Lettera aperta di Clare Short al cardinal Nichols su Alfie Evans

Padre Giuliano Di Renzo

La Chiesa è formata da tutti coloro che sono stati battezzati e sono perciò diventati tralci della vite che è Gesù (Gv 15,1-17).

Con il sacramento della confermazione, ossia con il dono che fa a noi Gesù del Suo Spirito e lo Spirito di Gesù fa a noi di sé (Gv 3,34; 15,26) diventiamo soldati di Cristo, ossia veniamo dallo Spirito di Dio rivestiti di fortezza e atti perciò a testimoniare con coraggio la nostra fede. Che altro non è che testimoniare Gesù quale Mistero di Dio. Veniamo resi così capaci e pronti a combattere lo spirito del Male che che ci insidia stando ben nascosto in noi e regna nel mondo.
Come apprendemmo al catechismo quando ci preparavamo alla Prima Comunione e abbiamo poi approfondito con lo studio, la preghiera, le azioni di bene e sfrozandoci di tenerci lontani dal Male.
Il dono dello Spirito di Gesù che Gesù e il suo Spirito hanno di Sé a noi fatto si accompagna con la missione a noi affidata di testimoniare Gesù amandoLo sino alla fine, così come Lui ha amato noi sino alla fine, sino allo sfinimento.
Di fronte a questa totalità di amore si dubita che esista l’inferno per chi rifiuta, calpesta e insulta volontariamente una tale totalità di amore che giunse questo amore per lui sino alla fine, considerata questa fine quale estremo limite dell’Amore? Il quale come tale è Dio e quindi non ha limiti?
L’inferno non è una galera comminata da un giudice più o meno giusto, più o meno accomodante quale troppo spesso si finge la nostra fantasia umana, ma è lo stesso insistente, volontario rifiuto con il quale ci sotterriamo in noi stessi con escludere noi dalla spaziosa luminosità della luce e dal calore vivificante che sono propri dell’Amore.
Il Signore non impone, non s’impone ma rispetta la nostra persona e con essa il diritto che deriva ad essa dalla sua libertà.
Dio è Santo e ha rispetto della dignità della persona umana in quanto persona (Mt 5,23-24). Il Signore non finge, non accomoda, non tradisce. Non tradisce, non può tradire la sua Santità e quindi non noi.
Il cristiano non può rintanarsi nella quiete di un’egoistica devozione mentre intorno è tutto uno sfacelo, ma ha l’obbligo di pregare e di porsi in azione.
Allo stesso modo di Gesù che va errando nel segreto delle coscienze per recuperare le percorelle smarrite (Mt 18,9). Come Mamma Maria va per il mondo, come un tempo correva da Elisabetta e poi a Betlemme e in Egitto e da sempre appare qua e là versando copiose lagrime sulla sordità dei suoi “figli che non hanno la luce”. Con questa finissima espressione di pena e di tenerezza chiamava i peccatori Mamma Maria con Luigina: “I miei figli che non hanno la luce!”.
Perché il tempo che vien dato da vivere quaggiù è per la semina e per la maturazione di noi stessi e si perfezionerà definitivamente nella dimensione propria dello spirito e si chiama eternità. Ossia stato definitivo della pienezza raggiunta di sé che è propria della persona umana.
Questa inglese nostra sorella nella fede, che col coraggio dell’umiltà, la fermezza dell’amore e la chiarezza della fede e dell’anore insieme richiama il suo pastore ai doveri di dispensatore del Pane della Vita, deve ricordare anche a noi che a nessuno è lecito riposare tranquillamente nell’apparenza di una fede stracca perché passivamente vissuta.
Nella storia della Chiesa più di una volta è stato il suo corpo laico a salvare la Chiesa, a richiamare con obbediente rispettosa fermezza i pastori che tendevano ad addormentarsi e quasi non accorgersi del lupo che va in giro per divorare e delle sue astuzie.
San Benedetto, San Francesco non erano “chierici”, non erano neppure sacerdoti. Solo più tardi San Francesco divenne diacono, non volle diventare però sacerdote, dispensatore dei misteri di Cristo e del Mistero di Dio che Cristo è. Non volle perché non se ne sentì degno non stimando di avere un’anima tanto pura quale richiede la partecipazione al sacerdozio unico ed eterno di Cristo.
Santa Ildegarda di Bingen, Santa Caterina da Siena, Santa Brigida di Svezia, la Contessa Matilde di Canossa erano donne, non membri quindi dell’ordine clericale.
Eppure l’amore per Gesù, che deve si tradursi in amore per la Chiesa, in amore per le anime che minacciavano di perdersi era più forte di ogni complesso e soggezione al rispetto umano e hanno saputo esprimersi verso la sacra gerarchia e proprio perciò tutta la libertà dei figli di Dio e la forte tenerezza che una donna sa esprimere quando appassionatamente ama.
E Gesù che ci ha amati e continua ad amarci con passione vuole essere da noi riamato con passione simile alla sua per noi.
Un amore che non ama con passione non è propriamente amore! “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” (Dante. Inferno V,103).
La signora cattolica inglese suscita in noi ammirazione e sia a noi di esempio di come si ama la Chiesa e per amore di Gesù e della sua Chiesa i suoi ministri. L’esempio che hanno dato i genitori di Alfie Evans e quanti coraggiosi umili fratelli nella fede che non cedono al politicamente e socialmente corretto e accorrono vicino a Gesù che nel Getsemani del mondo agonizza in solitudine e abbandono.
“Cristo è in agonia sino alla fine del mondo”, ricorda a noi il sommo Blaise Pascal.
Sì, perchè sino alla fine del mondo nella Chiesa suo corpo mistico Gesù “soffre, combatte e prega” (Manzoni. La Pentecoste).
Sarà così finché esisterà il tempo, finché sulla terra vivrà un’anima bisognosa di redenzione.
Finché sulla terra il numero degli eletti non sarà completo e il Signore metterà fine alla Storia.
Cioè finché Cristo, incarnatosi in ogni uomo che con la fede aderisce a Lui formando in Lui, per Lui e con Lui, non raggiungerà nella Chiesa la pienezza della propria maturità (Ef 4,7-13 e Ap 6,9-11) e verrà così la Chiesa introdotta nel pieno e non più invisibile possesso del Cielo. Quando consegnerà il suo Regno al Padre e Dio sarà sole che sfolgorerà in tutta la magnificenza dl suo splendore tutto in tutti, fatto tutto e tutti roveto ardente, luce del Tabor della sua presenza (1 Cor 15,2-28). .
La costruttiva correzione fraterna fatta con carità e umiltà quindi è virtù e dovere di tutti (Mt 18,15).