Cava de’ Tirreni: romanzo d’esordio di Pino Foscari “L’Americana”

Anna Maria Noia

“L’Americana”, edizioni Marlin – 193 pagine, al costo di 13 euro – è il recentissimo libro (un romanzo) del professor Giuseppe Foscari. Un ricco curriculum in qualità, tra molte altre cose, di docente nella disciplina di Storia Moderna presso il campus di Fisciano. Foscari, un figlio (Marco) con esperienze di attore e cantante, vive a Cava De’ Tirreni – “alle porte della Costa d’Amalfi”, tiene a dire. Ha già pubblicato numerosi saggi storici – particolarmente sul Risorgimento italiano e/o sull’800 in generale – e questo è il suo esordio letterario come romanziere. Collabora da tempo con numerosi quotidiani e/o portali web (on line). La narrazione in questo volume – piana e scorrevole, freschissima e godibile – sancisce un’opera prima con vari e vivaci spunti. L’autore mostra padronanza di sé e competenza nel delineare questo affresco familiare gustoso e che induce alla riflessione. È la storia di una “grande” famiglia del Sud, dell’area mediterranea – soprattutto come esistono nel Napoletano – abbarbicata alle antiche e, sembra, ormai vetuste tradizioni “patriarcali” ancora esistenti alla fine degli anni ’60. Un periodo di tre anni, sotto la lente del sapiente scrittore, che vede (dal ’65 al ’68) avvicendarsi le giovani generazioni. Ragazzi (e soprattutto ragazze) di paese, di borgata. Che prendono (prenderanno) “finalmente” consapevolezza delle novità, del vento (e tempo) di cambiamento e delle loro giuste rivendicazioni e “ribellioni” (rivoluzioni) solo allorquando nel paesello (nella cittadina descritta da Foscari, tracciata in maniera squisita e acquerellata) giunge una particolare e decisa donna italo-americana. Spregiudicata, dal piglio moderno e dai modi spicci – ma di cuore (lo si capirà poi, grazie ad alcuni brani del romanzo). Con figlie altrettanto emancipate e “dissolute” – secondo le pettegole e le perpetue di questo piccolo luogo. In atto dunque una ventata di novità, proprio “il nuovo che avanza”; a coinvolgere in primis le donne – quelle “vere”: donne determinate, dapprima “solo” figlie, madri e mogli, soggette all’autorità dei mariti e dei “maschi” di famiglia. Maneschi e apodittici, cui obbedire senza fiatare. Poi, con l’arrivo di lei – della “Americana” (Maria) – tutto cambia, il tappo di quiete e torpore del paesino salta e le ragazze saranno le prime protagoniste del cambiamento. Vivendo le piccole rivoluzioni del loro stato, magari soltanto indossando una “semplice” minigonna (abbigliamento in precedenza considerato tabù, veicolo di peccato e lussuria). Un omaggio alla donna, sembrerebbe questo testo. Nel quale Giuseppe Foscari – con molta ironia – pare prendere le difese dello “stare al passo coi tempi” di giovani e sognatrici generazioni ribelli – tra le pacate e acute riflessioni di un uomo (pur all’antica) di ampie e contemporanee vedute e i vicini di casa o i compaesani. Che mal tollerano ciò che non è suffragato dalle ancestrali regole “di sempre”, “di prima”. E giù tutto uno stuolo di personaggi demodé, come il parroco don Gabriele (assieme alla badante), preoccupati solo di arginare i dilaganti tempi attuali. Con un linguaggio accattivante, ironico e nostalgico al contempo il docente pone l’incipit del testo con la decisione di questo uomo di ampie vedute (Francesco) di sposare la sorella della defunta moglie. Una “straniera”, in quanto proveniente (dopo sposata, pur essendo di origini meridionali) dalla lontana e peccaminosa, proibita/proibitiva America. Una donna che creerà scompiglio e subbuglio nel paese dove poi potrà (finalmente) sposare il “suo” Francesco. Avversato, soprattutto – ma solo all’inizio – dalle sei figlie. Non dal figlio (partigiano) Pietro. Che mostra una modernità sostanziale, non meramente formale. All’insegna dei diritti e delle giuste rivendicazioni. Come l’amico maestro Bartolo, con cui il Nostro (Francesco – alias Ciccì) condivide pensieri e azioni. Lo stesso Bartolo, dal canto suo, ammette – in vecchiaia – la sua vigliaccheria mostrata verso il tanto odiato (sullo sfondo) Fascismo. Non mancano, infatti, nel romanzo adeguati riferimenti al Ventennio; alla guerra; alle vicissitudini dei superstiti bellici. Con una vena di malinconia e anche rabbia verso il totalitarismo appunto fascista (ma non solo…). Si intrecciano riferimenti personali e “Grande Storia”, tra il serio (la riflessione) e il faceto. Ammiccando (l’occhio di Foscari è sempre sornione e acuto). Un racconto a tratti graffiante, dissacrante e sempre dettagliato. Con un velo sui tempi di allora, in un arabesco familiare divertente e inusitato. Lo stile è piacevole e accattivante; la prosa scorrevole come il flusso narrativo. Un inno alla modernità, nella metafora dell’America – che ancora oggi (sebbene di meno) è pronta a dettare mode e stili di vita – appunto “all’Americana”. Il quadretto poi si amplia, si allarga verso il futuro – mai però senza i necessari legami col passato, insegna Foscari. Il rapporto è difatti tra l’oggi e il domani, continuamente in bilico e in comunicazione –in una sorta di osmosi, meglio: di simbiosi. In mezzo, tanta bella e varia etnografia o antropologia; le tradizioni: uno spaccato culturale del Sud ancora oggi pregnante e vivido nella memoria collettiva – a partire dai più anziani e “ligi” allo status quo. Nella storia di guerra e di rapporti familiari (il nucleo di origine come radice di tutto quanto verrà dopo, in eterno e nei secoli dei secoli). Tutto condito, come detto, da molto humour. Tra scene, episodi, vicende particolari e sarcastici. Nel vissuto sociale individuale e collettivo. Parrebbe con un… “intento di denuncia” in merito alla società patriarcale di un tempo, in cui l’ordine sociale viene scompaginato dalla libera e matura Maria – con i suoi sanguigni e cordiali sentimenti. Tutto ciò che lei e la figlia Susy combinano è frizzante, è innovativo, è libertà, è contraddizione – in un borgo atavico e sessista, provinciale, statico e ottuso. Ma i valori antichi non sono messi assolutamente in discussione dall’autore, anzi vengono valorizzati nell’agire di questa “Americana”, della “straniera”. Ma non devono “marcire” e scadere nell’abitudine. Questo il senso e il significato del romanzo d’esordio di Giuseppe “Pino” Foscari – per la prima volta a “scavare” nella storia piuttosto che indagarla “freddamente” secondo le regole storiografiche. Con l’America metafora del cambiamento, a dettar legge verso i costumi più provocatori e anticonformisti; verso l’emancipazione. Pienamente riuscito, quindi – a parer nostro – questo romanzo peculiare e anticonformista come il proprio ideatore. Una vera e propria transizione da una generazione all’altra, con la positività che Pino Foscari attribuisce alle novità e al cambiamento. A partire dalle mentalità, a volte grette e ottuse. Per finire avverso i comportamenti individuali e sociali. Il volume è stato e/o sarà presentato in questi ultimi mesi dell’anno a Cava e in altre location e/o “congreghe letterarie”. Merita certamente accoglienza e tanta fortuna, proiettata nell’orizzonte delle attese. Un plauso.