L’angolo della Lettura: Metti una sera a cena con un poeta Realvisceralista

Angelo Cennamo

Omar Sorbillo? Certo che me lo ricordo. Abitavamo al Vomero. Da ragazzi andavamo allo stadio insieme, con la vespa di Gaetano, il figlio del farmacista. Ti parlo degli anni Ottanta, primi anni Novanta. Eravamo giovani. L’ultima volta che ci siamo visti è stato a Capri, nel 2015 credo. Un amico lo aveva invitato a uno di quei festival di letteratura che si tengono in piazzetta. Andava di fretta, come se avesse fatto tardi a un appuntamento. Ebbi solo il tempo di salutarlo e di scambiare poche parole. Da allora non ci siamo mai più visti né sentiti. Come se la passa il vecchio Omar? Direi bene. Molto bene. Ti racconto l’ultima.

Lo incontro una mattina in via Caracciolo, da solo, impeccabile col suo vestito di lino blu sulla camicia bianca sbottonata. Mani in tasca, la solita aria da strafottente. Modalità Jep Gambardella, per intenderci. Sorride, ma si vede che è un sorriso assente, una smorfia di insofferenza. Sembra assorto in chissà quali pensieri. Faccio con lui quattro passi, arriviamo fino a via Chiaia. Ci sediamo in un angolo del Gambrinus e ordiniamo due caffè. Mi chiede un parere legale su un’eredità da dividere con i fratelli, a Portici. Tre piani di una vecchia palazzina, mai ristrutturata e senza ascensore. Prendi quello che ti offrono, gli dico. Queste rogne in tribunale durano parecchi anni. Perizie, controperizie. Ma i tempi delle cause civili non li avevano accorciati? Sì, l’ho sentito dire anch’io. Il solito gattopardismo. Bravo. Tra una chiacchiera e l’altra, la discussione scivola poi su argomenti più leggeri, i suoi preferiti: la musica, la pittura, le vacanze estive. A un certo punto mi fa: sai, ho appena finito di leggere un libro bellissimo. Un libro che parla di un movimento di poeti avanguardisti: I Detective Selvaggi di Roberto Bolaño. Lo conosci? Magnifico, dico io. L’ho letto più o meno un anno fa. È proprio un gran romanzo. Vero? Spettacolare. Che scrittura virtuosa. E che personaggi affascinanti. Ah, la poesia realvisceralista, con quelle atmosfere così surreali e bohémien. Non faccio altro che pensarci. Tu mi capisci. Ti capisco eccome, amico mio: Bolaño è uno scrittore ipnotico, un visionario, un vero genio della letteratura. Hai detto bene: Bolaño è un genio. Pausa. Il respiro diventa affannoso. Riprende. Ho deciso, mi dice: voglio diventare poeta anch’io. Un poeta realvisceralista. Girare il mondo, fare nuove esperienze, contaminare stili. Qui non succede mai niente. Mi annoio, Francè, che ci posso fare? Pausa. Ci guardiamo in silenzio per alcuni attimi, poi scoppia a ridere. Questa sì che è bella. E tu? Bene, gli ho detto. Scrivi una poesia e vediamo se ne hai la stoffa. Se hai l’animus poetandi di Ulises Lima e di Arturo Belano. L’animus che? Lascia perdere. Pare facile. Certo, mi piacerebbe. Il fatto è che io di poesie non ne ho mai scritta una, fa lui, continuando a ridere. Io faccio analisi matematiche, lo sai. Ho a che fare con i numeri, non con endecasillabi e terzine. E poi su cosa dovrei scriverla questa poesia, secondo te. Sentiamo. Sei appena stato al mare, dico io. E allora? Allora scrivi una poesia sul mare. Ma dai! Bè, tu ami le barche a vela, la pesca subacquea. Quale argomento migliore? Pensaci.

Questo tre mesi fa. Continua. Lunedì mattina mi chiama. Ero appena uscito dalla doccia. Ciao ciao. Come va. Tua moglie, i ragazzi, il trasferimento. Sì ma poteva andare peggio, dico io. Molto peggio, fa lui. Pensa che a un mio collega di Caserta lo hanno mandato a Oristano. Vediamoci uno di questi giorni, magari in costiera. Passiamo una bella serata tutti insieme, come una volta. Chiamiamo anche Angelo. Ti va? Volentieri, dico io. Gli do appuntamento per venerdì sera, giù al Faro, da Cicciotto. Ci sei mai stato da Cicciotto? Cicciotto…..Lascia perdere. Arriviamo puntuali. Lui con la Multipla del cognato, tutta scassata, con l’adesivo dell’Inter sul parabrezza e la tappezzeria in alcantara, color panna, anzi bianco sporco. Più sporco che bianco, a dire il vero. C’aggia fà: ho perso le chiavi del garage, mi dice, allargando le braccia. Io con mia moglie, lui con la sua. Angelo ci precede con la sua nuova fidanzata, Madina: una stangona moldava, magrissima, bionda, occhi verdi, tacco 12. Una zoccola? Non credo. In italiano sa dire solo “quanto costa“, “crazie” e “ma che bela serata“. Una zoccola, fidati. None! Ma ti pare che Angelo si andava a mettere con una zoccola? Non sarebbe la prima volta. Ramona cos’era? Una zoccola. Lo vedi? Ma che c’entra Ramona adesso. È successo più di vent’anni fa, in campeggio. E poi con Ramona ci sei andato anche tu, o mi sbaglio? E io che ho detto? Comunque. Ha noleggiato un suv. Un suv? Angelo ha noleggiato un suv? Angelo ha-no-leg-gia-to-un-suv. Che c’è? Mah! Mah cosa? Ma saranno cazzi suoi se vuole andarsene in giro con un fuoristrada, o no? E con una zoccola. Madina non è una zoccola. E tu che ne sai? Lo so e basta! Lo vedi che mi interrompi sempre, puttana Eva? Ok ok, non parlo più. Vai avanti. Dove ero rimasto. Ah, sì. Serata fresca, da golfino di lana. Luce soffusa. Tavolo prenotato in terrazza con vista sul fiordo. Spaghetti a vongole, pesce spada coi pomodorini, anguria, acqua minerale e una bottiglia di Falanghina, ghiacciata. Il solito menù da venticinque anni. Musica live, molto soft. Latinoamericano? No, il ristorante di Cicciotto non è un posto da Macarena. Si ascoltano altri generi: Aznavour, Tenco, Beatles, roba fine. Mi stai dicendo che io invece mangio e ceno nelle bettole? Te lo stai dicendo da solo. Un’altra interruzione e non ti racconto più niente. Va bene? Scusa. Eccheccazzo! Vai avanti. Dicevo. Si scherza, si ride, si ricordano i bei tempi, i tornei di calcetto. La vacanza a Kos. Ti ho mai raccontato di quella vacanza a Kos? No, non mi pare. Di quando lasciammo Rino nudo sul pianerottolo dell’hotel? O era a Palinuro? Mi sa che era Palinuro perchè arrivarono i carabinieri. Non ricordo. Insomma, mangiamo, beviamo, ridiamo, ci scambiamo ricordi, raccontiamo vecchie storie, la barzelletta del cervo napoletano – sempre la stessa, quella che Angelo racconta tutte le volte per dimostrarci che “lui” parla quattro lingue e noi solo l’italiano. Mia moglie che ride come una matta e chiede il bis, fingendo di non averla mai sentita – salvo poi dirmi a casa, e solo a casa, quando restiamo da soli: che palle la barzelletta del cervo napoletano, non ne posso più, Angelo mi ha fatto odiare i cervi e pure i cartoni animati sui cervi. E tu, scommetto, ti sarai esibito in una delle tue solite performance canore. Pino Daniele? Sting? Acqua. Frank Sinatra. Hai capito l’avvocato. Ma Sinatra Sinatra o De Sica che fa Sinatra? La seconda che hai detto. Ad un certo punto, dopo aver chiesto il conto, sarà stata mezzanotte, il nostro amico si alza improvvisamente e sposta la sedia di lato. Quale amico? Come quale? Omar. Improvvisamente? Sì, con uno scatto felino. Cosa fa? Ascolta. Mette la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e tira fuori un foglio di carta tutto stropicciato. Ho già capito. Fammi dire. Prende questo foglio tutto stropicciato, lo stende per bene sul tavolo. Si schiarisce la voce portando la mano alla bocca. Inforca gli occhiali da vicino. Quelli con la catenella. Esatto, quelli con la catenella. Fa un bel respiro, e con un aria serissima esclama ad alta voce: “Poesia!”. Ma va.

Il mio corpo sottile è una lama tra i flutti,

 La luna è vicina, la tocco sull’acqua.

 Cerchi di luce, riflessi  ormai spenti,

 un’altra bracciata mi porta lontano.

 Annego nei sensi, rivedo il mio tempo,

 oasi profonde di lampi e tormenti.

 Scivola dolce la mano sull’onda, spuma sincera, natura benigna.  

Silenzio. Nessuno fiata. Angelo mi guarda come se qualcuno lo avesse informato che a Milano gli stanno svaligiando l’appartamento. La sua fidanzata muove la testa in tutte le direzioni, infine incrocia lo sguardo di Angelo. Mia moglie parte con un applauso. Applaude anche la sua. Applaudiamo tutti. Applaude anche Cicciotto. Sorride, anche se non ha capito un cazzo. Nella mano stringe la fattura del nostro tavolo. Mantiene la distanza per non violare la privacy, ma si vede che ha fretta di mostrarmi la fattura. Ci credo: 586 euro, più la mancia per la violinista ungherese. E che cazzo! Altroché. Si vede che non hai mai cenato da Cicciotto. Angelo si scioglie in un gridolino di approvazione. Ci alziamo tutti in piedi e ci abbracciamo. Saltelliamo come dei pirla. Gli altri clienti ci guardano. Una coppia di giapponesi seduta dietro di noi ci riprende con un iphone. Per un breve istante Omar sembra commuoversi. Ma no!  E invece sì. Sarà stato il vento, forse il vino. Quale vento: era commozione vera. A quel punto gli afferro la testa, gliela tengo stretta tra le mani. È sudato come un muratore a Lampedusa. La camicia è bagnata. Lo guardo fisso negli occhi. Intorno a noi si fa il vuoto. Cicciotto si avvicina a mia moglie e le chiede se gradiamo un limoncello. Stringe ancora nella mano la fattura di 586 euro. Angelo lo zittisce in malo modo. Io e Omar siamo lì, al centro della terrazza, a guardarci negli occhi. È mezzanotte ma sembra mezzogiorno di fuoco. I giapponesi stanno riprendendo tutto. Cicciotto si accascia su una sedia, sfinito. La moldava, di fianco a lui, gli sorride e gli dice “crazie”. Per cosa non si sa. “Crazie”. Non ha ancora visto il conto, la moldava, altro che “crazie”.

Silenzio. Solo silenzio. Nella baia il vento riprende a soffiare forte e gli ombrelloni sulla terrazza ondeggiano pericolosamente. Chiudeteli! Grida un tizio sdentato dall’interno della sala. Ma concentriamoci sulla scena principale. Io con la testa di Omar tra le mani. Siamo a poco più di un metro dalla ringhiera, al massimo due. Non mollo la presa. Gli altri commensali, mia moglie, la moldava, sono lontani, non esistono. La fronte di Omar gronda di sudore, sento il suo respiro sulla faccia. Socchiude gli occhi a intermittenza, si vede che ha sonno. Ha bevuto più del solito, però è ancora lucido. Tu sei un poeta, gli dico, muovendogli la testa in avanti e indietro. Hai capito? Tu sei un vero poeta re-al-vi-sce-ra-li-sta. Oh bella. E lui? Annuisce senza dire una parola. Ora l’oscillazione della testa lo fa quasi assopire. Sembra come ipnotizzato. È in balia del mio carisma.  Scopro di avere un carisma. La moldava urla “ma che bela serata!”, all’improvviso Omar si ridesta, spalanca gli occhi e……..e? Scoppia a ridere di nuovo.