La Scuola secondaria di 2° grado affetta da maleficio?

Aurelio Di Matteo

Sembra che la Scuola secondaria di 2° grado si porti addosso un maleficio, indipendentemente dai Ministri che si avvicendano. Mentre gli altri gradi, nel bene e nel male che dir si voglia, hanno avuto qualche profondo ed anche organico cambiamento, questo è fin dal 1951 (Ministro Gonnella) che non riesce a portare a termine un coerente, finalizzato e organico modello di formazione, integrato con gli altri gradi e funzionale agli sviluppi della società già presenti e soprattutto prefigurati. Dopo Gonnella ci tentarono Moro, Gui, Sullo, fino alla signora Moratti, tanto per citare solo i migliori. Quest’ultima, anzi, è stata l’unico Ministro che abbia avuto un disegno organico della scuola, dal ciclo della Materna a quello Universitario, secondo un modello metodologico che fu a base della Riforma Gentile. Supportata dal meglio della Pedagogia e dalla consultazione massiva di molteplici categorie di riferimento, lavorò per tutta una legislatura; ma fu deliberatamente ostacolata prioritariamente proprio dalla maggioranza politica del suo Governo, che lasciò nel dimenticatoio il già approvato Decreto della Secondaria (n. 226).

Non solo non si dette attuazione a questo Decreto, ma si pose a tacere finanche il Decreto legislativo 15/4/2005 n. 77 dell’Alternanza Scuola-lavoro, rispolverato soltanto dopo un decennio con deleterie modifiche ed oggi ridenominato e ridimensionato con legge finanziaria, che nella sua stessa logica qualifica uno scopo per niente didattico e formativo. La sua assurda massività ed ancor più l’obbligatorietà non cambiano, a fronte del numero delle ore, queste sì per economizzare, e del nome, peraltro quasi incomprensibile nel contenuto e nelle finalità. Come se l’Autonomia scolastica, il diritto di scelta dell’alunno e il percorso didattico finalizzato dall’Istituto non ci fossero o non contassero.

Credo che il maleficio riguardi anche la predisposizione logico-culturale dei Ministri che si avvicendano, indipendentemente dalla loro appartenenza politica. E ciò lo si desume dalla circostanza, molto strana, che chiunque venga ad occupare quella “seggiola” il primo atto che compie attiene all’Esame di Stato, che subisce subito un cambiamento, piccolo o grosso che sia, indipendentemente dai contenuti, dalla struttura e dalle metodologie del percorso formativo compiuto dallo studente che quell’esame deve sostenere. Il nuovo Ministro, infatti, non ha smentito i suoi predecessori. La prima cosa che ha fatto ha messo mano all’Esame di Stato!

È pur vero che bisogna dargli atto di avere apportato alcuni “tagli” a presenze inutili, quali la terza prova, l’invalsi, la tesina, ecc. La farraginosità cartacea della prima prova, seppur a leggere gli esempi proposti dal MIUR apparentemente semplificata, lascia sostanzialmente identiche struttura e modalità della stessa.   Sono state annunciate anche modifiche della prova orale. Bene si direbbe; ma tutto questo a fronte di quale modifica dei percorsi formativi?  e con quali finalità? E nessuno che si sia posto la domanda di fondo: a cosa serve l’esame di Stato conclusivo? Serve a selezionare? e cosa? a certificare conoscenze, competenze e capacità? Quali?  e in che modo e per che cosa: per abilitare alla professione, al lavoro o per l’accesso all’Università? La stessa mutevole denominazione che negli anni si è data denota la mancanza di identità e di significato. La connotazione viene acquisita in seguito da una determinazione giuridica esterna che nulla ha a vedere con la sua funzione di momento conclusivo di un ciclo formativo.

Nei miei tanti anni di permanenza nella scuola – 44 tra docenza e presidenza e poco più di 16 da studente – non ho mai ascoltato qualcuno, politico o intellettuale, affermare che la scuola, in quanto formazione delle persone, dovesse essere il luogo non tanto “specchio della società”, ma dal quale la società futura fosse generata; né ho ascoltato, analogamente, ad eccezione dell’allora Presidente della Repubblica Einaudi, che l’Esame di Stato in quanto valore giuridico fosse inutile al pari, aggiungo io, della marca da bollo.

Una Riforma della Secondaria, che voglia essere degna del suo nome e del suo scopo, deve partire non da interventi estemporanei e disorganici, riguardino essi i contenuti o le metodologie o l’esame o quant’altro; ma dalla proposizione e discussione sulla funzione che la Scuola debba avere nella prospettiva economica e civile della Società che si prefigura.

Quando si inneggia o si dileggia la Riforma Gentile, lo si fa perché essa prefigurava una funzione finalizzata ad un modello di società e organicamente a ciò si indicavano contenuti, metodi, esiti finali e selezione del personale.

Una classe politica, un Governo e un Ministro che vogliano mettere mano alla ricostruzione della scuola, soprattutto della Secondaria – 1° e 2° grado – sulla quale da decenni si è abbattuto uno continuo sciame sismico che periodicamente, ad ogni cambio di Ministro, fa sentire i suoi effetti demolitori, deve partire da queste domande e da altre che elencherò in un prossimo intervento, le quali precedono ogni discorso su programmi, didattica, esami, assunzione di personale, retribuzione e quant’altro. E forse in tal modo la Scuola e il Docente riprenderanno il loro ruolo di dignità e di indispensabile funzione sociale da lungo tempo perduti.