Sud…tra cultura e sangue!

Giuseppe Lembo

Aldo Moro, martire della nuova Italia, è tristemente legato al tragico destino del Sud.

Nelle sue nuove idee che gli costarono la vita, con alla base il compromesso storico che, se saggiamente realizzato, andando quel pochino più in là, poteva essere anche la saggia via italiana al tanto atteso rilancio umano e sociale del Sud.

Quella grande alleanza negata, costò a Moro la vita, barbaramente cancellata, cancellando il sogno di un’Italia saggiamente nuova per umanità di insieme e capace di camminare saggiamente unita con percorsi di un saggio incontro delle diversità italiane, assolutamente bisognose di una rigenerazione umana solidale, a diretto contatto degli uni con gli altri.

Siamo ormai al redde ratiomen. L’Italia deve cambiare. Il primo segnale del nuovo italiano è proprio nel Sud in cammino; un Sud finalmente italiano, da riportare a nuova vita, fermando l’emorragia umana dei tanti che, senza voltarsi indietro, se ne vanno e per sempre, sentendosi traditi dalla loro Terra, dove mancano le condizioni umane per diventare protagonisti di vita, da cittadini e non più sudditi sottomessi, con le sole promesse di sempre fatte di parole che non sono mai diventate fatti concreti, ma sono rimaste solo e maledette “promesse” di sempre.

Guai a lasciare il Sud, così com’è!

Il Sud non è solo un’espressione geografica, da sempre indifferente all’insieme Italia che si è compiaciuta di tenere in piedi una poco giovevole dualità italiana, con la sua parte meridionale residuale e disumanamente spenta. Tanto, come già evidenziato, anche per colpa di un’umanità meridionale rassegnata  e del tutto indifferente ai destini di una Terra del sapere, valorialmente universale, in quanto Terra dell’Essere in divenire, assolutamente necessaria all’Italia ed al mondo tristemente ammalato di un avere-apparire dal Futuro sempre più a termine, mancando dei valori che hanno in sé l’”UOMO” e non le sole dannate “COSE”.

Ebbene, siamo al redde ratiomen. Una resa dei conti che, se saggiamente accompagnata, può mettere ordine al disordine, evitando quello scontro/catastrofe, tristemente coinvolgente uomini e cose; quello scontro/catastrofe, di un mondo senza senso, sempre più nelle mani poco sagge di chi non si fa scrupoli a darne il segnale triste di una disumana distruzione che nega al Futuro l’uomo, per la mancata saggezza di un non riconoscimento della sua centralità, in quanto essere in divenire.

Il Sud ne è un esempio. È un triste esempio di un mancato sviluppo per le negate condizioni antropiche soprattutto interne ai suoi territori che tristemente e soprattutto per gravi sofferenze dell’Uomo non protagonista, si va negando al Futuro.

Tanto, a causa di un’arretratezza sociale meridionale che, nel tempo ha prodotto consolidandolo, una condizione di diffuso sottosviluppo per mancanza di modelli alimentati da fattori endogeni, la triste causa di un circolo vizioso di povertà diffusa e senza possibilità alcuna di rinnovarla, dando saggiamente dignità di vita ad un’area del Paese, assolutamente necessaria all’insieme italiano che, mancando di unità compiuta, rischia di morire tristemente di Sud.

Credo che una saggia risposta alla dualità italiana che, purtroppo, c’è e continua a fare male tragicamente al Sud, ma non poco all’insieme italiano, è nel pensiero di Antonio Gramsci.

Dice Gramsci “La miseria del Mezzogiorno era  inspiegabile storicamente per le masse del Nord; esse non capivano che l’unità non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale di città/campagna, cioè che il Nord concretamente era una piovra che si arricchiva alle spese del Sud e che il suo incremento economico/industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale”.

Fin qui Gramsci che teorizzava, così pensando, il sottosviluppo meridionale, aprendo una “Questione Meridionale” di lunga data, come causa egemonica del Nord sul Mezzogiorno.

Ne condivido il triste punto di partenza, ma non la sua lunga continuità nel tempo che ne vede parimente responsabile i fattori endogeni delle umanità meridionali, chiuse in se stesse ed incapaci di farsi protagoniste di sviluppo, acquisendone, con la dovuta saggezza del pensiero e del fare, i saggi modelli di suggerimenti teorici soprattutto interni alle diverse realtà meridionali, eliminando così facendo, il gap di un sottosviluppo che è ancora parte di Noi e che, il Sud non protagonista, con una sua autonomia del fare, non riesce a darsi, rimanendo tristemente indietro e con il vizietto piagnone di vedere gli altri, responsabili unici dei propri mali, sempre più tristemente consolidati e trasformati nel parassitismo assistezialistico di un Sud rassegnato al “Non c’è niente da fare”.

Siamo ad un’Italia duale, fortemente squilibrata. Tanto, con una marginalità meridionale contrassegnata dall’esistenza di residui feudali riproposti in forme nuove da un capitalismo italiano che ha fatto e continua a fare un uso abusato della marginalità meridionale per propri fini funzionalizzati alle logiche del capitale che, per crescere, ha bisogno di sottosviluppo e di dipendenza. Tanto, creando condizioni di uno sviluppo ineguale con in sé, una crescente disgregazione sociale, vittima di uno sviluppo squilibrato con un Sud che, tristemente muore e si nega al Futuro umanamente possibile.