Pisa: Sappe, detenuto di Nola salvato da Polizia Penitenziaria da suicidio in carcere

Un detenuto italiano di 34 anni, originario di Nola e ristretto nel carcere di Pisa, ha tentato di uccidersi nella sua cella, ma l’uomo è stato salvato dal tempestivo intervento delle Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio. E’ accaduto nel pomeriggio di giovedì e a darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE che plaude al provvidenziale intervento degli Agenti di servizio. Spiega Donato Capece, Segretario Generale SAPPE: “Il carcere di Pisa torna sotto i riflettori per il continuo ripetersi di eventi critici tra le sbarre. Intorno alle 17.30 di giovedì scorso, l’Agente di servizio nel Reparto Giudiziario è stato richiamato dalle urla dei compagni di cella dell’uomo che chiedevano aiuto. Entrato nella cella, l’Agente di Polizia Penitenziaria trovava il detenuto originario di Nola in bagno con una rudimentale corda (fatta con lembi di lenzuolo) al collo. Sorreggeva immediatamente il detenuto e cercavano in qualche modo di liberarlo dal cappio ma tale intervento era più difficile del previsto, e con l’aiuto dei compagni di cella e del detenuto lavorante si riusciva a slegare il nodo dal collo e dalle sbarre. Riusciti ad adagiarlo sul pavimento interveniva il personale sanitario per le operazioni di competenza. Purtroppo la carenza di organico del personale di Polizia Penitenziaria compromette notevolmente la qualità del servizio quotidiano in tutti i settori degli istituti toscani e mette in seria difficoltà la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza dell’istituto ovvero la tutela del personale operante ed in certi casi l’incolumità dei detenuti stessi. Sarebbe bastato che tale gesto venisse compiuto poco dopo, con una presenza ridotta del personale di polizia, per rendere vano l’intervento degli stessi operatori. La Polizia Penitenziaria ha le competenze per ottemperare al meglio le proprie attività istituzionali ma gli Organi sovraordinati hanno il dovere di mettere a disposizione del personale tutti gli strumenti e le risorse necessarie”. Capece aggiunge: “Un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta dello Stato e dell’intera comunità. Il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Questo nuovo drammatico tentativo di suicidio di un altro detenuto, sventato in tempo dai bravi poliziotti penitenziari,  evidenzia come i problemi sociali e umani permangono, eccome!, nei penitenziari, lasciando isolato il personale di Polizia Penitenziaria a gestire queste situazioni di emergenza. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese”.Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 21mila tentati suicidi ed impedito che quasi 168mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”, sottolinea il leader del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria. “Il dato oggettivo è che la situazione nelle carceri resta allarmante. Altro che emergenza superata! Statisticamente contiamo ogni giorno gravi eventi critici nelle carceri italiane, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati dall’Amministrazione Penitenziaria. Statisticamente ogni 9 giorni un detenuto si uccide in cella mentre ogni 24 ore ci sono in media 23 atti di autolesionismo e 3 suicidi in cella sventati dalle donne e dagli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria.  Aggressioni risse, rivolte e incendi sono all’ordine del giorno e i dati sulle presenze in carcere ci dicono che il numero delle presenze di detenuti in carcere è in sensibile aumento. Ed il Corpo di Polizia Penitenziaria, che sta a contatto con i detenuti 24 ore al giorno , ha carenze di organico pari ad oltre 8.000 Agenti …”. “Da quando sono stati introdotti nelle carceri vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto sono decuplicati eventi gli eventi critici in carcere”, conclude. “Se è vero che il 95% dei detenuti sta fuori dalle celle tra le 8 e le 10 ore al giorno, è altrettanto vero che non tutti sono impegnati in attività lavorative e che anzi trascorrono il giorno a non far nulla. Ed è grave che sia aumentano il numero degli eventi critici nelle carceri da quando sono stati introdotti vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto. Basti pensare che solamente nei primi sei del 2017 ci sono stati 22 suicidi di detenuti, 567 tentati suicidi, 4.310 atti di autolesionismo, 3.562 colluttazioni e 541 ferimenti. Questo a testimoniare la tensione che continua a caratterizzare le carceri, al di là di ogni buona intenzione. Le carceri sono più sicure assumendo gli Agenti di Polizia Penitenziaria che mancano, finanziando gli interventi per potenziare i livelli di sicurezza delle carceri. Altro che la vigilanza dinamica, che vorrebbe meno ore i detenuti in cella senza però fare alcunchè. Non ci si ostini a vedere le carceri con l’occhio deformato dalle preconcette impostazioni ideologiche, che vogliono rappresentare una situazione di normalità che non c’è affatto. Gli Agenti di Polizia Penitenziaria devono andare al lavoro con la garanzia di non essere insultati, offesi o – peggio da una parte di popolazione detenuta che non ha alcun ritegno ad alterare in ogni modo la sicurezza e l’ordine interno. Non dimentichiamo che contiamo ogni giorno gravi eventi critici, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati dall’Amministrazione Penitenziaria”.