Giovani esistenze di genialità matematiche, Galoise- Abel- Ramanujan, spezzate dal destino

      Giuffrida Farina   

“Là dove la vita alza un muro, l’intelligenza apre una breccia”, sosteneva Proust; questo aforisma si adatta perfettamente ad una splendida Mente matematica, un indigente ragazzo orientale, Ramanujan, il quale non poteva titolarsi della laurea in questo ben definito e così tanto particolare settore della umana conoscenza …. Ma questa Intelligenze altissima sviluppò teorie e diffuse i suoi modelli matematici studiando da autodidatta, inventando tecniche analitiche di estrema complessità, dimostrando teoremi, elaborando molte ardite teorie rivelatesi esatte. La sua influenza sulla storia della matematica è stata notevolissima: senza tema di smentita, in quanto affermato e comprovato da illustri addetti ai lavori, è stato tra i più grandi matematici dell’intera storia di questa meravigliosa disciplina. Ramanujan Srinivasa Aaiyangar, immenso talento matematico indiano, nacque nel 1887, da una famiglia poverissima, e morì in giovane età, era trentatreenne. Privo di istruzione e proveniente da uno sconosciuto villaggio dell’India, le sue condizioni permasero sempre misere, spesso soffrì la fame, nonostante tali grandi avversità egli rappresenta il modello di Genialità innata che riesce ad aprire la “breccia” di Proustiana memoria. Ramanujan è stato uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, al pari di Gauss e di Eulero, un prodigio nelle capacità di calcolo, o, in forma equivalente, un “Mozart della matematica” che ha lasciato opere immortali nei suoi taccuini (“Notebooks di Ramanujan”) pieni di formule lunghissime inerenti svariati settori della matematica, di teoremi, con migliaia di saggi/dimostrazioni e di stupefacenti elucubrazioni. Il grande matematico inglese Hardy volle alla sua “corte” di Cambrdige il singolarissimo ingegno indiano, scrisse a Ramanujan malato di tubercolosi e ricoverato nell’ospedale di Putney:                           “Il numero del mio taxi è il 1729, mi sembra un numero alquanto stupido”. Ramanujan rispose:                   “No, Hardy! No! E’ un numero molto interessante. Il più piccolo esprimibile come somma di due cubi, in 2 diversi modi: 1729 = 10^3 + 9^3, 1729 = 12^3 + 1^3 “. Di lui è stato scritto che è un personaggio che fa venire i brividi, suscita un misto di stupore ed incredulità, che la brevità della sua vita è associabile alla prematura scomparsa di altre due genialità, Evariste Galois e Niels Abel. La malattia non riuscì ad agire come un ente chimico corrosivo capace di attaccare e distruggere: Ramanujian continuò a concepire i suoi capolavori persino dal letto in cui morì di tubercolosi … Il tentativo di suicidio ed altri momenti di instabilità sono stati associati a quelli, purtroppo condotti a termine, di Alan Turing e Ludwig Boltzmann, i suoi comportamenti incostanti ed “oscillanti” hanno richiamato le menti folli di Georg Cantor, Kurt Goedel, John Nash. La eventuale scoperta di una bozza della decima sinfonia di Ludwig van Beethoven è stata paragonata al ritrovamento di un taccuino perduto di Ramanujan: è opinione comune che pochissimi, forse nessuno, tra i grandi matematici hanno sviluppato teorie con un processo creativo così vicino a quello dell’artista, dunque arte allo stato puro, come ha fatto Ramanujan. Questi “confessò” che le sue energie mentali erano guidate ed ispirate da una divinità, Namagiri, la quale gli appariva in sogno svelandogli i misteri delle sue sensazionali scoperte. Il (così definito) “diamante grezzo” Ramanujan, seduto nel portico della sua casa trascorreva tantissime ore destreggiandosi tra formule complicatissime, ricavando teoremi e stupende notazioni, tutto questo senza insegnamenti né alcun ausilio, senza laurea, in compagnia della sola lavagnetta e di una miriade di quadernetti, ora divenuti leggendari. A 32 anni, dopo aver sconvolto il mondo matematico con i suoi teoremi e le sue formidabili scoperte, Ramanujan se ne andò il 26 aprile del 1920. “Ho un’amica    che mi ama molto più di tutti voi e che non vuole assolutamente lasciarmi”. L’amica era la febbre da tisi, ma la sua unica vera amica, che gli fu sempre vicino, fu la Matematica. Hardy così ricordava la figura di un indigente ragazzo indiano destinato a segnare la storia della scienza matematica: “Quando sono depresso e costretto ad ascoltare gente pomposa e noiosa, mi dico: Beh, io ho fatto una cosa che Voi non avreste mai potuto fare e cioè aver collaborato con Ramanujan pressappoco alla pari “.

Le brevi esistenze di Evariste Galoise (scomparso ad appena vent’anni) e Niels Henrick Abel (anch’egli deceduto giovanissimo, a soli ventisette anni), fondatori della Algebra moderna, sono probabilmente da annoverare tra le vite più strane e singolari, sicuramente sono quelle più tragiche, riscontrabili nell’intera storia della scienza.

Evariste Galoise nacque nel 1811, nei dintorni di Parigi; il padre era dirigente di un istituto di istruzione per i giovani; mentre la madre, donna virtuosa, lo educò da sola sino all’età di 12 anni, allorquando il giovincello lasciò la casa paterna per frequentare un collegio nella vicina Parigi. Si mise subito in luce, ottenendo alcuni premi e menzioni per le sue notevolissime capacità matematiche, poi, a 15 anni, si iscrisse alla scuola di “Mathématiques preparatoires”, dove cominciarono a rivelarsi le sue non comuni doti matematiche: a 16 anni padroneggiava perfettamente strumenti di calcolo e di analisi “universitaria” con una passione morbosa ed una acutissima intelligenza. Era intenzionato a frequentare una grande scuola di matematica francese, l’”Ecole Polytecnique”, ma non superò l’esame di ammissione, a causa di sue originalissime soluzioni, non vennero comprese dai docenti esaminatori; altro fatto sconcertante, Evariste trattava di parti difficilissime della matematica dell’ultimo anno di università , eppure  le affrontava non con gli usuali strumenti di calcolo adoperati da tutti gli studenti con le consuete fasi  di “impostazione meccanica”, ma con sue vere e proprie creazioni,ardite, originalissime, insomma una creatività esplosiva che faceva assurgere la matematica a vera e propria forma d’arte! Fortunatamente queste geniali intuizioni di un giovincello, non comprese da navigati ed espertissimi docenti universitari, furono conservate da un certo professor Richard, il quale, dopo la tragica scomparsa, ad appena 20 anni, di Galoise, le donò alla Biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Parigi. Occorre però aggiungere anche due ignominie di cui fu vittima Galoise: evidentemente non tutti i docenti universitari sono onesti quanto il professor Richard, difatti il giovanissimo Genio inviò 2 monografie rivoluzionarie alla succitata Accademia sottoponendole al responso delle eminenze universitarie, i 2 saggi subirono la medesima, strana sorte di “essere andati perduti”…Le  2 opere “disperse” ebbero poi un tragico accompagnamento:  Nel 1829,una disgrazia accrebbe le sue le sue sofferenze morali, vi fu il suicidio del padre. Il Destino affondò il suo spietato colpo finale sulle fragili spalle di questo sommo cervellone: venne sfidato ad un duello spadaccino, per una vicenda coinvolgente una donna contesa, a cui egli accettò di cimentarsi, pur essendo consapevole di soccombere, a causa della sua forte miopia e della gracilità del suo fisico. Trascorse l’intera notte (tra il 29 e il 30 maggio 1832) che precedette l’epilogo della sua tormentata esistenza, a raccogliere, in maniera convulsa, i tantissimi risultati delle sue splendide elaborazioni matematiche: Le ore di quella notte vennero definite “ore di immortalità”. Questo giovincello prodigio inventò, tra l’altro, un nuovo tipo di calcolo, introducendo operazioni non aritmetiche su “oggetti” che non sono gli ordinari numeri, ovverosia gli Insiemi. Il matematico norvegese Niels Henrick Abel (1802 – 1829) annovera importantissimi contributi, stupefacenti memorie inerenti a svariati settori specifici della matematica: a soli 22 anni gli venne assegnata una sovvenzione governativa in virtù di sue singolari scoperte; tale apporto gli consentì di intraprendere un viaggio di studio in Germania ed in Francia,  che gli fu fatale: contrasse una malattia che lo ridusse gravemente sofferente ed in estrema miseria negli ultimi 2 anni della sua sfortunata esistenza.  E’ ricordato, nella disciplina “Algebra astratta”, con l’attributo definito appunto “abeliano”, che designa una particolare struttura inerente alla teoria degli insiemi. Gli si deve inoltre il primo studio su un particolare tipo di equazioni, rivelatesi molto importanti nei vari àmbiti scientifici, le cosiddette ‘equazioni integrali. Relativamente alla sua strabiliante opera, è stato affermato che lasciò ai matematici lavoro per cinquant’anni: alla stregua di Ramanujan e Galoise, Abel poteva dare chissà quanti e quali intensi apporti alla Matematica…