L’Opera d’Arte Totale nel modello tracciato da Bruno Munari, Alberto Savinio, Richard Wagner

Giuffrida Farina

Bruno Munari, Alberto Savinio, Richard Wagner: tre originalissime personalità eclettiche  influenzanti in maniera sensibile il panorama musicale ed artistico  internazionale; vulcaniche figure, teorizzatrici e realizzatrici di una incessante ricerca sperimentale (“pratica” oltre che “di pensiero”)  tendente alla sintesi di tutte le arti, sintesi che avrebbe trovato il suo naturale sbocco nel  confluire di esse in un Unica Opera, l’Opera d’Arte Totale. Abbondanti genialissime creazioni, dunque, nelle quali palesemente rinvenibile era la costante connessione  tra molteplici  interazioni di stili musicali ed artistici; con il comune denominatore  rappresentato dall’ Emozione, l’Emozione  che scuote l’animo suscitando la forza generatrice  del miracolo dell’incanto; in fondo, Munari,  Savinio e Wagner, come d’altronde ogni vero artista,  inseguivano questo. Wagner  modificò  il pensiero musicale attraverso  il suo modello Gesamtkunstwerk, sintesi della poesia, delle arti visuali  e di quelle musicali e drammatiche. Questo concetto trovò la sua  concretizzazione nel Festspielhaus di Bayreuth, il teatro da egli stesso progettato  e nel quale vennero  rappresentati  i  suoi drammi.

Anche quella del milanese  Munari (1907–1998) fu  arte rivoluzionaria, precorritrice  delle esperienze dell’optical art e dell’arte cinetica; la ricerca artistica della optical art si fondava sulle leggi della disciplina scientifica ottica  e sulla teoria della percezione visiva; in sostanza la ”op art” stimolava il processo ottico e psicologico della percezione visiva, utilizzando fenomeni quali “l’interferenza luminosa” –in sostanza:  luce più luce uguale buio, analoga all’ “interferenza del suono”: suono più suono uguale silenzio, dunque  due segnali luminosi  oppure due segnali sonori, qualora risultassero eguali ed opposti,  si annullerebbero a vicenda, alla stregua di due forze eguali e contrarie, non sortendo alcun effetto  di luce o di suono– o le possibili letture a doppio senso dei neri e dei bianchi; opere che richiedevano  il movimento dello spettatore, proiettanti  luminosità sulla superficie di un quadro ed immagini imprevedibili originate dalla pura casualità;  per quanto concerne le esperienze cinetiche, quelle inerenti all’arte del movimento, esse  coinvolgevano enti strutturati in guisa che, tanto  il moto reale  di oggetti, oppure  quello virtuale derivante dalla illusione percettiva del dinamismo, potessero essere controllati dall’operatore;  dunque  l’artista,  “tecnico pratico”, programmava il congegno meccanico oppure variava l’equilibrio di un corpo al mutare delle condizioni atmosferiche.

E sicuramente Munari, magico straordinario artista, ricevé, da Madre Natura, anche il privilegio di una, per così dire, “sensibilità tecnico pratica” che gli consentì di ispezionare, oltre alla pittura, alla scultura, alla cinematografia ed  al designer, tantissimi altri settori  con una incessante ricerca sperimentale: fu operatore visuale, realizzò una estesa sequenza di fotogrammi,progettò e realizzò le “macchine inutili”,  inventò la “macchina aerea”  ovvero il  primo sistema mobile impiegato nella Storia dell’Arte; inoltre costruì un vasto insieme di strutture  dinamiche nello spazio, le quali  muovendosi  con continuità subivano delle trasformazioni, indagò sulle forme della  visione e sulle possibilità percettive, progettò  “opere d’arte programmate”  le quali  potevano moltiplicarsi e comporsi/scomporsi  Insomma tutta una serie di creazioni anche di carattere ingegneristico, nelle quali si integravano, coerentemente armonizzandosi,  la splendida immagine e la concreta funzionalità.

Munari, dunque, tra i grandi protagonisti dell’arte, dello sperimentalismo, del design e della grafica del ventesimo secolo; ma egli fu  anche scrittore, poeta  e  vestì i panni del  divulgatore didattico,  indagando intorno allo sviluppo della fantasia e creatività nell’infanzia, esplicitando e sviluppando la nozione di “gioco creativo”.  Per rimanere in tema di “estesa Creatività” , una  naturale consorteria in creazioni multiple e modello di pensiero è rappresentata da quella fornitaci da Richard Wagner (1813 – 1883),  uno dei più importanti musicisti di ogni tempo,compositore,librettista,direttore d’orchestra,scrittore,saggista,  (in una sua dissertazione, il trattato Opera e dramma, approfondì  l’idea di  ”opera d’arte totale”) . Eppure Wagner frequentò scuole ad indirizzo umanistico; accanto ad una forte educazione letteraria, volendo utilizzare una metafora musicale nella quale risultò insuperato maestro, “funse da contrappunto”, nel campo musicale, l’autodidattismo: ad eccezione di brevi periodi di lezioni di composizione impartitegli, egli fu fondamentalmente autodidatta.

Gli inizi della sua carriera si  rivelarono  alquanto duri: esercitò il ruolo di maestro di coro  accanto alla direzione di opere giovanili da lui poetate e musicate, rappresentate in esecuzione ai teatri di Magdeburgo, ma visse  diversi anni di miseria. Wagner  attuò la riforma del teatro musicale e scrisse il libretto e la sceneggiatura  inerenti ai  suoi lavori. Il  teatro musicale europeo  evolvé  in misura imperiosa in virtù del paradigma alternativo  da lui proposto: rivoluzionò  il genere operistico, eliminando il protagonismo dei cantanti e strutturando le sue partiture in chiave sinfonica intorno ai  cosiddetti  Leitmotiv, una tecnica compositiva  che prediligeva i temi conduttori, temi musicali associati a personaggi  ed in intima connessione con luoghi o sentimenti.

Il suo nuovo linguaggio, animato da complesse soluzioni musicali, è alle radici della musica moderna e negli anni in divenire venne assorbito dalle scuole operistiche italiana e francese. Le composizioni di Wagner, in particolare quelle dell’ultimo periodo, sono rilevanti per la loro struttura contrappuntistica (in pratica,Wagner impiegava, sovrapponendole, melodie diverse), l’esteso cromatismo (ovvero, nei suoi procedimenti compositivi, utilizzava, oltre alle famose note DO, RE, MI,FA,SOL,LA,SI, altre note, le cosiddette ‘note alterate’), i complessi accompagnamenti armonici, placidi  e ‘bellicosi’ ad un tempo; una feconda creatività  che precorse il moderno linguaggio musicale, ma quell’arte rivoluzionaria produsse linee di pensiero antitetiche, al punto che i critici musicali si scissero in perentori ‘wagneriani’ e convinti ‘antiwagneriani’. Famosi drammi musicali in tre atti,  su libretto dello stesso Wagner -composizioni che contengono Brani  tra i più noti della Storia della Musica- sono  Tannhauser, Tristano e Isotta (opera nella quale si muovono gli embrioni  di quel  sistema che sfociò poi nelle composizioni atonali di  Schonberg,  nelle quali non predominava alcun suoni rispetto ad altri, tutte le note erano egualmente importanti), L’anello del Nibelungo, Lohengrin, Parsifal, ultimo lavoro compositivo, intorno al tema del Santo Graal. Entreremo adesso in un museo  di opere realizzate da un  altro Genio poliedrico. Una numericamente spaventosa sequenza di splendida originalità nella propria narrazione artistico / esistenziale  e biografia intellettuale,  è riscontrabile nell’Opera (intesa quale Arte Totale) di Alberto Savinio; figura estrosa, straordinaria  nel senso Leonardesco dell’aggettivo, artista che ha regalato, con una inventiva parecchio  al di sopra dell’ordinario, intense emozioni toccando, con magiche opere, numerose forme d’arte; spaziando dalla narrativa allo sperimentalismo artistico, dalla composizione musicale alla drammaturgia, dalla critica letteraria all’ ”autobiografismo immaginario”…

Per ora fermiamoci qui… Il suo percorso include, parallelamente, tra l’altro, una estrosità di atteggiamenti strettamente congiunta con le singolari doti di creatività. Alberto Savinio (1891 – 1952)  fu il nome fittizio da lui utilizzato per svincolarsi dalla rete d’una relazione di parentela (era fratello) con Giorgio de Chirico,                         il grande pittore massimo esponente della pittura metafisica, un movimento pittorico tendente  a  rappresentare una Ultra Realtà attraverso opere oltrepassanti la semplice apparenza fisica della realtà, dunque valicanti la stretta percezione dei sensi. Sottolineiamo l’aspetto che il  fratello minore (nel senso anagrafico del termine) di Giorgio de Chirico, svolse, sin dall’inizio della sua attività artistica, un ruolo importantissimo nella comparsa e successiva fioritura della poetica metafisica. Ordinando il repertorio presente nella rubrica delle fulgidità di Savinio, l’elenco include varie sezioni;egli fu: scrittore, pittore, musicista esecutore, musicista autore/compositore, scenografo, costumista, drammaturgo, regista, critico cinematografico, collaboratore di giornali e riviste di varia natura, (ed infine!)  illustratore.

C’è da aggiungere che tutte queste produzioni non risultavano numericamente esigue ed erano cariche di virtuosa levatura, ricche di novità e freschezza, talvolta anche di esplosivo contenuto provocatorio. A soli dodici anni conseguì il diploma in pianoforte e composizione, ad Atene, dove il padre lavorava da imprenditore di costruzioni ferroviarie. Nel 1914 istituì e promosse  il movimento musicale del Sincerismo, che teorizzò in un saggio, Il dramma e la musica; questo orientamento  musicale prevedeva una musica assolutamente non armonica e non armonizzata, tendente ad evidenziare i paradossi ed il dolore esistenti nel mondo; con soluzioni melodiche ed armoniche intese  a  provocare sconcerto e sbigottimento nell’ascoltatore. Egli stesso accompagnava l’esibizione con la follìa, in una sorta di antitesi alla maschera pirandelliana, in un essere pienamente sé stessi senza alcuna inibizione o  controllo della propria parte razionale: eseguiva le proprie  musiche  fracassando i pedali del pianoforte, scagliando furiose invettive e pugni su oggetti, urlando ossessivamente, disperandosi, ridendo e dimenandosi in maniera demoniaca nel corso dell’avanzamento della sua composizione;tali spericolati e spavaldi spettacoli, sia ben chiaro, erano parte integrante dalla musica, sviluppandosi in uno con essa, associati in un comune senso artistico. Ma il Nostro “rara avis”  all’improvviso piantò in asso la musica, per dedicarsi alla  stesura di un poema drammatico, Canti della mezza morte; in sostanza immettendo, questa volta sul piano letterario, la <<predilezione per l’assurdo, l’onirico, il grottesco>> (Giuliano Manacorda). Seguì, nel 1916, una nuova opera di sconvolgente ampiezza: Hermaphrodito,altro brano che, senza voler essere oscuro, macinava il cuore maciullato della terra ovvero frantumava ancor più -quella che Savinio riteneva-  la raccapricciante esperienza dell’esistenza. Nel 1925 iniziò la sua attività pittorica,che lo condusse a Parigi;in tale àmbito artistico impresse un timbro di  singolare originalità rivisitando i miti del Classicismo. Aggiungiamo il riconoscimento del  poeta francese André Breton, noto teorizzatore del Surrealismo,che diffuse poetica e temi di tale tendenza attraverso mostre, riviste ed incontri culturali;  tuttavia fu lo stesso Breton a cogliere  l’origine, la pura sorgente del movimento Surrealista nelle ascensioni artistiche, nelle rarefatte ed acute creazioni di Savinio.

Il quale, nel 1933 rientrò in Italia e fondò la rivista Colonna, fornendo, contemporaneamente,  il suo ragguardevole contributo a svariati giornali e riviste, con una parallela intensa produzione letteraria costituita da molteplici forme di  narrativa (novelle, prose di viaggio, racconti); caratterizzata da una impronta di  personale sigillo, classico e simultaneamente intriso di conturbanti ed inimmaginabili ondate di energia, le quali si integravano con  pungenti  sequenze di “autobiografie immaginarie”.A proposito di queste ultime, segnalo un  volume di Landini: Lo sguardo assente.Arte e autismo:il caso Savinio; un saggio che  analizza e dettaglia il temperamento istrionico e la dispersione dell’Io Saviniano: <<Segni inequivocabili di una sindrome psichiatrica complessa e sfuggente,                      la sindrome di Asperberger, una forma di autismo>>  (Stefano Velotti, in un suo articolo, Astigmatismo d’autore, apparso sulla rivista, èdita dalla SIAE, Viva Verdi,n.5/settembre – ottobre del 2009;in tale brano, viene presentato il succitato libro dello studioso di arti e scienze cognitive, Carlo Alessandro Landini). Uno dei viceSavinio, il pittore Dido protagonista del racconto “Una strana famiglia”, funge da conduttore percorso dalla corrente emotiva dello scrittore nella spinosa, ardua  analisi dei conflitti che possono nascere all’interno di un nucleo familiare; Dido è personaggio assai significativo ai fini di una maggiore comprensione ed una più ampia visuale  interpretativa delle creazioni e dello stesso universo passionale Saviniano; teniamo presente, particolare tutt’altro che trascurabile,che la inusitata ampiezza delle invenzioni del  “fratello minore” di Giorgio de Chirico (il cui contemporaneo percorso artistico, ricordiamolo, non si limitava alla sola pittura, si snodava  verso più direzioni: difatti Giorgio de Chirico fu altresì incisore, scenografo, autore di scritti teorici ,di memorie autobiografiche, di racconti e di una notevole opera letteraria, L’Hebdomeros) veniva certamente e meritatamente analizzata;ma i  riconoscimenti attribuiti ad Andrea de Chirico erano di intensità assai inferiore, rispetto a quella assegnata al più celebre esponente della pittura metafisica, Giorgio de Chirico; ritornando all’emblematica e centrale figura del  personaggio Dido, vi è da  notare che, associata alla narrazione Saviniana, come d’altronde esplicitato in altri testi letterari di analoga valenza, una parallela interpretazione pittorica, attraverso un  quadro dall’omonimo  titolo, funge da integrazione al soggetto letterario. Intorno al 1950, il Nostro ritornò alla musica e le si dedicò in simbiosi con il  teatro, in veste non solo di -fascinoso ed enigmatico- autore, ma anche di regista e scenografo, realizzando una sintesi tra il classico rivisitato ed i  più temerari procedimenti e metodi  avanguardistici.

La riscoperta critica di Savinio avvenne nell’ormai lontano 1973. Fu un saggio del grande poeta e scrittore Edoardo Sanguineti  -docente universitario di Letteratura italiana- in un Convegno sul Surrealismo, promosso dall’Università di Salerno, che portò alla ribalta uno  straordinario talento autore di stupende opere. Un altro ruolo decisivo in quanto a contributo apportato per una oculata rivisitazione ed una perspicace rilettura, fu  svolto da Leonardo Sciascia, il quale definì  Savinio «il più grande scrittore italiano tra le due guerre», sollecitando alla raccolta e pubblicazione   di un’opera omnia inglobante tutte le sue innumerabili  funamboliche  creazioni. Una scherzosa provocazione conclusiva: Se un domani –che, a quanto dai tempi attuali traspare, non sembrerebbe troppo azzardato considerarne  la effettiva realizzabilità– si tentasse di concretizzare in laboratorio  l’ARTISTA UOMO/MACCHINA PERFETTO,  che ne pensate se lo si “robot battezzasse”: SAWAMU?