Marx, chi era costui?

 Aurelio Di Matteo

Proprio Marx, riprendendo un’efficace espressione di Lessing a proposito del modo come il modesto Moses Mendelssohn parlava di un altro grande filosofo – Spinoza – nel Proscritto della seconda edizione del Capitale ebbe a dire del grande pensatore Hegel, dopo alcuni decenni dalla sua morte, che “veniva trattato come un cane morto”. A farlo erano da una parte i positivisti, dall’altra i precursori e i neofiti di quello che sarà in seguito chiamato “il pensiero debole”. Da presso i neo-idealisti non furono da meno a tirargli la giacca, fino a ridurla a brandelli. Non immaginava che a lui sarebbe successo di peggio: essere ignorato e relegato in polverose biblioteche quasi sempre chiuse o silenziosamente vuote.

È vero che sono trascorsi duecento anni dalla nascita (1818) ed il tempo trascina ogni cosa nei meandri della dimenticanza, ma trattare così, nel bicentenario della nascita l’autore del Capitale, uno di quelle pochissime decine di libri meritevoli di essere salvati in un diluvio universale, è circostanza che ti avvolge di tristezza usque ad mortem. Un pugno allo stomaco se poi un bravo giovane, brillantemente “maturato” da un liceo cittadino, se tu citi Marx a proposito di un’esemplificativa analisi, interloquisce con un disarmante “chi, quello che sobillava gli operai?”.

Mi rendo pur conto che oggi la struttura sociale e i suoi attori sono profondamente cambiati. I poveri – e i sempre più poveri – hanno altra immagine e altra dimensione, ma sono accanto a te, anche se tu non li vedi e di loro non ti accorgi nemmeno, se non quando ti appaiono d’improvviso sullo schermo dello smartphone, tutt’uno con la fissità del tuo sguardo. I ricchi, intanto, hanno perduto la loro corporea identità e non li vedi, nemmeno se li cerchi sull’ iPhone, dal quale si tengono lontani e non certo per pudica precauzione mediatica. Si sono de-corporizzati e trasformati nella virtualità di una moneta visibile soltanto alla varietà e mutabilità di un click, ma corporeamente concreta nelle conseguenti determinazioni dei divari e delle sempre più accentuate disuguaglianze sociali.

Disuguaglianze sociali! Le uniche realtà e componenti sociali che sono diventate “globalizzate” alla pari del capitale finanziario. Eppure il pensiero di Karl Marx – un bel nome in lingua tedesca! – diventato ormai un “carneade”, ha prodotto in un secolo e ancor più di storia tali conseguenze e cambiamenti in tutto il globo abitato che alla pari possono competere soltanto con quelli delle grandi religioni, tra le quali senz’altro quelli dei testi evangelici. Nonostante ciò, finanche un suo ancora osannato “interprete” politico e seguace, qualche tempo fa ebbe a dire, con riferimento ad una grande rivoluzione socio-politica agita sulla base del suo pensiero, “che la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre si era esaurita”. Ci si dimenticava che era stata una risposta ai bisogni essenziali della persona scaturita non dal sentimento moralistico, quasi sempre intriso di retorica o di ritualità caritatevole che caratterizzavano ogni lamentazione sociale predicatoria. Essa scaturiva da una scientifica analisi dei processi produttivi e delle condizioni di sfruttamento determinate dal “capitale”. Ne prospettava le forme di lotta, gli sviluppi e le categorie secondo cui darne soluzione.

In questo momento storico in cui il capitale, con il volto delle banche, la fa ancora da incontrastato padrone, a nessuno viene in mente di riprendere in mano qualche libro di questo signore dall’imponente barba bianca, che più di un secolo fa aveva ben visto il futuro dei processi del capitalismo proprio nella globalizzazione e nella creazione di un mercato mondializzato. Non solo, ma che questo processo avrebbe comportato la progressiva usurpazione del potere dei cittadini contestualmente al concentrarsi della ricchezza in sempre più poche mani, le quali, di fatto, avrebbero detenuto il potere economico e quello politico.

I politici, gli intellettuali e i filosofi – non parlo ovviamente solo di quelli italiani, un punticino nel globo – sono ancora disposti a riconsiderare i fondamenti di un pensiero, un tempo diventato quasi laica religione, che aveva movimentato milioni di coscienze e che ancora oggi, per chi lo sappia rileggere senza pregiudizi ideologici e teoretici, nella sua preveggenza e nelle sue ammodernate analisi può risultare vivo e “propulsivo”?