Io leggo… “L’ultimo Selfie di un gatto tra le antiche mura di Vicenza”

Padre Oliviero Ferro

Correva a quattro zampe, più forte che poteva. Qualcuno lo stava inseguendo, rabbioso, latrando, lanciando insulti contro tutti i gatti dell’universo. Lui un bel gattone rossiccio con qualche spruzzatina di altri colori sul muso e sulla coda, se ne stava tranquillamente passeggiando tra le antiche mura di Vicenza. Non si aspettava tutta questa violenza. Quando passeggiava per le calli di Venezia, lo avevano consigliato di non andare in questa città. Avrebbe trovato dei nemici e anche dei magnagatti. Ma lui non ci aveva creduto. E in quel pomeriggio di marzo era stato obbligato a cambiare idea. Cominciò ad invocare i suoi protettori, i suoi genitori. Ma il pericolo si avvicinava. Sentiva il loro fiato dietro le sue spalle. Allora si disse che se doveva morire, almeno qualcuno poteva ricordarsi di lui. Prese dalla sua borsetta, fissata alle sue spalle, il suo cellu.gatto. Lo aperse. Lo mise in posizione. “Questo” si disse “è il mio ultimo selfie. Così, chi lo guarderà, si ricorderà di me”. Clikkò sul pulsante e la foto si materializzò con dietro due cagnacci ed altre persone. Poi…Facciamo un passo indietro di qualche anno.

Era nato nel sestiere di Castello, a Venezia. Fin da piccolo, seguiva sua madre a passeggiare nel campo davanti all’antica cattedrale. Insieme a lui, ce ne erano altri, che correvano felici, facevano le capriole, si strofinavano il naso con gusto. E sempre in cerca di qualcosa di buono, si davano da fare per scoprire qualche vecchietta sola che non avrebbe negato loro un po’ di cibo. Poi avrebbero fatto le fusa per farla felice. E i giorni scorrevano sereni tra giochi, dormite e qualche serenata alla luna che sorgeva silenziosa dietro l’isola di Sant’Elena. Oramai era tempo di lasciare il grande prato, dove passavano tante persone che là si divertivano il giorno della Sagra di san Pietro.

Era il momento di attraversa il grande ponte di legno che scavalcava il canale e di andare a curiosare in quel grande edificio, chiamato Arsenale, da dove uscivano tante navi. Chiesero consiglio ai più anziani, su quale fosse il giorno migliore per cominciare la grande esplorazione. Uno di loro, bianco e nero, una domenica mattina si offerse di fare loro da guida. Non dissero niente a papà e mamma. Loro pensavano che andassero, come al solito, a fare i loro giochi. Si erano dati un segnale di riconoscimento, quando sarebbero arrivati al grande prato: coda ritta e muso verso sinistra. Il primo che sarebbe arrivato, si sarebbe diretto al ponte di legno e tutti gli altri, con la loro guida, li avrebbero seguiti in fila indiana, in silenzio. Nessuno doveva sospettare di niente. E così, gattonando gattonando, arrivarono alle porte dell’Arsenale. Videro i due leoni. Un po’ di paura. Ma qualcuno, per fortuna, aveva lasciato un piccolo pertugio e così l’avventura ebbe inizio. Andando in lungo e in largo, i loro occhi scoprivano un mondo meraviglioso. Tanta acqua, i resti di qualche nave che era rimasta lì in attesa del futuro…e poi tante altre cose.

E la guida spiegava che, tanti anni fa, era pieno di operai, gli Arsenalotti, che costruivano in poco tempo delle splendide navi. Qualcuno chiese come facesse a sapere tutte queste cose. E lui, stirandosi i baffi, ricordò che sulle navi venivano imbarcati anche i gatti, perché i topi non erano i benvenuti (rosicchiatori di qualsiasi cosa, cibo compreso). Ormai era ora di ritornare a casa, altrimenti i loro parenti avrebbero cominciato a preoccuparsi. Si diedero una consegna ”Attraversiamo il ponte, ognuno per proprio conto e poi corriamo nel prato e ci mettiamo a giocare. Se qualcuno ci chiederà qualcosa, diremo che siamo andati a conoscere un vecchio pescatore che ci ha spiegato come si costruiscono le barche da pesca”. E così fecero. Anzi i genitori furono contenti, perché li avevano visti felici.

Le avventure continuavano. Piano piano cominciarono ad andare sempre più lontano, fino ad arrivare nella Piazzetta e così scoprirono la Basilica e i gatti nobili, con gioielli sulle zampe. Li guardavano con occhio nobile, anzi mettevano la zampa sul naso e si dicevano l’un l’altro che quelli puzzavano di pesce. Insomma di una categoria inferiore, loro, invece, i nobili, avevano qualcuno che ogni giorno li pettinava, li profumava, avevano un cuscino dorato dove riposare e mangiavano bene. Erano ben pasciuti, ma tristi. I nostri gatti di Castello si dissero che non avrebbero cambiato la loro vita con quella di questi nobili gatti. Loro erano felici con poco e soprattutto conoscevano un sacco di cose, erano liberi, mentre gli altri conoscevano solo i pettegolezzi che ascoltavano facendo il Listòn, la passeggiata, davanti a san Marco. Voltarono le loro code e sgattaiolarono via, miagolando allegramente, Ma, arrivato a casa, il nostro amico che chiameremo Rossino, ebbe una brutta sorpresa. Papà lo prese da parte e gli disse che non potevano più restare a Castello. Le vecchiette che davano loro da mangiare, erano andate tutte in una casa di riposo, la Ca’ di Dio. E quindi bisognava traslocare in Terraferma e poi andare dai parenti a Vicenza. Là sarebbero stati accolti e avrebbero mangiato a sufficienza.

E così un brutto mattino s’imbarcarono con altri amici su un barcone, Poi arrivati a Mestre, saltarono su un carro. Sentivano odore di topi e li cacciarono via. Il padrone, riconoscente, diede loro da mangiare. E così arrivarono a Vicenza. Furono ben accolti dai parenti. Insomma la famiglia si allargava. Nuovi amici, nuovi giochi, nove scoperte…Gli dissero di fare attenzione. C’era sempre qualcuno che non amava i gatti. Ma Rossino pensava positivo, fino a quel giorno in cui due cagnacci e altri umani lo inseguirono. Volevano farlo fuori. Dopo aversi fatto il selfie, si disse che tutto era finito. Ma…qualcuno, all’improvviso, sbucò da dietro le mura, lo prese in braccio. E i suoi nemici rimasero a bocca asciutta. Così Rossino visse ancora per tanto tempo e mi raccontò…la storia dell’ULTIMO SELFIE.