Atrani: Corte dei Conti, condannati in Appello ex amministratori a risarcire Comune per 75.000€

Sentenza n. 161/2019 Corte dei Conti  terza sezione giurisdizionale centrale d’appello condanna i signori DE SANTIS Pasquale (ex Responsabile Area Tecnica), CARRANO Nicola (ex Sindaco di Atrani), PROTO Emiddio (ex vicesindaco del Comune di Atrani, attualmente appartenente al gruppo di minoranza Atrani Unita) al pagamento, in favore del Comune di Atrani (SA), della somma di euro 25.000 ciascuno, oltre interesse di legge e spese di giustizia.

Punti salienti della sentenza:

Nel novembre 2011 i consiglieri appartenenti al gruppo consiliare di minoranza (Atrani Futura) del Comune di Atrani inoltravano alla Corte dei conti e ad altra A.G. un articolato esposto nel quale segnalavano una serie di irregolarità afferenti alla gestione del patrimonio comunale.

Gli accertamenti delegati al Nucleo di Polizia Economica Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno confermava il contenuto dell’esposto ed era quantificato il danno sofferto dal Comune di Atrani di euro 396.390,18 per effetto di una gestione del patrimonio comunale caratterizzata da incuria, negligenza, omissioni.

Nel quantificare l’addebito (25.000 euro a carico di ciascun convenuto ritenuto responsabile), il primo giudice faceva riferimento alla valutazione equitativa del danno, di cui all’art. 1226 c.c.

La Procura generale ha chiesto che l’appello venga dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato, con condanna degli appellanti:

  • Il P.G. contesta poi le conclusioni della “consulenza” commissionata dal Comune di Atrani al Sunia, “in considerazione del fatto che non si comprende su quali basi tale organismo privato possa aver svolto le proprie valutazioni – financo estese alla situazione reddituale dei  beneficiari degli alloggi – se lo stesso Comune era risultato privo dei necessari elementi al riguardo”. Non è accettabile, perché priva di alcun rilievo giuridico, la tesi della non necessità di compiere (da parte del Comune) periodici accertamenti patrimoniali sugli occupanti degli alloggi, essendo la situazione economica di ciascuna famiglia conosciuta in paese.
  • è stata riscontrata l’assenza o comunque il difetto di completezza di validi ed efficaci contratti di locazione, di controlli, di verifiche, di  formali provvedimenti di assegnazione, etc. nonché della pertinente documentazione.
  • il contenuto della segnalazione dei consiglieri di minoranza, ha disvelato una gestione del patrimonio immobiliare comunale improntata a superficialità, lacune documentali, confusione, assenza di atti formali di assegnazione, assenza di controlli a monte e nel corso del rapporto locativo, mancato adeguamento dei canoni. Una situazione che nel complesso può definirsi di mala gestio.
  • il primo Giudice ha respinto la tesi che non vi fosse bisogno di accertamenti patrimoniali documentali attesa la “conoscenza” diretta degli inquilini,
  • Deve poi respingersi l’argomento, un po’ stucchevole e comunque giuridicamente inconsistente, che tali accertamenti (doverosi a norma di legge) avrebbero “ulteriormente mortificato chi è già stato tanto provato dalla vita”.
  • la difesa degli appellanti sembra poggiare, nel proprio motivo di appello relativo al merito della questione, a valutazioni disancorate dalla realtà fattuale e amministrativa, nonché a suggestioni metagiuridiche.
  • gli attuali appellanti, hanno colpevolmente gestito il patrimonio pubblico, cagionando un danno erariale che con condivisibile motivazione il primo Giudice, con senso di prudente apprezzamento della particolare realtà gestoria, ha quantificato in via equitativa, riducendo significativamente l’addebito posto a carico degli appellanti.

 

Sent. 161/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE
D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
dott. Angelo Canale Presidente relatore
dott.ssa Chiara Bersani Consigliere
dott.ssa Maio Giuseppina Consigliere
dott. Marco Smiroldo Consigliere
dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso in appello, iscritto al n. 52484 del registro di segreteria, depositato il 20 luglio 2017 dai sigg.ri DE SANTIS Pasquale, nato a Salerno il 22.7.1962 (c.f. DSNPQL62L22H703G), CARRANO Nicola, nato ad Atrani il 3.6.1948 (c.f. CRRNCL48H03A487E), PROTO Emiddio, nato ad Atrani il 19.10.1951 (c.f. PRTMDD51R19A487E), tutti rappresentati e difesi dall’avv. prof. Andrea Di Lieto (c.f. DLTNDR63A03F223K) del Foro di Salerno ed elettivamente domiciliati In Roma, Via Pelagio I, n.10, presso dott.ssa Santina Murano.
APPELLANTI
Contro
– il Procuratore generale presso la Corte di conti, in Roma;
– il Procuratore regionale presso la Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Campania, in Napoli;
APPELLATI
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Campania n. 130/2017, depositata in segreteria il 31 marzo 2017, notificata;
Visti gli atti e i documenti di causa;
Uditi nell’udienza del 10 luglio 2019, tenuta con l’assistenza della segretaria, Sig.ra Gerarda Calabrese: il Relatore, in persona del Presidente Angelo Canale che ha illustrato la causa; il P.M., in persona della VPG Luigi D’Angelo; l’Avv. Di Lieto per le parti appellanti;
Trattenuta la causa in decisione.
Svolgimento del processo
Con sentenza n.130/2017 la Sezione territoriale condannava gli attuali appellanti al pagamento, in favore del Comune di Atrani (SA), della somma di euro 25.000 ciascuno, oltre interesse di legge e spese di giustizia liquidate in euro 1336,16==
I fatti di causa sono i seguenti.
Nel novembre 2011 i consiglieri appartenenti al gruppo consiliare di minoranza del Comune di Atrani inoltravano
alla Corte dei conti e ad altra A.G. un articolato esposto nel quale segnalavano una serie di irregolarità afferenti alla gestione del patrimonio comunale. L’esposto dava luogo all’apertura di un fascicolo istruttorio da parte della competente Procura regionale preso la Corte dei conti campana, cui seguivano accertamenti delegati al Nucleo di Polizia Economica Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno.
Quest’ultimo svolgeva puntuali accertamenti, indirizzando al P.M. contabile – tra il 2013 e il 2014 – più relazioni: nella sostanza il contenuto dell’esposto era confermato ed era quantificato il danno sofferto dal Comune di Atrani per effetto di una gestione del patrimonio comunale caratterizzata da incuria, negligenza, omissioni.
Nel giugno del 2014 il Procuratore regionale emetteva atto di citazione in giudizio, originariamente formulato, oltre che nei confronti degli attuali appellanti, anche nei confronti dei consiglieri comunali, con una complessiva domanda risarcitoria di euro 396.390,18=
Con la sentenza ora gravata la Sezione territoriale accoglieva parzialmente la domanda, prosciogliendo dagli addebiti i consiglieri comunali e condannando gli attuali appellanti.
Nel quantificare l’addebito (25.000 euro a carico di ciascun convenuto ritenuto responsabile), il primo giudice faceva riferimento alla valutazione equitativa del danno, di cui all’art. 1226 c.c.
Nel merito, riteneva gli appellanti, nelle rispettive qualità di sindaco, di assessore al ramo e di responsabile del servizio tecnico, responsabili di gravi irregolarità nella gestione del patrimonio comunale e, in particolare, della mancanza di verifiche e controlli circa la sussistenza in capo agli inquilini delle case comunali dei requisiti di legge per fruire dei canoni sociali previsti dalla normativa ERP di riferimento. Il primo giudice considerava pire l’apporto causale del Segretario comunale – non evocato in giudizio – e per l’effetto riduceva la misura dell’addebito posto a carico degli attuali appellanti.
Questi, con atto del luglio 2017 hanno proposto appello, deducendo:
– motivazione insufficiente ed erronea; mancata puntuale confutazione in citazione delle deduzioni fornite a seguito di invito a dedurre (da ciò gli appellanti fanno discendere l’inammissibilità dell’atto di citazione); travisamento dei fatti; assenza di colpa grave; violazione dell’art. 5 L.19/1994 e dell’art. 1 della legge 20/1994 e succ. modif.
In tale contesto la difesa insiste sul fatto che tutti gli alloggi in questione, in quanto costruiti o recuperati con il concorso dello Stato o della Regione, apparterrebbero, per tale ultima circostanza, all’ERP (edilizia residenziale pubblica) e perciò sarebbero sottratti alle logiche di mercato e alla normativa statale in tema di canoni di locazione; le assegnazioni di tali alloggi (ad eccezione dell’alloggio in via F.M Pansa, concesso a seguito di asta pubblica sin dal 1967) sarebbe state fatte nel rispetto della normativa statale e regionale di settore, cosi come pure la determinazione dei canoni di locazione sarebbe avvenuta nel rispetto delle norme all’epoca vigenti; richiamano gli appellanti le conclusioni in proposito formulate dal Sunia (organizzazione nazionale degli inquilini e assegnatari degli appartamenti) che sostanzialmente hanno confermato la correttezza dell’operato del Comune.
– prescrizione: il primo Giudice avrebbe errato nel dichiarare prescritta una sola delle annualità originariamente richieste.
Ed infatti la difesa sostiene che il dies a quo della prescrizione andava individuato allo spirare del termine per disdettare i contratti di locazione.
Ed ancora, in via istruttoria, qualora si dubiti della natura giuridica degli immobili in questione, la difesa chiede ulteriori accertamenti istruttori.
Chiede infine l’accoglimento dell’appello; in subordine, ampio uso del c.d. potere riduttivo anche “in considerazione della funzione sociale che ha originato la condotta dei convenuti”.
Con conclusioni del giugno 2019, la Procura generale ha chiesto che l’appello venga dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato, con condanna degli appellanti al pagamento delle spese di giudizio.
In particolare, quanto alla asserita inammissibilità dell’atto di appello, il P.G. sostiene che l’appello in esame debba essere dichiarato inammissibile ai sensi della prescrizione di cui all’art. 190 c.g.c. “non essendo specificamente indicate le modifiche che vengono richieste alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado nonché le circostanze da cui deriva la violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.
In sostanza, argomenta il P.G., a fronte delle motivazioni dettagliate ed esaustive esposte dal giudice di primo grado, l’appello, nel caso concreto, non avrebbe dovuto limitarsi, com’è accaduto, a una mera ripresa delle tesi difensive articolate in prime cure, essendo invece richiesta una più specifica e rigorosa formulazione dell’atto di appello in rapporto alle motivazioni della decisione.
Il P.G. contesta poi le conclusioni della “consulenza” commissionata dal Comune di Atrani al Sunia, “in considerazione del fatto che non si comprende su quali basi tale organismo privato possa aver svolto le proprie valutazioni – financo estese alla situazione reddituale dei
beneficiari degli alloggi – se lo stesso Comune era risultato privo dei necessari elementi al riguardo”. Non è accettabile, perché priva di alcun rilievo giuridico, la tesi della non necessità di compiere (da parte del Comune) periodici accertamenti patrimoniali sugli occupanti degli alloggi, essendo la situazione economica di ciascuna famiglia conosciuta in paese.
Quanto all’eccezione di prescrizione, il P.G. ne rileva l’infondatezza, richiamando giurisprudenza di questa stessa Corte (ex multis, Sezione II d’appello n. 56/2017) e sostanzialmente aderendo alle conclusioni del primo Giudice.
All’odierna udienza, le parti hanno rispettivamente confermato i propri atti scritti. La causa pertanto è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
La progressione logica delle questioni da trattare segue il sistema delineato dagli articoli 276 e 279 c.p.c., attualmente disciplinato, nel processo contabile, dall’art. 101, n.2 del c.g.c., con conseguente disamina prioritaria delle questioni pregiudiziali di rito, delle preliminari di merito e, infine, del merito in senso stretto (Cassa. SSUU n.29/2016, Cass. SSUU: n.26242/2014; Cdc, sez.II appello sentenze nn. 138 e 139/2016), fermo restando che l’ordine di trattazione delle questioni preliminari e di merito è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, secondo motivare ragioni di logica giuridica, di coerenza e ragionevolezza (cfr. Corte cost. n.272/2007; Cass. N.23113/2008; Cdc SSRR n.727/1991).
Viene pertanto prioritariamente in esame l’eccezione di inammissibilità dell’atto di citazione, formulata nel contesto del primo, articolato motivo di appello.
Secondo gli appellanti, l’atto di citazione sarebbe inammissibile in quanto “se la Procura avesse preso in considerazione le surriferite deduzioni fornite dagli incolpati non avrebbe emesso la citazione”.
L’eccezione era stata già proposta in primo grado e su di essa si era pronunciato con condivisibile motivazione il primo Giudice. La mera riproposizione della medesima eccezione, qui reiterata come motivo d’appello, non sembra pienamente soddisfare i requisiti di forma e contenuto dell’appello, di cui all’art. 190 c.g.c.
Ad ogni buon conto, esaminando comunque l’eccezione difensiva, si ribadisce, come già argomentato dal primo Giudice, che, per pacifica giurisprudenza, nonché per assenza di una prescrizione normativa, il P.M. non è obbligato a motivare in citazione le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le deduzioni fornite dal presunto responsabile. Ciò afferisce alla natura dello stesso “invito a dedurre”, la cui funzione, come sottolineato dalla Corte costituzionale (n.163/1997), si rinviene nella preliminare contestazione di fatti specifici ad un soggetto già indagato, che viene pertanto messo in condizione di rappresentare le sue ragioni all’organo requirente. Il P.M., solo ove accolga le ragioni difensive prospettate dall’invitato dovrà adeguatamente motivare l’archiviazione (cfr. art. 69 c.g.c.), mentre in caso di citazione in giudizio la stessa risoluzione di promuovere motivatamente il giudizio davanti al giudice competente implicitamente dà conto della non condivisione delle deduzioni difensive acquisite nella fase istruttoria.
Ne consegue il rigetto dello specifico motivo d’appello, in quanto infondato.
In via preliminare, dappoi, il Collegio è chiamato a valutare la riproposta eccezione di prescrizione.
Anche in questo caso, infatti, le parti appellanti ripropongono un’eccezione difensiva motivatamente già respinta dal primo Giudice.
E anche in questo caso gli appellanti, sfiorando il profilo di inammissibilità del motivo d’appello, si limitano a riproporre la medesima eccezione difensiva del primo grado, senza muovere una specifica e analitica critica alle ragioni addotte dal primo Giudice nel respingere (rectius, nell’accogliere solo parzialmente) l’eccezione di prescrizione e senza esplicitare un percorso argomentativo alternativo a quello seguito in prime cure.
Il Collegio ritiene che la doglianza degli appellanti – e quindi il motivo di appello relativo alla prescrizione dell’azione – sia comunque nel merito infondata.
Condivisibile in proposito è la giurisprudenza richiamata dal primo Giudice, a tenore della quale il dies a quo della prescrizione dell’azione di danno dipendente dalla mancata riscossione dei (corretti) canoni locativi va individuato nella data delle singole diminuzioni patrimoniali, derivate dal mancato pagamento del (corretto) canone per ogni mese di durata del rapporto (cfr. Cdc – Sez.II d’appello n. 533/2014).
Ciò posto, va aggiunto, a ben considerare, che la detta eccezione, tradotta in motivo di appello, fissando il dies a quo della prescrizione allo spirare del termine per disdettare il contratto e facendo riferimento al fatto che nella gestione degli immobili il Comune avrebbe operato iure privatorum, postula una situazione di fatto ampiamente diversa da quella, affetta da gravi patologie amministrative, accertata dalla Guardia di Finanza.
Ed infatti, come si evince dai rapporti della Guardia di Finanza (cfr. in particolare la relazione del 28 giugno 2013), presso gli uffici comunali è stata riscontrata l’assenza o comunque il difetto di completezza di validi ed efficaci contratti di locazione, di controlli, di verifiche, di formali provvedimenti di assegnazione, etc. nonché della pertinente documentazione.
Il quadro emergente dai detti accertamenti, confermando nella sostanza il contenuto della segnalazione dei consiglieri di minoranza, ha disvelato una gestione del patrimonio immobiliare comunale improntata a superficialità, lacune documentali, confusione, assenza di atti formali di assegnazione, assenza di controlli a monte e nel corso del rapporto locativo, mancato adeguamento dei canoni. Una situazione che nel complesso può definirsi di mala gestio.
Le osservazioni che precedono, pur se partite dal tema della prescrizione, ben possono estendersi all’articolato motivo di appello secondo il quale il primo Giudice avrebbe ignorato o comunque non adeguatamente considerato che (gran parte de) gli immobili in questione apparteneva all’ERP (edilizia residenziale pubblica).
In realtà, tanto nella citazione in giudizio, quanto nella conseguente sentenza ora gravata, appare chiara la conoscenza da parte del PM e del primo Giudice della natura giuridica degli immobili, per come esattamente precisata anche dalla stessa Guardia di Finanza. Peraltro è pacifico che non tutti gli immobili in questione appartengono al patrimonio indisponibile.
Ma in generale, restando nell’ambito dell’ERP, il fatto che tale patrimonio sia sottratto alle logiche di mercato non costituisce un dogma immutabile, atteso che l’applicazione dei canoni sociali, nella misura prevista dalla legge, è condizionata dal possesso e dal permanere dei requisiti, anche reddituali, riferiti al nucleo familiare, previsti per l’assegnazione.
In sostanza, se è vero che la funzione sociale è connaturata alla stessa finalità dell’edilizia residenziale pubblica, nelle varie forme che essa assume, non è men vero che se vengono meno nel corso del rapporto i requisiti che avevano determinato l’assegnazione (ma nel caso di specie non è neppure documentalmente provato che tali requisiti sussistessero a monte! E di certo non sono stati fatte poi le necessarie periodiche verifiche!), il Comune gestore ha il dovere giuridico di valorizzare il patrimonio e di perseguirne la naturale redditività.
Correttamente, come anche osservato dal PG nelle proprie conclusioni, il primo Giudice ha respinto la tesi che non vi fosse bisogno di accertamenti patrimoniali documentali attesa la “conoscenza” diretta degli inquilini,
Deve poi respingersi l’argomento, un po’ stucchevole e comunque giuridicamente inconsistente, che tali accertamenti (doverosi a norma di legge) avrebbero “ulteriormente mortificato chi è già stato tanto provato dalla vita”.
Allo stesso modo, non appaiono conferenti gli accertamenti commissionati nel 2012 al Sunia: trattasi di soggetto privato non “terzo” (in quanto “sindacato” degli inquilini assegnatari) e dunque, avendo il precipuo compito di fornire assistenza agli inquilini (cioè ad una parte del rapporto locativo) non abilitato a fornire prestazioni consulenziali “super partes” al gestore del patrimonio pubblico, al quale la legge affida il ruolo di tutelare l’interesse della collettività.
In sostanza, il Comune di Atrani aveva il dovere giuridico di gestire il proprio patrimonio – tutto, ERP e anche patrimonio disponibile – secondo criteri di efficienza, economicità e, nei limiti di quanto previsto dalla normativa ERP, di redditività. Gli accertamenti svolti dalla Procura regionale hanno dimostrato invece che la gestione di tale patrimonio, tanto di quello ERP, quanto di quello disponibile, nonostante le sollecitazioni di taluni consiglieri comunali, è stata caratterizzata dall’abbandono, dall’incuria e dal disordine amministrativo.
E a fronte di tale situazione, per come è stata oggettivamente accertata, la difesa degli appellanti sembra poggiare, nel proprio motivo di appello relativo al merito della questione, a valutazioni disancorate dalla realtà fattuale e amministrativa, nonché a suggestioni metagiuridiche. Il vero è che gli Amministratori del Comune di Atrani, e nello specifico gli attuali appellanti, hanno colpevolmente gestito il patrimonio pubblico, cagionando un danno erariale che con condivisibile motivazione il primo Giudice, con senso di prudente apprezzamento della particolare realtà gestoria, ha quantificato in via equitativa, riducendo significativamente l’addebito posto a carico degli appellanti.
In conclusione, il Collegio, senza ulteriormente dilungarsi sulla vicenda molto ben ricostruita dagli accertamenti delegati, ritiene di respingere tutti i motivi di appello e di confermare la sentenza gravata. Le spese seguono la soccombenza.
Tutto ciò premesso e ritenuto
P.Q.M.
La Corte dei conti – Sezione III giurisdizionale d’appello disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando: respinge l’appello iscritto al n.52484 del registro di segreteria e per l’effetto conferma la sentenza n. 130/2017 della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Campania.
Condanna altresì i signori DE SANTIS Pasquale, CARRANO Nicola, PROTO Emiddio al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 112,00
(centododici/00).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2019.
IL PRESIDENTE, est.
F.to Angelo Canale
Depositato in segreteria il 02/09/2019
Il Dirigente
F.to Dott. Salvatore Antonio Sardella