Alfabeto Speciale E…come Emancipazione

Padre Oliviero Ferro      

Un giorno ero in una parrocchia della Diocesi di Venezia. Tra una messa e l’altra, mi offrono il caffè nei locali del Patronato (oratorio). Stavano preparando la festa e come sempre c’era un banchetto con degli oggetti confezionati da delle brave signore. Mentre bevevo, guardavo in giro. La mia attenzione è stata subito catturata da una bambolina africana (mamma con il bambino). Sfacciatamente ho detto che mi sarebbe piaciuto portarmela a casa. Qualcuna mi risponde che non c’era colei che seguiva questa attività e così mi sono rassegnato. Ritorno in chiesa e dopo poco, arriva una signora con un sacchetto e dentro c’era la bambolina. Non sapevo come dire grazie. E così me la sono portata a casa e l’ho messa sopra la scrivania dove scrivo ogni giorno. Lei mi ricorda tante mamme, oltre alla mia naturalmente, che in Africa cercano, con dignità, di essere riconosciute come persone. Non si aspettano il grazie per quello che fanno, ma almeno che ci si accorga che anche loro sono importanti per rendere il mondo migliore. In Europa si parla spesso di emancipazione, di diritti (a volte anche di doveri) e chi più si fa sentire, sembra il migliore. Si fanno conferenze, comparsate alla televisione e si postano riflessioni sui social. Ma poi qualcosa cambia veramente? Non voglio dare un giudizio, non tocca a me. Le cose sono sotto gli occhi di tutti e ognuno può dare il suo parere. Io preferisco ritornare a pensare alle mamme africane. Certo anche loro si devono emancipare, non essere considerate solo “utili per fare dei lavori…”, ma hanno anche loro, come ciascuno di noi, dei sogni, dei progetti. Credono che le cose possono cambiare. Però hanno bisogno che qualcuno dia loro fiducia, importanza, che si accorga di loro. I missionari, e in particolare, le missionarie, cercano di aiutarle in tanti modi ad uscire da questa “soggezione” (o schiavitù?) al modo di ragionare della società che è gestita dal settore maschile. Lo sappiamo bene che l’80% dell’economia, in Africa, viaggia sulle spalle delle donne. Quando le incontri lungo le strade, mentre vanno a lavorare nei campi o al mercato con dei carichi sulle spalle, ti chiedi che cosa significhi per loro “essere delle persone”? Forse non si sono mai fatte questa domanda così importante. Certo quelle che vivono in città e sono impiegate negli uffici dello Stato, si riempiono spesso la bocca di questa frase, ma si dimenticano da dove sono venute, soprattutto delle loro mamme. A volte, si ha l’impressioni che abbiano quasi vergogna di essere nate in un piccolo paesino, loro che adesso vivono in “ville” (città) e tranne qualche raro caso, non fanno molto per aiutarle. Quante volte le suore, radunando le mamme, hanno fatto capire loro che era importante saper leggere e scrivere, avere un lavoro (non solo quello dei campi), come educare un bambino e aiutarlo nella scuola, nelle malattie, insomma nel suo futuro. Le guardavi in faccia e vedevi il loro volto, stanco per la fatica. Forse volevano dirti che certo anche a loro piaceva imparare tante cose, ma chi comandava in casa (il marito) non sempre era d’accordo, anzi…Ma, nonostante tutto, ci si faceva vicino a loro, senza stancarsi per aiutarle a capire che dentro di loro avevano tante cose e che dovevano utilizzarle meglio. Non continuare a ragionare solo in un certo modo, ma vedere anche che il mondo va avanti e ci sono tante belle cose da imparare e che possono aiutarle ad essere felici (o almeno meno stanche). Certo, era un lavoro lungo, ma quando riuscivano a fare qualcosa di nuovo che portava felicità anche nello loro case, allora si scatenavano nella danza, nei canti di gioia e nei grazie. Pole pole, ndiyo mwendo: piano piano qualcosa si muove.