Ripristiniamo il Latino nella Scuola Media!

Aurelio Di Matteo

Leggo numerosi post di amici che per il Natale invitano a “regalare un congiuntivo”. Certo, una bellissima ed utile iniziativa. Anche perché il congiuntivo è, del verbo, il modo più sofisticato semanticamente, esprimendo esso, il desiderio e il timore, la possibilità e il dubbio, il verosimile e l’irreale, insomma l’universo personale della partecipazione affettiva. E però i destinatari dell’invito non siamo solo “noi”, che spesso il congiuntivo lo abbiamo dimenticato o non acquisito. Il vero destinatario, tra l’altro istituzionalmente a ciò delegato, dovrebbe essere il processo formativo della Scuola, a cominciare da quello iniziale. Un processo che non si può limitare solo alla presenza del congiuntivo nella “comunicazione” che in essa avviene nei vari settori, particolarmente nell’insegnamento dell’Italiano, il quale sporadicamente si attiva come “insegnamento della lingua italiana”. È l’intero processo strutturale del comunicare e dello scrivere, che attiene alla struttura della nostra lingua nel suo cammino storico, quello da ripristinare, se l’invito di questi post vuole trovare concretezza nella formazione delle nuove generazioni. In che modo?

Fra qualche mese uscirà nelle sale cinematografiche il film sul mito di Romolo e Remo. Certo non sarebbe una novità, poiché sulle origini di Roma e sulla sua millenaria storia lunghissimo è l’elenco dei film realizzati. La piacevole sorprendente novità è che i colloqui saranno in latino antico e sottotitolati in italiano. A questa notizia mi sono ricordato di una recente pubblicazione del 2016 di un docente dell’Università di Oxsford dal significativo titolo Viva il Latino. Che sta avvenendo? Forse si comincia a riconsiderare il grave danno formativo determinato – legge 31 dicembre 1962 – dall’abolizione del suo insegnamento dalla Scuola media. Un danno – lo ricordo bene – già segnalato in seno al C.C. del PCI dal grande latinista Concetto Marchesi, il quale, memore forse anche di Gramsci, riteneva necessario che “anche i figli dei lavoratori potessero usufruire di un insegnamento che desse loro le capacità critiche per assolvere alla funzione di governo della società”. Diversamente gli uomini di scienza (Lucio Lombardo Radice) e i dirigenti (Natta) del PCI consideravano il latino, ritenuto ideologicamente un insegnamento elitario, non appropriato ad una scuola di massa e popolare. La sinistra si ritrovò in tal modo unita nel fare propria una distorta e falsa idea di attualità e di scuola di massa e procedette a deprivare il nostro sistema scolastico e la formazione dei giovani di uno dei cardini didattici e pedagogici.

Oltre alla fuorviante motivazione di essere un insegnamento elitario, si è sempre sostenuto che, essendo una lingua “morta” e appartenente ad un passato molto antico, il suo apprendimento diventava inutile. Se fosse vero ciò, non si capirebbero nemmeno lo studio e l’attività di archeologo. Ogni studio è sempre rivolto all’attualità, in una relazione strutturale trasmessa dalla e nella storia. Figuriamoci il latino, che rappresenta il caposaldo della struttura linguistica delle lingue romanze. Non solo, ma anche delle altre che di essa portano segni inconfondibili e strutturali, non ultima l’invasiva lingua inglese.

Perché allora ripristinare e studiare il latino fin dalla scuola media?

Una domanda che si è sempre posta e alla quale si dava e si dà la risposta secondo la quale il latino servirebbe come esercizio logico, come strumento per dare forma mentis.  E si aggiunge – cosa attribuita anche al greco – che consentirebbe di andare alla conoscenza lessicale attraverso l’acquisizione dell’etimo. Di queste risposte non ero convinto da studente liceale, che al minimo sbuffavo all’arrivo dell’ora di latino e ancor più nel giorno dedicato alla versione. Ancor più non sono convinto ora, che amo piacevolmente il ritorno alla lettura del mondo classico.

Questi obiettivi si potrebbero raggiungere tranquillamente con qualsiasi insegnamento e attività disciplinare, essendo tra gli obiettivi propri e fondamentali della formazione scolastica.

La vera risposta è forse nell’osservare la “povertà” linguistica della comunicazione dei social, nella sua erroneità non grammaticale o sintattica, ma di significazione. La povertà di significazione è l’esantema di una interiore deprivazione di valori, di sensazioni, di affettività, di conoscenze, di contenuti, di adeguate articolazioni logiche, di approcci alla realtà e ai problemi criticamente sostenibili e adeguati.

Lo stesso panorama dell’attuale comunicazione politica, che ai social, facebook, instagram, twitter che sia, dà e deve molto, non è diverso da quello che usa la maggioranza degli “amici” della quotidianità comunicativa sui social, sia nella struttura sia nei contenuti.

La necessità di reintrodurre l’insegnamento del latino nella scuola media, facendolo continuare non solo nel Liceo classico, ma anche negli altri che oggi ne sono privi (Scientifico di scienze applicate, Coreutico e musicale, Artistico, Scienze umane) è da ricercare innanzitutto nella continuità storica della significazione strutturale della comunicazione, che costituisce ed esprime l’analisi critica del mondo moderno attraverso la stessa capacità che il giovane ha sviluppato acquisendo e leggendo in latino il mondo antico. Quale “maturità” artistica, coreutica, di scienze umane o epistemologica potrà mai essere conseguita senza l’immersione nella cultura che tutto ciò ha generato?

Non si tratta di riappropriarsi di una struttura morfo-sintattica, che ha generato la nostra lingua dandole ricchezza di significazione, ma di acquisire la complessità e multiformità culturale che costituisce il presupposto del rigore concettuale con il quale si può analizzare il mondo attuale, facendo uso dei nuovi strumenti che la scienza e la tecnologia hanno offerto alle capacità dell’uomo.

Non è casuale che il Congresso degli USA, meritevolmente e consapevolmente, quando varò nel lontano 1994 l’Educate American Act, fissando gli Standards for Classical Language Learning, non abbia inserito tra gli obiettivi quelli astrattamente linguistici. I motivi per ripristinare l’insegnamento del latino nella scuola media e in tutti gli indirizzi liceali, sono altri e più vasti e profondi, tutti espressi nell’Atto votato dal Congresso americano, di uno Stato di lingua inglese che ha fatto della tecnologia informatica la sua ragione di vita e dei social il suo ambiente comunicativo. Gli obiettivi li sintetizzo così: Parlare, ascoltare, scrivere latino come parte del processo di acquisizione linguistica; Comprendere le prospettive della cultura greco-romana, come rivelata nei suoi prodotti; Usare elementi della lingua latina per aumentare la conoscenza della propria lingua; Rinforzare la conoscenza di altre discipline attraverso lo studio delle lingue classiche; Confrontare criticamente la propria cultura con quella antica.

I sostenitori dell’inutilità del latino, in quanto lingua morta, hanno sempre agitato e innalzato gli stendardi dell’inglese e dell’informatica. Dimenticano, o ignorano, che l’”attualità pratica” di questi due importanti strumenti comunicativi e pratici, sarebbe povero di percorsi finalizzati e di utilizzo adeguato senza l’apporto interdisciplinare della ricca complessità della lingua e della cultura antica alla quale sia l’inglese sia l’informatica debbono molto. E non solo come lingua e come lessico strumentale.

Un recente studio della prof.ssa Maria Grazia Iodice, ordinaria di didattica del Latino nell’Università “La Sapienza” di Roma, ha evidenziato che nella lingua inglese la presenza di vocaboli riconducibili etimologicamente all’origine latina è calcolabile intorno al 60%. La progressiva diversificazione è data solo dalla pronuncia. Non solo. Lo studio, esteso all’attualissimo linguaggio tecnologico informatico anglo-americano, ha evidenziato anche qui una massiccia presenza sia di parole a radice latina (1220) sia di locuzioni latineggianti – fusione o accostamento di due vocaboli di cui entrambi o uno solo di origine latina – (1826). Purtroppo una malintesa e vuota attualizzazione della scuola, cominciata negli anni 1960/’70 e continuata progressivamente fino alla cosiddetta “buona scuola”, ha prodotto danni nella complessiva formazione culturale dei giovani, deprivandoli delle capacità di analisi critica e dei contenuti strutturali dell’acquisizione culturale. Sarebbe ora di un’inversione di tendenza, come sembra che si stia facendo con le modifiche dell’esame finale. Un’inversione nel ripristinare una scuola fatta di contenuti strutturali e di analisi critiche e, contestualmente, di razionalizzazione dei tempi di apprendimenti formali e di apprendimenti “convegnistici” e di “madonne pellegrine”, tra tempo di apprendimento scolastico e tempo di apprendimento libero-integrativo. Il coraggio di farlo potrebbe cominciare proprio da un dirompente ripristino del Latino, come il rinnovamento per il futuro non può non fondarsi su una valida e adeguata formazione.