Genova: crollo viadotto Morandi, analisi ingegneristiche
Martedì 14 agosto, poco prima di mezzogiorno, il violento, crudele evento. Una immane tragedia. Sono crollate entrambe le carreggiate del viadotto Morandi a Genova, sulle quali si snoda l’autostrada A10, precipitate al suolo per circa cento metri.
Strage assurda, 43 vittime, una ventina di feriti, 600 persone che hanno lasciato la propria abitazione. Analizziamo alcune ipotesi ingegneristiche avanzate da docenti universitari di Tecnica delle Costruzioni. L’ing. Giuseppe Mancini ipotizza una ‘perdita di appoggio’ originata da vibrazioni indotte dalla combinazione di piogge intensissime improvvisamente drenate e di folate di vento, innescanti oscillazioni anomale degli stralli (i tiranti d’acciaio sorreggenti l’impalcato), oscillazioni che si sono auto ampliate (fenomeno della ‘risonanza’, una eco vibratoria sempre più estesa;ma la stranezza su cui occorrerà indagare è la brevissima durata, anomala. In America, nel 1940, torsioni ed oscillazioni della campata del ponte di Tacoma Narrows, dalle quali scaturì il crollo, durarono circa 2 ore). L’ing. Marco di Prisco evidenzia un limite della ricerca italiana, coinvolgente l’inidoneo monitoraggio: afferma che, ad oggi, la tecnica delle costruzioni è priva di adeguati strumenti atti a rilevare evoluzioni, nel tempo, di difettosità interne a manufatti di elevatissime dimensioni. L’ing. Antonio Brencich ha palesato la obsoleta tecnologia e la notevole velocità nel degrado causato dalla corrosione; tale teoria, illustra il collasso strutturale provocato dal deteriorare del cemento, rivestimento degli stralli, alterazione originante riduzioni di caratteristiche elastiche dei tiranti, con conseguente incremento della flessione della campata (è la distanza esistente tra 2 elementi portanti della struttura). Il cemento rivestente i tiranti di acciaio, deve sopportare sollecitazioni dinamiche che nascono dai carichi viaggianti, prolungate nel tempo (ventenni, trentenni…); i tiranti d’acciaio sono ‘avvolti’ dall’agglomerato cementizio per uno scopo protettivo:creare uno ”scudo” contrastante agenti corrosivi, quali salsedine, inquinamento, fumi e vapori, aggressioni di origine chimica, gas di scarico dei veicoli… Nel rivestimento cementizio si possono formare microcrepe anche significative, estese; lesioni sufficienti per far penetrare acqua piovana che trasporta salsedine e componenti erosivi in grado di ridurre l’elasticità dell’acciaio; l’effetto sul tirante non è osservabile, a causa di questa guaina di copertura che non consente la visualizzazione.
Altra ipotesi avanzata, la fulminazione della struttura; la caduta di un fulmine provoca diversi danni: si sviluppano temperature, all’interno del fulmine, di circa 15.000 gradi centigradi; e l’energia termica, da esso liberata, è in grado di fondere materiali metallici. In giornate di bel tempo, tra la superficie della Terra e la ionosfera (80 Km), la tensione elettrica esistente, varia da 200.000 volt, a 500.000 volt (si tenga presente che, nelle abitazioni, la tensione elettrica che si utilizza, è di 220 volt); tale tensione è mantenuta stabile dagli eventi temporaleschi sulla Terra, che consistono in migliaia di temporali in ogni momento, con centinaia di fulmini al secondo, tra nuvola e Terra; le parti metalliche vengono sollecitate da intensi sforzi, inoltre le scariche sono accompagnate da notevoli emissioni di onde elettromagnetiche perturbatrici e da correnti elettriche indotte di grande intensità. L’ing. Riccardo Morandi rilevava, in un suo studio, nel 1979,la perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo ed evidenziava l’esigenza d’una maggiore protezione, per incrementarne la resistenza meccanica, onde fornire risposta efficace contrastante agenti abrasivi. Suggeriva l’impiego di resine e di elastomeri sintetici; il suo indicare tali insidie,e la soluzione ai problemi indotti da esse, sono rimasti inascoltati. La Commissione ispettiva del ministero ha relazionato la torsione che ha subito la struttura: “Il ponte non è caduto nella sua proiezione, si è storto, poi è crollato”. Grandi viadotti in acciaio, del tipo di quelli esistenti in America, in luogo dei ponti in calcestruzzo armato, potrebbero rappresentare la soluzione da adottare in futuro? Occorre tener presente la manutenzione costante (ad esempio riverniciatura completa ogni 2-3 anni) che esigono i viadotti in acciaio. Alcune riflessioni; in primo luogo, il problema della velocità di transito sulle autostrade.
Nel corso dei decenni, si è verificato un considerevole aumento della intensità del traffico; con significativo incremento della velocità dei veicoli, soprattutto dei mezzi pesanti. Intorno al 1960, autotreni, autoarticolati ed autosnodati transitavano a 50 km/h, oggi possono viaggiare ad 80 km/h; conseguenze: maggiore deterioramento dei materiali, degrado dirompente nel tempo, i viadotti subiscono flessione di grado superiore, a causa di sollecitazioni prodotte da auto e tir più rapidi, inducenti, nei componenti strutturali, elevato ‘stress da fatica’ ed usura. Altra drammatica realtà: in Italia esistono molti ponti pericolanti; sono attivi, all’incirca, un milione e mezzo di ponti, ma ne risultano controllati soltanto 60mila: programmare concretamente il futuro è una utopia? Attesa la circostanza di vita utile attorno ai cinquant’anni, un generico decadimento può coinvolgere l’intera compagine d’un complesso di elementi, dunque vi è necessità che lo stesso venga continuamente manutenuto. L’estetica: viadotti arditi, ponti snelli e belli a vedersi, formidabili capolavori d’ingegneria…
E’ possibile, in futuro, la realizzazione di strutture anche inestetiche, garantenti maggiore affidabilità con più ampia protezione per i conducenti? Risulterebbero attuabili rigide vigilanze sui carichi viaggianti,e reali controlli di eccessi di velocità? Si tenga presente che, attualmente, sono rilevati soltanto sul 40% della rete autostradale italiana, dunque, sul percorso del restante 60%, teoricamente, esiste la possibilità di attuare qualche artificio… Severità, immediato sequestro di autoarticolati ed autovetture violanti le norme, e loro messa all’asta, implicherebbero minori rischi?
Giuffrida Farina (*)
(*) Ingegnere, iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Salerno e Provincia.