignorante discriminava gli abitanti di questo campo e   questo luogo veniva indicato da tutti e a tutti come il campo degli zingari.

Dopo molti anni noi esuli, con una risoluzione dell’Onu riuscimmo ad avere la possibilità di espatriare.

Io e la mia famiglia non abbiamo seguito 80mila italiani, più di 80mila italiani fuggirono nell’USA, nel Canada, nell’ America Latina ed in Australia dove furono accolti con rispetto.

Rispetto che l’Italia non ha mai avuto nei nostri confronti né rispetto morale né materiale.

Rispetto morale perché avevamo abbandonato il paradiso di Tito.

Siamo stati l’unica comunità ad essere schedata.

Rispetto materiale, ancora oggi vengono nominate commissioni per studiare la possibilità di un indennizzo ai beni rubati agli italiani.

Nei vari trattati firmati dal regime di Tito dagli italiani e dalle potenze mondiali veniva stabilito che noi eravamo esuli ma restavamo proprietari di tutti beni confiscati dai partigiani di Tito.

L’Italia non ha mai fatto rispettare questi trattati anzi è stata una delle prime nazioni a riconoscere le varie nazioni che si sono formate dopo il crollo titino è stata una delle prime nazioni ad appoggiare l’entrata nella comunità europea di questi stati senza chiedere il rispetto o la revisione di questi trattati.