Viaggio quaresimale in preparazione alla Pasqua

Padre Giuliano Di Renzo

Pasqua significa passaggio. E’ il passaggio del Signore che si porta misericordiosamente accanto a ciascuno di noi in ogni tempo e in ogni luogo e bussa alla porta della nostra intelligenza, che ha sete di verità, e del nostro cuore, che ha sete di amore, invitando ciascuno all’incontro con lui come ad appuntamento che noi possiamo anche voler mancare e perderci per sempre. La vita infatti è occasione data a ciascuno una volta sola. Non ci sono dunque consentite distrazioni, anche se purtroppo noi ce ne permettiamo sempre, sfidando imprudentemente la pazienza e la misericordia del Signore.

Con lo sguardo del cuore e il suo desiderio volti verso la Pasqua abbiamo intrapreso con coraggio e speranza il cammino quaresimale di preghiera e penitenza. Simili al popolo d’Israele, in viaggio nel deserto verso la terra promessa, ci siamo sottoposti al regime di disciplina dell’esodo dello spirito e preso a seguire Gesù, il buon pastore che procede accanto e avanti a noi nel cammino di penitenza attraverso il quale Egli ci introduce nella terra promessa della caliginosa luce beatificante del mistero di Dio.

Disciplina e prova della fede sono all’uomo necessarie perché facilmente egli si lascia sorprendere e adescare dal richiamo di apparente comoda piatta schiavitù. Sono tali la nostra pigrizia e insensibilità spirituale da essere noi sempre tentati di rifuggire da ogni sforzo e fatica quali esigono  gli alti ideali dello spirito e della vera libertà. Perché la libertà è prima di tutto nello spirito quando è indipendente dai condizionamenti delle passioni, le quali offuscano la mente dopo aver deturpato il cuore.

Angusta geograficamente, la Palestina venne promessa perché fosse condizione preliminare al formarsi di un popolo con la consuetudine di vita col Dio unico immensamente santo, invisibilmente presente ma visibilmente attivo, e divenisse il primo nucleo del nuovo Eden che Dio  stava delineando e potesse tornare ad essere più che nel perduto primo Eden l’Emma-nu-El, il Dio che si diletta di stare con i figli dell’uomo e sarà pienamente con Gesù, il Verbo volto invisibile di Dio che apparirà a noi visibile in volto umano.

Dall’eternità io (la Sapienza) sono stata costituita. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata  (….) Quando disponeva le fondamenta della terra, ero con Lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a Lui ogni istante; dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo” (Proverbi, 8,23 e 30-31).

Il primo effetto della  grazia di Dio che si avvicina è farci scoprire peccatori, trovarci ingiusti di fronte a Lui giusto. La Santità, ecco di che cosa  propriamente si tratta dicendo  giustizia di Dio

Dio è Santo. E’ nella Santità, nell’essere Giusto, la Giustizia, l’infinita distanza tra Dio e l’uomo.

Così fu nell’Eden dopo il peccato, così fu per Mosè. Così è nei santi, nei quali la santità di Dio si riverbera dall’umile loro convinzione di essere peccatori.

Fu così fu per Pietro e i suoi compagni, sbigottiti dalla pesca miracolosa da cui si rivelava la Santità che Gesù celava nel mistero della sua adorabile Persona. Immenso breve lampo di luce che scosse Pietro e i compagni e fece esclamare a lui: Allontanati da me, Signore, che sono uomo peccatore.

Ma il cuore di Cristo che non umilia mai e mai calpesta l’uomo che si umilia avvolse di tenerezza quell’uomo dalle mani callose fatto rozzo dalla materiale durezza della vita e trasformò un vecchio mestiere in missione che toccava il cielo. Non temere d’ora in poi sarai pescatore di uomini. Il  perdono di Dio non umilia  ma fa risorgere, rianima ed eleva.

Erano, e sono, necessarie la terra promessa e l’esperienza dell’asprezza del viaggio verso di essa per porre un popolo davanti alla Santità di Dio e far così emergere dall’umana assonnata coscienza la consapevolezza di essere colpevoli di peccato e bisognosi perciò perdono. Erano necessarie per indurre in noi l’insoddisfazione del mondo e stimolare finalmente la resurrezione del desiderio di vedere il volto di Dio e gridare come Mosè o il salmista che la nostra anima ha sete del Dio vivente, che ha brama di vedere il volto di Lui (Es 33,18-23 e Sl 42,1-3). O come il cieco del Vangelo implorare accoratamente: Signore, fa che io veda! ( Lc 18,41).

Fammi vedere il tuo volto! (Es 33,18-23). E: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente. Quando vedrò il volto di Dio? (Sl 42,1-3), E’ il grido dell’anima di tutti i tempi, che se ne sia consapevoli o no.  Tutti soffriamo il disagio della vita a causa della felicità che si cerca invano.

Ci divora dentro come fuoco il tormento dell’insoddisfazione della vita, una fiamma di Yaweh (Ct 8,6-7) che grida verso Dio, considerato finalmente Dio non un volto tra i tanti ma il volto che portiamo naturalmente dentro di noi come Luce a noi superiore che fa che ciascuno incontrando Essa incontri il vero suo proprio volto. Che Dio non è un intruso nella nostra coscienza ma è il Verbo che risponde alla voce che noi siamo. Colui che le Sacre Scritture chiamano Sapienza e Logos e Verbo.

Incapace l’anima di incontrare infatti con le sole sue forze quel Volto, si è costruita lungo i secoli una galleria di religioni, di purificatrici rinascite, di gnostiche esoteriche iniziazioni, di pratiche occultistiche e ogni inutile altra stranezza apparentemente innocua che la moda s’inventa non più alla ricerca di essere ma di possedere. Ogni persona può essere a scelta  angelo o demonio.

Tutti i nostri infruttuosi approcci al mondo del mistero hanno però il merito di svelar a noi il disagio della profonda ferita d’impossibile speranza che portiamo nell’anima. Un sottile inferno nel cuore.

Anche a chi pensa aver sbrigativamente risolto il disagio negandolo o adagiandosi nella quiete  pericolosa dell’indifferenza. Non accorgendosi che proprio da ciò emerge la sottile disperazione che si presume esorcizzata. Perché l’anima umana è sete di amore e quietarsi nell’indifferenza è rinunciare a se stessi, è accettare supinamente di venire squalificati dalla vita. La tragicità dell’esistenza non si risolve con le suggestioni. Il pianto dell’anima è l’anima stessa che piange.

Non ci è sufficiente salire sul santo monte di Dio, sul Sinai-Oreb, dove Dio pure si svela, per vedere Dio, irraggiungibile nella gloria della sublime della trascendente sua infinita.

Sarà Gesù, il Verbo, la Parola, la Verità divina sussistente che vestendo la nostra carne mortale eleva la nostra carne, sdegnata dalle religioni e dalle filosofie, ad essere gloria rivelatrice del volto invisibile di Dio, a farsi cibo e bevanda alla nostra anima esistente con un corpo.

Gesù è la risposta al grido dell’anima che spasima prigioniera: Fi lippo, chi vede me vede il Padre mio (Gv 14,8-11), Io sono nel Padre e il Padre è in me… Io e il Padre siamo Uno (Gv, 10,30).

Miracolo del mondo non sono tanto il big bang, l’espansione dell’universo, il mondo degli astri e dei quark senz’anima e di piante e animali senza la ragione, il miracolo del mondo è Gesù, la Grazia Amore di Dio che si china come buon samaritano su di noi abbandonati putrescenti sulla strada deserta della vita.

Con demoniaca presunzione il mondo ha creduto di essere libero e raggiungere la felicità cacciando il Signore dalla coscienza propria e da quelle altrui e quindi dalla società. L’esito distruttivo del cataclisma della paranoia dell’esasperata laicità e con i nostri orgogli, lussurie, vanità tutti vogliamo è sotto gli occhi impotenti di tutti ogni giorno.

La gente ha smesso di pregare, rifugge dal silenzio e preferisce ad esso il bailamme che aliena e stordisce  mentre pare che ci accarezzi. Togliere Dio da noi è come togliere il sole dall’orizzonte, per questo precipitiamo ogni giorno in quel mondo delle talpe che è la suicida follia collettiva che fa  parere saggi e non lo siamo. Il mondo è bugiardo, ignoti sono ad esso i valori della vita e dell’onore.

Liberiamo la nostra anima dai miraggi che portano al niente e facciamo tesoro degli insegnamenti che abbiamo appresi dalle persone a noi care, San Pio, le fedeli figlie spirituali che furono mamma Luisa, Luigina e altre che hanno sostenuto o hanno silenziosamente cambiato a noi il cuore.

Hanno cercato Dio. Lo hanno trovato per sé e saputo dare a noi e lasciato a noi così il tesoro di perfetta letizia che il mondo non conosce né conoscerà mai affogato come ebete nella chiassosa sua disperazione.

Anime sante a noi care che elevandosi a Dio e rendendogli l’adorazione dell’amore con la fede, la preghiera, il sacrifico, la sofferenza e l’amore hanno sparso semi di conforto e di bene. Come Gesù, Come Gesù senza chiedere alcun ritorno per sé ma il ritorno per essi dell’amore di Dio che è salvezza.