A proposito di castrazione chimica

Maddalena Robustelli

Nell’immediatezza del denunciato stupro di Viterbo il ministro dell’Interno Salvini ha avuto modo di rilanciare la proposta politica del partito di cui è leader, ossia la castrazione chimica. Sull’onda della riprovazione per tale vicenda, evidentemente gli è sembrata la risposta più consona tant’è che ha rimarcato che: «Nessuna tolleranza per pedofili e stupratori: la galera non basta, ci vuole anche una cura. Chiamatela castrazione chimica o blocco androgenico, la sostanza è che chiederemo l’immediata discussione alla Camera della nostra proposta di legge, ferma da troppo tempo, per intervenire su questi soggetti».

Di fronte a tali affermazioni l’attenzione prima ancora che alla soluzione del problema del contrasto alla violenza di genere, dovrebbe appuntarsi alle parole utilizzate, innanzitutto “cura”.  Termine appropriato laddove si voglia considerare la violenza sessuale quale espressione di una malattia, contro la quale rimediare con la castrazione chimica. Ossia la terapia farmacologica capace di bloccare la produzione di testosterone, l’ormone tipicamente maschile, per il tramite iniezioni sottocutanee, pillole o fiale, che hanno l’effetto di inibire il desiderio sessuale.  A parere della maggior parte degli esperti tale cura, però, non ha effetti di lunga durata e si esaurisce dopo due/tre mesi dalla sua sospensione ma, soprattutto, non assicura che il paziente non ponga in essere più azioni violente a carattere sessuale.

Senonchè questo approccio metodologico presuppone che la violenza di genere sia considerata una malattia curabile, quando invece il prof, Vittorino Andreoli, tra i più autorevoli esponenti della psichiatria mondiale, intervistato da Luciana Matarese per l’Huffigton post, sostiene che: “Ciò che attrae una persona violenta o un pedofilo non è l’atto sessuale quanto il fatto di poter dominare la vittima, ricorrendo alla sopraffazione. È possibile che ci sia qualcuno convinto che la castrazione chimica eliminerà la violenza? Non è il testosterone, è la mente, è il fatto che senza la ragione, gli affetti, i principi a fare da freno, diventiamo crudeli”. Lo stupro nasce conseguentemente, prima ancora che nel corpo di chi lo agisce, nella sua mente, avendo a che fare con il suo desiderio di possedere, sottomettere ed umiliare la donna che lo subisce.

Non è dunque la libido a motivare gli stupratori, ma la volontà di rendere la donna preda da godere per affermare il proprio dominio su di essa. La violenza sessuale non è, quindi, espressione della sessualità dell’individuo, bensì del suo desiderio di dominio. A riprova di tale assunto si potrebbero citare anche gli innumerevoli stupri di guerra che, per l’appunto, si connotano come strumento per svilire l’etnia di riferimento delle donne a cui vengono brutalmente inflitti. Conseguentemente non ci sono sostanze chimiche confezionate in farmaci che possono curare un genere di violenza, che trae origine da un approccio culturale connotato dalla volontà di sopraffazione del genere maschile su quello femminile.

Tant’è che il prof. Carlo Foresta, endocrinologo e andrologo dell’Università di Padova, membro del Consiglio Superiore di Sanità, in un’intervista di Margherita De Bac per il Corriere della sera, si dice contrario alla castrazione chimica perché «Passerebbe un messaggio sbagliato e deleterio. Il testosterone verrebbe identificato come l’ormone dell’aggressività e della violenza. I violentatori e gli stupratori o i pedofili non hanno valori ormonali più alti rispetto alla popolazione normale, sono evidenze riportate nella letteratura scientifica. In altre parole la brutalità sessuale non dipende da un’alterazione ormonale. È vero, la spinta alla reiterazione di comportamenti anormali viene ridotta ma il problema è lo stimolo culturale e sociale e quello non si addormenta».

In un sondaggio commissionato all’Swg dalla Lega, impegnata in questi giorni a raccogliere le firme nelle piazze di tutta Italia a favore della sua proposta di legge sulla castrazione chimica, risulta che «il 58% degli italiani sia favorevole all’introduzione di una legge che preveda la castrazione chimica per i pedofili e gli stupratori recidivi- mentre – il 28% degli italiani -sarebbe contrario all’introduzione del provvedimento- ed il 14%» degli intervistati non sa come rispondere».  Evidentemente una percentuale così alta di italiani è convinta che un espediente del genere elimini alla radice il problema della violenza contro le donne, in questa opinione facilitata dall’ input politico proveniente da chi argomenta in tal senso.

Probabilmente i rappresentanti istituzionali che cavalcano questa opzione sottovalutano la portata del problema culturale che in Italia è alla base della sopraffazione di un genere sull’altro, ritenendo che una misura emergenziale come la castrazione chimica possa costituire la cura al correlato problema. Dovrebbero però documentarsi sulle evidenze scientifiche che dicono il contrario, compiendo una azione di responsabilità non solo verso il ruolo ricoperto, ma soprattutto verso i cittadini italiani, a cui non dovrebbero essere consegnate pseudo verità scientifiche come rimedi portentosi.

In un commento ad un articolo giornalistico sulla castrazione chimica ho avuto modo di leggere: “pensavo che alla signore del pd piacesse essere adoperate con la violenza, visto che sono culo e camicia con la boldrina, secondo me lo dicono perchè sono ipocrite, ma sotto sotto non vedono l’ora di essere prese da qualche loro bandito, o magari anche qualche migrante di colore o arcobaleno”. Allora mi domando, ma ad un tizio del genere, che usa solo violenza verbale, potrebbero servire iniezioni sottocutanee, pillole o fiale per inibire la produzione di ormoni sessuali che ingenerano tale violenza? Senza pensarci neppure una frazione millesimale di secondo, rispondo di no.

La violenza ce l’ha nella testa e non esistono farmaci di sorta che possano servire in questo caso di parole violente contro le donne. E, come per lui, non esistono cure a base di sostanze chimiche per evitare ad uno stupratore di commettere nuovamente tale reato. Marco Inghilleri, sessuologo e psicologo, vicepresidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione sessuale, intervistato da Eleonora Lorusso per conto di Donna moderna, ha avuto modo di dire: «La castrazione chimica è la risposta più semplice alla percezione popolare che in questo modo si possa avere giustizia nei confronti di un danno subito non solo dalla vittima della violenza, ma anche dalla società. Da questo punto di vista, però, i dati dimostrano che una punizione del genere, come per la pena di morte, non serve a ridurre il numero di reati. Non solo: non assolve neppure la funzione riparativa che dovrebbe avere la giustizia. Occorrerebbe piuttosto pensare alle ragioni dell’atto in sé e lavorare a una soluzione che permetta a chi ha commesso il reato di ripagare la collettività e la persona offesa».